Fedele alla tradizione di questa newsletter ospito volentieri interventi anche discutibili e che personalmente discuto; sarei un bugiardo se dicessi che questo di Walter Mendizza mi convince, ma conoscendo chi l’ha mandato so che la sua è una “provocazione” che ha come fine quello di stimolare una riflessione, e non è fine a se stessa. Non direi che sia paragonabile, sia per la gravità che per la quantità , la violenza subita e patita dalle donne da parte di uomini, con quella subita e patita da uomini da parte di donne. Mendizza a un certo punto cita un dato spagnolo: “il 22% dei morti ammazzati all’interno delle mura domestiche erano uomini e tale percentuale raddoppiava nel caso di maltrattamenti”, scrive; ed è bella cifra; però, significa che il restante 78% è costituito da donne. E come cifra è ancor più terrificante, no? Idem per quello che riguarda i maltrattamenti (Va.Ve.).  Â
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Vorrei parlare della “offensiva rosa” che ha preso negli ultimi anni una piega a mio avviso decisamente esagerata; tanto che credo sia arrivato il momento di rivedere i nostri parametri sull’argomento. Lo spunto mi è stato dato da due eventi: quello di Bussolengo dove qualche giorno fa una donna è stata denunciata per violenze sul marito che prendeva regolarmente a calci e pugni, gli aveva ritirato la firma sul suo conto corrente ed infine lo costringeva ad accettare la visita dei suoi amanti senza che lui potesse ribellarsi, pena la chiusura in cantina senza acqua né cibo. Da sempre utilizziamo il termine sesso debole per le donne oppure “gentil sesso”, ma i casi di mariti o conviventi vittime della furia delle loro compagne sono molto più diffusi di quanto non si creda. E la cosa è ancora più sotterranea di quella delle violenze contro le donne perché gli uomini picchiati tacciono per il timore di essere presi in giro.
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L’altro evento che ha fatto da classica goccia che fa traboccare il vaso: qualche giorno fa sono stato redarguito da una compagna radicale per aver usato il termine “signorina” in una e-mail nei confronti di una ragazza. La compagna radicale mi ha detto che “signorina è un termine diminutivo che dovrebbe essere abolito poiché deriva dal bisogno di considerare una diminutio il non essere spostate e/o di indicare uno stato di 'disponibilità ' all'uomo”. Io le ho risposto che mi pareva francamente esagerato pensare che il termine “signorina” dovesse essere considerato una diminutio, tanto da farlo abolire trattandosi di un termine politicamente scorretto come ad esempio il termine “negro” che poi è solo lo spagnolo di “nero”. En passant, in Sud America il termine “negro” non era affatto spregiativo, almeno fino agli inizi degli anni ’70, così come non lo era (e non lo è) il termine “viejo” o “vieja” per riferirsi ai propri genitori padre e madre rispettivamente, anche se questi sono giovani.
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L'osservazione della compagna radicale, però, mi ha fatto riflettere sul tabù della condizione maschile che proprio non è mai menzionata. E la cosa non vale solo per l’Italia. Ad esempio in Spagna un paio d’anni fa l’annuario statistico della guardia civil metteva a nudo una realtà omertosamente sottaciuta: il 22% dei morti ammazzati all’interno delle mura domestiche erano uomini e tale percentuale raddoppiava nel caso di maltrattamenti. In Italia il fenomeno esiste ugualmente solo che viene messo in sordina perché ci si vergogna e perché per il maschio italico uno malmenato da una donna come minimo perde il suo status di uomo. Quindi di questo fenomeno si conosce poco o niente.
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I movimenti di liberazione della donna sono sempre state bandiere radicali, tuttavia non so quanto queste battaglie sulla condizione femminile debbano continuare sugli stessi binari ormai logori. C’è una parte della società dove uomini e donne, finalmente adulti, si riconoscono come essere umani aventi pari dignità e diritti, che crede che la crescita insieme sia un’avventura straordinaria. Però si tratta di una parte della società e come sempre accade nelle lotte di classe, o per i diritti umani, c’è chi è in prima linea e chi invece è rimasto un po’ (o tanto) indietro. Per quelli che stanno nelle ultime file possiamo fare poco ormai. La nostra battaglia per la liberazione della donna è andata molto avanti ed è parecchio datata, tanto che la solita nenia di Emma Bonino sulla violenza alle donne comincia ad essere noiosa e irritante per molti radicali. Mi rendo conto che il discorso di Emma è diretto ai non radicali ma chi finora non ha capito questa battaglia, certamente non la capirà più: costoro continueranno ad essere quello che sono, dei buzzurri violenti, dei maschi che sono “machos” per celare magari un’impotenza latente o forse un’omosessualità repressa, gentaccia che alla lucidità della mente antepone l’obnubilamento dei pensieri e appena qualcosa non va passa a menar le mani. Ma quello che sconcerta è che continuare a parlare sempre e comunque della violenza sulle donne non pone in evidenza il fenomeno opposto che invece è rappresentato da un numero di uomini niente affatto trascurabile.
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Questa riflessione vuole mettere in risalto che ormai è arrivato il momento di rendersi conto che da tempo si è invertito il pendolo della storia: il sesso forte è diventato quello femminile e amen. Lo dimostra il linguaggio che utilizziamo: ad esempio se un maschio pretende un rapporto sessuale, è uno stupratore, mentre se lo fa una donna è una libera da pregiudizi, se poi lo vuol fare due volte al giorno è un sessuomane mentre se lo chiede una donna è una che sa esprimere i propri desideri. Se una donna alza le mani contro il partner si difende sempre dalla violenza di lui (magari solo psicologica) mentre se lo fa un uomo è sempre un manesco aggressivo e prepotente. E’ una questione di carattere culturale. Lo stereotipo che passa più facilmente è quello di considerare tutti gli uomini come oppressori, mentre le donne vengono esaltate oltre i limiti del parossismo. Oggi gli uomini non possono denunciare le violenze nei loro confronti semplicemente perché non ci sono i luoghi adatti per farlo, né sono messi a loro disposizione telefoni verdi con persone competenti dall’altra parte della linea per ricevere queste telefonate.
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Non si è creata nessuna parità di diritti, ma si sono generate incredibili ingiustizie a danno maschile per il fatto che la legge tutela sole le donne, che hanno il diritto di distruggere a loro piacimento un uomo, una famiglia: è sufficiente calunniare con faccia strappalacrime al momento giusto di fronte ad un giudice ed il gioco è fatto: casa, stipendio, figli, tutto diventa un diritto. Di conseguenza i maschi adulti vengono deprezzati in tutto quello che dicono e fanno, derisi, sbeffeggiati, umiliati, e privati dei diritti più elementari, come quello di potere essere padri dei propri figli, giacché non c’è giudice che in caso di separazione non dia tutta la ragione alla donna e tutto il torto all’uomo. Così oggi un bambino maschio nasce svilito, gravato da una colpa incommensurabile.
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Bisogna avere il coraggio di affrontare questo tema che è un tema scomodo, controcorrente. Un tema radicale per i radicali. Del resto chi può farlo sennò? Non questa destra così potente e prepotente ma anche impotente come dice Pannella. Neppure questa sinistra, buoni quasi a nulla, che si terrà alla larga da questi temi scomodi, tranne cavalcarli qualora dovessero emergere o rivelarsi vincenti come è accaduto con il divorzio. No, questi schieramenti non sono adatti per affrontare temi scomodi. Solo i radicali possono farlo. Alla fine bisogna solo dire a chiare lettere che ci siamo francamente rotti le palle (si può dire “rotto l’utero”?) di questa società che per esorcizzare le sue colpe l'unica favola che accetta è la tiritera della donna sempre vittima schiacciata, comunque oppressa e dovunque sfruttata, mentre il maschio sempre profittatore, comunque oppressore, e dovunque sfruttatore, e qualsiasi dubbio posto al riguardo suscita lo stesso furore aggressivo di chi mette in discussione l'olocausto.
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Oggi la donna è di gran lunga vincitrice nel mondo occidentale e per ottenere questo risultato occorre che l'uomo sia sconfitto e discriminato. E come abbiamo detto, la cosa comincia col linguaggio: un uomo che non guadagna è un “mantenuto” mentre una donna che non guadagna è una casalinga. Un uomo che cresce ed educa la prole è chiamato spregiativamente mammo giacché un padre che fa il padre non esiste come essere a sé stante, al massimo scimmiotta la madre. E che dire del ruolo sociale di una donna che accompagna ad esempio un presidente o un ambasciatore? Anche lei assume indirettamente lo stesso ruolo ed anche lo stesso titolo (presidentessa, ambasciatrice), il contrario non c’è: che titolo ha il marito della presidentessa? E quello di un’ambasciatrice?
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Oltre al linguaggio c’è il comportamento sociale. In tutte le situazioni di emergenza si dà per scontato che devono salvarsi per prima le donne e i bambini, va da sé che la vita del maschio adulto debba avere un valore inferiore. Quando si ha notizia di una sciagura, si dice sempre che ci sono stati tot morti, di cui X donne e bambini. Ma perché si fa questa precisazione? Risposta: perché le vite umane non hanno lo stesso valore! Ecco perché chi riferisce la notizia deve sempre specificare in modo preciso, scrupoloso, puntiglioso, deve far capire quanti morti di serie A e quanti di serie B. Senza contare poi se si tratta di fare il bilancio de caduti in qualche guerra. Là si inorridisce solo di fronte alle vittime civili, i militari sporchi maschilisti guerrafondai non contano un cazzo (peraltro perché quando una cosa non vale nulla si dice che non vale un cazzo e mai che non vale una fica?). L'obiezione non è accettabile nella società del pensiero unico.
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Se un uomo si lamenta per un'ingiustizia subita è un perdente. Se lo fa una donna è una vincente. Essere traditi per un maschio è essere un cornuto mentre per una donna è essere una vittima. Se una mamma protesta, incatenandosi da qualche parte, tutti i media vanno a intervistarla, se lo fa un uomo non gli dedicano nemmanco un retro articoletto nella pagina meno letta del giornale. Da 15 anni in Veneto gli istituti di vigilanza privata assumono donne che però godono di diritti che nessuna guardia giurata di sesso maschile può godere: possono rifiutarsi di fare un turno di lavoro, o di lavorare di notte o di lavorare in mezzo ad una strada o all’aperto. I privilegi femminili vanno dal linguaggio ai comportamenti sociali e mostrano che l’Italia è diventato un paese femminista, dove vige una discriminazione sessuale alla rovescia. Le leggi fatte a favore delle donne stanno consegnando un assegno in bianco a milioni di esse che ogni giorno vanno all’incasso. Non si rendono conto che ciò pregiudicherà il futuro delle loro figlie.
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L’Italia è un paese femminista e omofobo: se un uomo decide di fare lavori che “tradizionalmente” spettano all’altro sesso è un finocchio, mentre se lo fa una donna è una pioniera. Nell’amministrazione pubblica se un uomo viene promosso bisogna produrre una memoria giustificativa che non è necessaria se ad essere promossa è una donna. Un bando di assunzione non può discriminare le donne (sarebbe reato) ma può tranquillamente discriminare gli uomini. Infatti non si possono prendere uomini per bandi in cui si assumono maestre, educatrici, cameriere, hostess. Che dire poi della sacrosanta battaglia di Emma Bonino contro alcuni privilegi della casta femminile come quella in cui le donne vanno in pensione 5 anni prima degli uomini nonostante la loro speranza di vita sia quasi 8 anni più lunga?
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Le commissioni per le "pari opportunità " operano esclusivamente al femminile, escludendo completamente i maschi dalla possibilità di essere soggetti di eguale diritto. In un sito internet che vorrei citare ma purtroppo non ricordo, si diceva che nei contratti di lavoro le donne sono esentate dal lavoro notturno, come da ogni lavoro pericoloso, rischioso o usurante, e questo spiega perché il 95% dei morti sul lavoro sono maschi. Poi bisogna dire che i lavori pericolosi, rischiosi o usuranti, sono solo maschili. Nelle miniere, negli altiforni, negli impianti chimici, nei cantieri con impalcature e in tutte le altre professioni rischiose ci sono solo uomini. O meglio: ci sono pure le donne, ma queste ultime solo in posizioni dirigenziali, a comandare da una comoda poltrona e a coordinare le fatiche dei maschi che rischiano la pelle e la salute. Infine per giurisprudenza costante, suffragata da continue sentenze della Cassazione, quando una donna è senza lavoro è perché non lo trova. Questo significa che deve essere mantenuta. Ma se un uomo è senza lavoro è perché non lo cerca. E' quindi un maledetto sventurato che deve essere punito, anche con la prigione, del suo parassitismo nei confronti della società . E la storia continua ancora con le qualifiche professionali. Una donna che faceva il medico si era offesa perché era stata chiamata dottore, ma una volta ho incontrato una donna infuriata perché chiamata direttrice, secondo lei svalutativo, al posto di direttore; tuttavia in seguito avevo visto un'altra donna imbestialita per lo stesso motivo ma al contrario: lei, pretendeva di essere chiamata direttrice e non direttore, dicendo che dove esiste il femminile questo va usato. Sono arrivato a sentire perfino oscenità come signora direttore, ma lì eravamo in un caso che rasenta la patologia. E così via con presidente - presidentessa, giudice - giudichessa, avvocato - avvocatessa…
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Ha fatto bene la compagna radicale a farmi l’osservazione sul termine “signorina” che ho utilizzato forse con troppa disinvoltura nell’intestazione di una e-mail: Gentile sig.na XY. Ha fatto bene perché mi ha fatto riflettere sulla condizione maschile e dovendolo scrivere ho potuto finalmente rendermi conto fino a che punto siamo arrivati. Questo non significa ovviamente che possiamo abbassare la guardia, il problema della discriminazione verso le donne esiste. Né più né meno di quello verso gli uomini.