Notizie Radicali
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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Elezioni FVG: entriamo nel PD, ma senza espulsioni né sconfessamenti

di Walter Mendizza

Il VI Congresso di Radicali Italiani a Padova è stata anche un’occasione per confrontare le poche e confuse idee su che cosa fare con le elezioni regionali che tra pochi mesi si celebreranno qui in Friuli Venezia Giulia. Se le idee a confronto erano poche e confuse, quelle della direzione di Roma semplicemente non esistevano: a Roma la cosa interessa poco, hanno altri problemi tra i quali come sopravvivere in futuro dando un calcio definitivo alla Rosa nel Pugno che era stata l’unica vera novità alle ultime elezioni. Il vertice Radicale, a cominciare da Pannella, aveva cercato di farla vivere investendoci sopra tutta la speranza che, si sa, è l’ultima a morire… ma alla fine muore anch’essa. Bisogna prendere atto che ormai non c’è più nulla da fare, si tratta di una sconfitta della Rosa nel Pugno, un trionfo del pugno alla Rosa.

Coloro che si aspettavano che succedesse qualcosa a Padova, un rientro di Capezzone, una convergenza con i socialisti, ecc. sono rimasti delusi, anzi, disillusi: la loro illusione era morta sul nascere. C’è stata, è vero, la lista "In nome della Rosa", però questa sembra essere stata più una manovra dei radicali del nord concertata a tavolino con alcuni socialisti per aggirare l’attuale direzione radicale, piuttosto che una franca e leale partecipazione al progetto iniziale. Del resto in tutto il Congresso, c'è stata una fredda, oserei dire gelata rimostranza nei confronti dei socialisti, che peraltro non si sono fatti vedere nemmanco col binocolo.

Ha senz'altro ragioni da vendere Stefano Barazzutti, il nostro compagno di Tolmezzo, che nel Congresso si chiedeva: per quale motivo mai dobbiamo continuare ad andare avanti con questo paciugo socialista? per quale ragione dobbiamo chiedere l'elemosina a questi sciampisti della politica militante, incapaci di qualsiasi afflato politico e oltremodo litigiosi per spartirsi anche il più piccolo sottoscala messo a disposizione dalla partitocrazia? Che cosa abbiamo da spartire con loro che peraltro non ci vogliono e l'hanno dimostrato in tutte le circostanze, anche con le loro assenze?

Beltramini, il compagno di Udine, aveva l’impressione che alle volte i socialisti ci vogliano solo per fare loro da lavatrice, cioè per dare un po' di pulito ad un partito sempre più spartito, senza ideali, senza impegni, sovrastato dalle convenienze, dai tatticismi, dai piccoli calcoli personali, che segue il sogno improbabile di una riunificazione. In queste circostanze ci si nausea e si diventa indifferenti all’illusione di continuare a sopportare la loro inverosimile chimera. Siamo differenti ancorché abbiamo fatto alcune battaglie comuni e abbiamo cullato per un momento l’idea che alcuni obiettivi comuni potevano essere un sintomo più profondo di affinità elettiva. Non è così. L’organizzazione dei due soggetti politici è talmente distinta e distante che non è possibile nessuna “fusione” senza che ci siano traumi da una parte o dall’altra.

La decisione di diventare gli ultimi giapponesi per Prodi è un atto di suprema fierezza e senso del dovere e dello Stato, di rispetto verso le istituzioni. Una deliberazione assolutamente radicale, non socialista, e della quale non tutti in regione l’hanno vista di buon occhio. Tanto che molti si sono buttati a capofitto su Capezzone non appena aveva mostrato segni di insofferenza verso il governo e di conseguenza verso i radicali che lo sostenevano ad oltranza: non era infatti possibile mandare a quel paese Prodi dopo neppure un anno di governo e dopo che siamo stati a pomiciare con Berlusconi per oltre dieci anni senza cavare un ragno dal buco. Buttarsi su Daniele è stata una scelta kamikaze che mostrava d’ignorare cinquant’anni di lotta del partito radicale e di cultura antipartitocratica. Tutte le analisi fatte da Pannella sono stati nodi che sono venuti al pettine ad uno ad uno. Capezzone non avrebbe avuto la forza di costruire un partito da solo contro tutti; l’approdo a destra è inevitabile soprattutto dopo che in poche settimane, dal suo sito, decidere.net, si è subito visto che la spinta si è spenta.

Purtroppo le vicende di Capezzone hanno mandato ancora di più allo sbaraglio lo sparuto gruppo di radicali qui in regione e alcuni hanno addirittura abbracciato il movimento di Grillo, aumentando se possibile, l’impasse decisionale. Il problema si fa ancora più grave perché vige un’insopportabile ed eccessiva enfasi sul "rispetto" delle opinioni, alimentando un concetto sbagliato di democrazia e di tolleranza. Di fatto non ci rendiamo conto che il rispetto generalizzato delle opinioni rischia di consolidarle, come fossero tutte equipollenti, rendendo indistinguibili quelle supportate da valide ragioni da quelle senza solide fondamenta. A supporto di questa opinione, riporto un passo del filosofo spagnolo Fernando Savater:

Nella nostra società abbondano le opinioni, audaci e soffocanti. Forse prosperano tanto perché, secondo un dogma che per molti è il "non plus ultra" della tolleranza, tutte le opinioni sono "rispettabili". Ammetto senza esitare che esistono molte cose rispettabili intorno a noi: la vita del prossimo, per esempio, o il pane di chi lavora per guadagnarselo, o le corna di certi tori. Le opinioni, invece, mi sembrano tutto, fuorché rispettabili: quando vengono formulate, si offrono alla discussione, al ridicolo, allo scetticismo ed alla controversia. Affrontano il discredito e si arrischiano all'unica cosa peggiore del discredito, la credulità cieca. Tutte le opinioni sono "discutibili" e questa condizione non comporta demerito, come son soliti credere coloro che a volte usano quest'aggettivo per screditare le opinioni che non condividono ("quello che lei dice è molto discutibile..."). Se un'opinione non fosse discutibile, non sarebbe più un'opinione, ma un assioma, o un dogma. Tuttavia il verbo "discutere" racchiude un senso più forte di un semplice scambio di pareri: etimologicamente vuol dire scuotere, abbattere, agitare qualcosa per verificare se ha radici solide o addirittura strapparlo dal terreno che lo alimenta perché le faccia vedere e dimostri che esistono. Questo è senza dubbio il modo di procedere con le opinioni: solo le più forti possono sopravvivere, una volta superata la verifica che le legittima.

Da qualche anno cerco di mostrare sul nostro forum che l'atteggiamento più proficuo verso le opinioni non è quello di considerarle sempre e comunque “rispettabili”, quanto discutibili, o meglio, "da scuotere", fermo restando che la discussione debba essere mantenuta su un piano rigorosamente civile ed onesto. Però non è facile ragionare in questi termini, forse per un’ipocrisia innata che non riusciamo a scrollarci di dosso. Tra pochi mesi ci saranno le elezioni regionali. La domanda è: che facciamo? Dobbiamo considerare esaurita la fase che determinò quel milione di voti a livello nazionale? Vogliamo o no approfittare di quello che vuole fare Veltroni, cioè un partito senza tessere, senza correnti e senza simboli? Un partito con una “struttura sobria”, “a rete” e “transnazionale”, un modello che ricorda molto da vicino i Radicali Italiani? Adesso che Veltroni si è reso conto che dovrà scaricare i comunisti se vuole governare, chi altri può imbarcare se non noi? Le prove di avvicinamento con l’UDC di Casini sono già cominciate, credete che senza di noi Veltroni riuscirà a dire qualcosa di sinistra? O il PD sarà il proseguimento della Democrazia Cristiana con altri mezzi?

Dobbiamo approfittare che il nostro Gianfranco Spadaccia si troverà a collaborare con Veltroni sindaco di Roma per quanto riguarda le carceri nella capitale ed in questa collaborazione vogliamo sperare che oltre a parlare dei carcerati parlino anche di partito e di forma partito. Vogliamo sperare che vogliano fare un esperimento qui in FVG il prossimo anno? E noi, ci daremo da fare? o vogliamo davvero buttare in cesso quei 20.000 elettori che ci hanno votato nel 2006? Se PD dev’essere, che PD sia, ma stando molto attenti e cercando assolutamente di garantirci. Noi non siamo i Panda della politica, però non possiamo neppure pensare di sparire assorbiti e stritolati dal sistema. Perciò chiediamo che vengano rispettate soltanto due semplici elementi di riferimento che sono la bussola dei Radicali: il primo è che non ci siano meccanismi di espulsione ed il secondo che non ci siano meccanismi di sconfessamento. Dobbiamo trovare il coraggio e lasciare da parte le beghe interne che non portano a niente. C'è però in giro un silenzio assordante, forse perché temendo il peggio, ci siamo abituati a tutto.