Nel maggio del 2008 pubblicai su “Notizie Radicali” un articolo sul management nel nostro Paese, credo in buona parte divisi anch’essi tra buoni a nulla e capaci di tutto, facendo riferimento alla nota espressione figurata di Marco Pannella sul mondo politico italiano. Dicevo allora che nel mondo industriale la logica è in fondo la stessa. La società della conoscenza si è trasformata in società delle conoscenze, nel senso delle conoscenze che ti aprono la porta alle varie stanze dei bottoni oppure ti paracadutano comodamente da qualche parte senza avere alcuna patente di capacità di fare alcunché. In questo modo il management “vero”, quello più avveduto a districarsi tecnicamente nelle autostrade della competizione leale, tende a sparire a favore di un management rampante che tecnicamente vale poco e quindi dopo pochi mesi che ha in mano il giocattolo va a schiantarsi. L’universo assicurativo è, nella mia esperienza, uno di quei mondi che sono molto tecnici che devono più degli altri essere governati da gente che conosce il mestiere. Questo scritto faceva seguito ad un altro del maggio del 2007 “La ragione della forza e la forza della ragione” nel quale raccontavo lo stato dell’arte nella vicenda Sasa Vita, la compagnia di assicurazioni sulla vita che avevo creato nel 1995 e lasciato nel 2001. In quegli anni tutti i dirigenti, anche quelli di Sasa (la compagnia Danni) vennero semplicemente fatti fuori senza alcuna ragione se non quella di far posto alla classe “paracadutata”.
Con il nuovo azionista tutto cambia se l’azionista è un’azienda con gravi problemi, come tale si è poi dimostrato il Gruppo Fondiaria-SAI come afferma il loro ultimo comunicato del Coordinamento della FNA, il principale sindacato degli assicuratori. Per quanto riguarda la compagnia Sasa, ora facente parte della Milano Assicurazioni, ho potuto osservare personalmente che chi non si adeguava a coprire le malefatte dell’ultimo arrivato doveva andarsene perché non può far parte della camarilla nascente. Già in dicembre del 2006 (ben 5 anni dopo l’espulsione dell’intero quadro dirigente) la nuova consorteria della Sasa ricevette una sanzione record da parte dell’Isvap e ciò costituiva in qualche modo una prima dimostrazione dell’incapacità di gestione che venivo denunciando. Naturalmente le sanzioni continuarono anche negli anni seguenti. In gennaio del 2007 scrissi su questo un articolo intitolato Capitalismo Predatorio pubblicato pure da “Notizie Radicali”. Era la prova provata, la dimostrazione dimostrata di anni di segnalazioni che ponevano in evidenza ciò che accade quando qualcuno viene paracadutato senza sapere nulla del mestiere perché ciò che conta non è la conoscenza ma le conoscenze: gli amici, gli amici degli amici. Il vecchio management non conta più nulla, viceversa, i nuovi arrivati godono di una stima incommensurabile perché più belli, più bravi, più intelligenti … più furbi.
In breve la mia tesi sostiene che il management assicurativo è quello più incapace dal punto di vista industriale a causa di una patologia intrinseca alla natura del business, che porta alla c.d. “inversione del ciclo produttivo”: prima si hanno i ricavi sotto forma di premi e poi (eventualmente) i costi sotto forma di sinistri. Per questo motivo quando il management non è ben preparato oppure quando ha la consapevolezza di questo differimento, la gestione tende ad essere più “allegra” posto che gli effetti di eventuali comportamenti scorretti si vedono 10, 15 anni dopo. Si vedranno quando accadranno sinistri in numero maggiore di quanto stimato oppure per importi mediamente più elevati di quanto previsto, oppure ancora, quando si tiene conto dei tempi lunghi della giustizia che posticipa il risarcimento alle calende greche. Solo che nel frattempo il management predatorio se n’è andato chissà dove. Questi manager rampanti, buoni a nulla o capaci di tutto, diventano quasi irresponsabili delle gestioni che cavalcano (v. “Giustizia e Imprenditorialità ” di aprile 2004).Â
Per mostrare quanto può alle volte essere drammatico muoversi irresponsabilmente in un mondo che non si conosce, provo a fare ad esempio il caso del disastro dell’ATR avvenuto a Pristina, nel Kosovo, il 12 novembre del 1999 che costò la vita a 24 persone. A pochi giorni del decennale di quell’immane tragedia, cercherò di fare un po’ di chiarezza su un aspetto finora trascurato, quello assicurativo, anche per il rispetto che si deve a quelle 24 persone, metà delle quali erano italiani. Dunque, il prossimo 12 novembre saranno trascorsi 10 anni da quando l’ATR 42-300, operato dalla SI-FLY, in missione umanitaria per conto dell’ONU, si schiantò sulle montagne del Kosovo con 24 persone a bordo (3 membri dell’equipaggio e 21 funzionari ONU del PAM – Programma Alimentare Mondiale). Sembrerebbe che anche in tale circostanza, come in quella più recente di Palermo (ammaraggio per mancanza di carburante – causa difetto del segnalatore del livello – con la morte di 16 persone) la causa è stata una carenza tecnica e cioè il mancato posizionamento a bordo del velivolo dell’appropriato altimetro. Si sospetta che quello in dotazione fosse “taroccato” in quanto i periti incaricati dalla Procura di Tempio Pausania, che aveva avviato l’indagine, avrebbero ritrovato in un hangar della SI-FLY, intatto ed ancora imballato il radioaltimetro che, dalla documentazione, risultava invece essere posizionato sull’ATR 42. Quindi quello realmente montato sul velivolo precipitato, o era “taroccato” o di provenienza sconosciuta.
Per questa tragedia venne avviata un’inchiesta giudiziaria presso il Tribunale di Roma, al fine di verificare la sussistenza di responsabilità umane nella causazione del sinistro (sub R.G.N.R. 2001/8200). Al termine dell’inchiesta vennero rinviati a giudizio 4 responsabili/tecnici con l’accusa di DISASTRO AEREO E OMICIDIO PLURIMO COLPOSO. Per due, che avevano optato per il rito abbreviato il giudizio si è concluso con la condanna alla pena di 4 anni di reclusione ciascuno. Per gli altri due il procedimento continua.
Per quanto attiene tale avvenimento va tuttavia rilevato un altro inquietante elemento: sembrerebbe che la copertura assicurativa del velivolo fosse sospesa ben prima del funesto volo, ma che la Compagnia assicuratrice, la Sasa del Gruppo Milano/Fondiaria SAI) omise di dare la prescritta comunicazione all’ENAC, come da obbligazione di legge. Se tale comunicazione fosse stata data, l’Ente (ENAC) avrebbe tempestivamente notificato alla Società di gestione il divieto di volare per il velivolo coinvolto, SALVANDO COSI’ LA VITA A 24 PERSONE. Ci si chiede pertanto:
-         Perché la Compagnia assicuratrice omise l’obbligatoria comunicazione all’ENAC?
-         Qualora vi fosse stata tale comunicazione, perché l’ENAC non intervenne tempestivamente impedendo all’aereo di prendere il volo?
A questi interrogativi deve dare esauriente risposta la dirigenza della Sasa per scrollarsi di dosso il peso della morte di 24 persone che erano dedite a salvare vite umane in occasione dei tragici avvenimenti che hanno coinvolto i Balcani.
Per la cronaca, risulterebbe che la Compagnia abbia pagato sull’unghia gli indennizzi sia alla proprietà del velivolo sia ai famigliari delle vittime, anche se le coperture assicurative – come detto – erano sospese. Forse quel management più furbo e più intelligente, pensava di mettere a posto la loro coscienza così operando, ma la verità è che non c’è prezzo per la vita di 24 persone! In effetti con un’ulteriore approfondimento del fascicolo si evince che anche quella che potrebbe considerarsi una generosa liberalità è viziata dal fatto che il rischio era frazionatissimo dal meccanismo della riassicurazione per cui oltre il 99% dell’esborso complessivo, circa 50 miliardi delle vecchie lire è stato pagato dal Mercato Internazionale. La Compagnia ha cacciato di tasca propria non più di 150 mila euro. Solo che per far pagare al Mercato Internazionale i “furbetti della Sasa” sono ricorsi ad uno “stratagemma” (per non usare il termine più appropriato che è quello di TRUFFA): hanno alterato la data del pagamento del premio – che l’assicurato si era precipitato ad eseguire dopo il disastro (quindi a babbo morto!) retrodatando tale pagamento in modo che figurasse avvenuto prima del disastro (per la cronaca il pagamento fu retrodatato al 5 novembre del 1999).
E’ oltremodo evidente che il sinistro non avrebbe potuto essere pagato in quanto il premio non era stato versato in tempo utile e chiaramente non si può farlo dopo. Sarebbe come se un croupier accettasse una scommessa sul numero vincente dopo che la ruota si è fermata. Si tratta di una truffa vera e propria nei confronti di tutta la catena di riassicuratori e coassicuratori che partecipano al sinistro. Ma questo la nuova dirigenza più brava, furba ed intelligente non l’aveva pensato o forse l’aveva pensato ma doveva disfarsi prima dei dirigenti che non erano conniventi. Se la compagnia aerea non aveva i soldi per pagare il premio, l’Enac avrebbe dovuto tenere l’aereo a terra. E i soldi non c’erano proprio se, da quanto risulta dalle indagini, alcuni pezzi furono taroccati con altri che però non funzionavano. Nella fattispecie uno dei pezzi sarebbe stato l’altimetro. Se così fosse c’è un evidente concorso colposo in omicidio plurimo e disastro aereo. Dichiarando che non si erano ricevuti i premi, l’Enac avrebbe tenuto l’aereo a terra e quelle 24 persone sarebbero ancora in vita. Forse proprio per questi motivi, quella dirigenza della Sasa messa là solo per una stagione e al solo scopo di far fuori la vecchia dirigenza, è poi sparita nel nulla: che fine a fatto? Perché sono stati tutti quanti a sua volta cacciati via? Chi è venuto a sapere di queste losche operazioni e poi si è affrettato a buttar fuori i buttafuori lavandosi pilatescamente le mani? Nel mio scritto “Giustizia e Imprenditorialità ” di aprile del 2004 rimproveravo alla Fonsai che i dirigenti rilevati avrebbero voluto sostenere la verità anche davanti al nuovo CdA il quale, invece, in spregio allo Statuto e ai doveri degli amministratori descritto negli artt. 2391 e 2392 del c.c., come buoni cicisbei fantocci, evidentemente non volevano ascoltare alcuna verità perché l’ignoranza e la santocchieria tartufesca non vogliono mai sentirsi dire come stanno le cose.
C’è una barzelletta che racconta spesso il nostro presidente del consiglio con evidente autoironia: un aereo sta precipitando; il pilota si è buttato con il paracadute e restano 4 persone a bordo ma solo 3 paracaduti. Le persone sono Obama, Berlusconi, il Papa e un bambino: Obama dice io sono l’uomo più potente del mondo quindi prende il paracadute e si butta. Berlusconi: io sono l’uomo più intelligente di Europa, prende il paracadute e si butta. Il Papa dice al bambino di prendersi il suo paracadute giacché lui confida nel Signore. Ed il bambino esclama: “Non è necessario, Santità ! Abbiamo tutti e due un paracadute: l’uomo più intelligente di Europa si è appena buttato col mio zainetto”. Ecco appunto. Ho l’impressione che quel management fatto di buoni a nulla e capaci di tutto, che si è dato tanto da fare per spazzar via i dirigenti ma non per amministrare alcunché, quel management così bravo, furbo e intelligente, si sia poi buttato col zainetto.