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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Un esempio di brigantaggio assicurativo

di Walter Mendizza

Da tempo sostengo che nel management assicurativo nel nostro Paese si annidano, ahimé, degli incapaci dal punto di vista industriale a causa di una patologia intrinseca alla natura del business, la c.d. "inversione del ciclo produttivo": prima si hanno i ricavi sotto forma di premi e poi (eventualmente) i costi sotto forma di sinistri, a differenza di quanto accade nel resto del mondo economico-industriale (tranne il gioco d'azzardo). Quando il management non è ben preparato la gestione tende ad essere più "allegra" posto che gli effetti di eventuali comportamenti scorretti si vedono 10, 15 anni dopo.

Questa tesi è dimostrabile andando a vedere le sanzioni che regolarmente commina l'istituto di vigilanza (Isvap) oppure andando a leggere le dichiarazioni che fanno alcuni manager assicurativi, dirigenti dalla faccia ottusa, che hanno un rapporto bovino con i premi assicurativi, immuni da dubbi o suggestioni, sembrano mangiare anabolizzanti per bestiame di allevamento. Queste mummie fossilizzate sono veri e propri zombie che se ne fregano delle regole e ripetono estenuanti errori che li portano ad essere multati ripetutamente. Già nel dicembre del 2006 riportai un articolo nel quale si evidenziava che l'Isvap aveva irrogato una sanzione record alla Sasa, compagnia del gruppo FonSai, era la prova provata di un management incapace. La cosa però non finì quell'anno.

Il 4 agosto del 2007 il Sole 24 Ore scriveva che il gruppo FonSai, nel solo mese di Giugno, (un mese quindi!) era stato percosso da sanzioni con ben 49 provvedimenti per un totale di oltre mezzo milione di euro di cui oltre 150 mila euro erano riferibili alla Milano Assicurazioni colpita da 19 sanzioni. Ben 15 delle 49 sanzioni ricevute vedevano coinvolto in solido Fausto Marchionni, il quale all'epoca dei fatti contestati era direttore generale. Marchionni è un pacioso signore (diventato poi amministratore delegato) il quale come un falconiere col falcone lanciò in volo verso Sasa un signor nessuno nell'illusione che bastasse poi un fischio per richiamarlo e riporlo in gabbia. Solo che il signor nessuno non solo non tornò indietro ma si mise a volteggiare in cieli sempre più alti sfuggendo al controllo e alla vista del suo incauto mentore.

Il signor nessuno, diventato falco passò poi a considerarsi l'Unto del Signore, che lotta contro il Male, ed il Male eravamo noi, il vecchio management, che fu sbattuto fuori senza esitazioni per impossessarsi del giocattolo. L'Unto del Signore paracadutò a sua volta una consorteria di incompetenti che portò la compagnia praticamente alla rovina. Lascio parlare i fatti: il 10 novembre del 2007 il Sole 24 Ore ripubblica i provvedimenti dell'Authority completando le informazioni fornite tre mesi prima. Le multe nei primi nove mesi erano state pari a 11,7 milioni e a dominare la scena era sempre il gruppo FonSai assieme alle sue controllate. Le sanzioni arrivavano a ben 5 milioni di euro. In prima posizione la FonSai stessa con 3,4 milioni, in terza posizione si collocava la controllata Milano Assicurazioni con 1,3 milioni ed in nona posizione la Sasa controllata a sua volta dalla Milano Assicurazioni.

L'anno seguente, il 12 luglio del 2008, viene fatta un'altra rilevazione sulle compagnie più colpite riferite al mese di maggio del 2008. Ai vertici della classifica, le stesse compagnie: prima c'era la Milano Assicurazioni con oltre 1 milione mentre al secondo posto, la capogruppo FonSai. Insomma il lupo perde il pelo ma non il vizio. Lo dissi al giudice nel 2002 e nel 2003 e dato che nessuno mi dava retta, l'ho scritto assieme a tutta la storia di Sasa nel mio sito personale e per questo motivo ebbi addirittura un'ingiunzione di chiusura del sito! Per aver scritto frasi del tipo "è arrivato un signore con i capelli impomatati e i baffetti alla Clark Gable" si gridò alla diffamazione e si invocò la chiusura del sito con un ricorso urgente ex art. 700 c.p.c. sia contro il sottoscritto, sia contro Aruba SpA la società che gestisce i domini dove vengono appoggiati i siti. Mi rendo conto che sembra incredibile, ma è la verità: questi buoni a nulla ma capaci di tutto avevano avuto il coraggio di mettere in discussione la libertà di espressione protetta costituzionalmente per evitare che venissero raccontati i fatti. In effetti a pensarci bene il racconto dei fatti indica in qualche modo il carattere dei personaggi ed il loro rispecchiarsi nelle azioni compiute per cui la natura delle persone la si deduce dalle proprie azioni.

Come se non bastasse, a gennaio di quest'anno il “Sole 24 Ore” fa un bilancio complessivo del 2008: primo vincitore assoluto in questa classifica negativa è la Milano Assicurazioni con 414 sanzioni per un totale di quasi 7 milioni di euro e seconda classificata è FonSai con 392 condanne per un totale di oltre 5 milioni di euro. La Sasa arriva al quinto posto con 109 sanzioni e ben 1,6 milioni di euro come importo totale. Da notare che la Sasa rappresenta in termini di multe il 4,15% del mercato mentre in termini di premi è appena lo 0,98% dei rami danni. Una strage in termini di competitività. Un mio ex collega mi diceva che hanno fatto un casino impressionante per buttare fuori la vecchia dirigenza, e per cosa poi? Per sostituirla con degli inetti che hanno portato questa piccola compagnia triestina alla soglia del disastro. Ma meritava far tutto questo? A Trieste, città in stato di decadenza perenne, si respira assicurazioni da centinaia di anni. L'unica cosa che i triestini sapevano fare bene era il mestiere di assicuratori. Come è possibile pensare che quattro scalmanati provenienti da chissà dove, incapaci di capire cosa sia questo delicato business, potessero improvvisamente sedersi al comando della compagnia senza far danni e senza mandarla a sbattere?

Non c'è niente da fare, ha ragione Pannella: dove c'è strage di legalità poi inevitabilmente c'è anche strage di persone. E' una predizione che purtroppo si compie con immutabile regolarità, una regola aurea che vale dappertutto, non solo per le grandi questioni mondiali, per tibetani e cinesi, ma anche per il più piccolo caso Italia, per la Peste Italiana che si manifesta in ogni angolo del nostro Paese, sotto ogni tappeto sociale, economico e politico. Anche il mondo assicurativo non poteva sfuggire a tale regola. Il 19 febbraio del 2004, dopo 3 anni della fuoriuscita dei dirigenti Sasa ad opera della Sai, il giornalista Riccardo Sabbatini chiese a Fausto Marchionni, se "/anche quest'anno l'utile della società sarà influenzato dalla volatilità delle riserve tecniche la cui riduzione, lo scorso esercizio, rese possibile il raggiungimento di un utile netto?/". Al di là della risposta di Marchionne, il fatto che si sia posta una domanda del genere avrebbe dovuto far saltare dalla sedia anche il più sprovveduto dei lettori. Chiunque avesse letto quella domanda avrebbe dovuto scrivere immediatamente alla Procura della Repubblica: si stava insinuando che l'utile del 2003 si è potuto produrre soltanto con la manomissione delle riserve tecniche. Un reato e per giunta un reato grave.

Di queste cose non si deve minimamente parlare. Quando io, direttore generale di Sasa Vita, dissi al collega Unto del Signore direttore generale di Sasa Danni: "/Lei si occupi piuttosto delle sue riserve che sono sicuramente sottovalutate e lasci in pace la compagnia vita che invece ha le riserve corrette fino all'ultima lira/". Apriti cielo! La battuta non solo non fu gradita ma venne interpretata come una minaccia per cui venni cacciato immediatamente nel giro di pochi giorni, tempo necessario per inventarsi una serie di pretesti campati in aria. Avevo toccato un nervo scoperto. Fui accusato improvvisamente di /malagestio/ (io?!) senza poter neppure difendermi, neanche davanti al nuovo Consiglio di Amministrazione in spregio all'art. 20 dello Statuto e ai doveri degli amministratori descritto negli artt. 2391 e 2392 c.c. Un
C.d.A. che non ha voluto ascoltare alcunché.

Purtroppo in questo Paese è molto difficile far rispettare le regole: tutto può essere cambiato e interpretato a piacere da chi ha il potere e denunciarlo o farlo valere in un tribunale è quasi impossibile. Ad esempio, mi sono rifiutato di andare alle riunioni di Sasa Danni perché non volevo essere testimone delle porcate che là si combinavano, ma questo fu usato contro di me ed anche l'ignaro giudice mi diede torto perché lo interpretò come un atto di insubordinazione. Le porcate poi sono state insinuate dal giornalista del “Sole 24 Ore”, non solo per Sasa ma addirittura per tutto il gruppo FonSai e senza che Marchionni facesse la benché minima smorfia. Schifezze del genere farebbero trasalire chiunque, e rappresentano la via maestra per azionacce via via più grandi come quella già menzionata in un articolo precedente riguardante
una presunta truffa ai danni dei riassicuratori nel disastro aereo dell'ATR avvenuto in Pristina nel Kosovo il 12 novembre del 1999. In quell'occasione la copertura assicurativa del velivolo era sospesa perché al momento del volo non era stato pagato il premio, ma la Sasa omise di dare la prescritta comunicazione all'ENAC. Inutile dire che se tale comunicazione fosse stata data, l'Ente (ENAC) avrebbe notificato il divieto di volare per il velivolo coinvolto, salvando così la vita a 24 persone. D'altra parte a nessuno sfugge che il premio debba assolutamente essere pagato a priori.

Ecco perché il mondo assicurativo è estremamente delicato e darlo in mano ad alcuni incompetenti è molto pericoloso. Come ho spiegato diverse volte, l'inversione del ciclo produttivo fa sì che ci si butti nelle assicurazioni come un Eldorado, ma non è oro tutto quel che luccica. Forse l'indole di Trieste, così austro-ungarica assieme al fatto di essere porto per l'Austria, permise uno sviluppo in questo ramo del tutto sconosciuto nelle altre città. Un rigore della borghesia dell'Ottocento che a poco a poco è andato tramontando e le sue compagnie sono state oggetto del desiderio della finanza rampante. Nel nuovo mondo, quello della finanza arrivista e ambiziosa, il rigore non è d'obbligo, anzi, quel che conta è fare cordata con gli altri, un consociativismo senza scrupoli, l'aumma aumma di Pulcinella. Perciò quanto più si fa carriera più il meccanismo ti stritola e diventa un tritacarne di cui è difficile tirarsi fuori, ma soprattutto non si può fare il "puro" pena l'allontanamento nel migliore dei casi o il licenziamento se si è finiti in un ambiente di malfattori.

Chiunque abbia lavorato a quei livelli ha potuto toccare con mani i meccanismi omertosi e collusivi che consentono lo status di dirigente soprattutto quando questo è ingiusto ed ingiustificato. Neppure facendo come le tre scimmiette, non sento, non vedo, non parlo, ci si può salvare. L'attuale sistema è basato sull'egoismo degli uomini che vendono la propria libertà e il proprio onore per piccoli vantaggi personali. Nel caso dell'ATR la disonestà passa ancora più inavvertita giacché la compagnia pagò subito a tutti, sia alla proprietà del velivolo, sia ai famigliari coinvolti, pur non avendo ricevuto il premio nei tempi contrattualmente previsti. Lo ha fatto perché il rischio era molto frazionato e ceduto ai riassicuratori e coassicuratori per oltre il 99%. Fare magnanimo, ma coi soldi degli altri. Per evitare gli scandali che sarebbero venuti fuori, la compagnia alterò la data del pagamento del premio, avvenuto *dopo* il disastro, retrodatandola in modo che figurasse avvenuto *prima* del disastro. Un'altra prova provata. Come le multe.

Nel Paese di Machiavelli dove i mezzi non prefigurano i fini ma li giustificano, il comportamento banditesco, il brigantaggio assicurativo di quella dirigenza Sasa potrebbe anche trovare consenso tra la gente, alla stessa stregua che il crescendo di antipolitica nella società. C'è un facile populismo che può far vociare un "dacci dentro" contro le compagnie di assicurazioni, tutte ladre. Su questo luogocomunismo, se una piccola compagnia riesce a raggirare altre cento, è l'ebbrezza dell'estasi che manda la folla in visibilio.

Solo che se ci abbandoniamo a questo populismo rischiamo di costruire un Paese dove la simulazione è d'obbligo, il traccheggiamento un dovere e la truffa un merito. E quando il raggiro diventa una qualità, l'imbroglio un valore e l'inganno una virtù, possiamo pure calarci nella tomba. Con l'epitaffio dettato da Indro Montanelli: "Qui giace l'Italia: era ora".