È così "folle" pensare a una società con meno carcere? Questo l’interrogativo che le associazioni operanti nei cinque istituti penitenziari della regione, che aderiscono alla Conferenza Volontariato Giustizia del Friuli Venezia Giulia, hanno posto ai partecipanti al convegno "Diritti umani, uguaglianza, giustizia sociale, verso un welfare planetario" promosso dal Centro di accoglienza "E. Balducci" e dall’Ordine degli Assistenti sociali del Friuli Venezia Giulia e svoltosi lo scorso 20 settembre all’interno della Casa circondariale di Udine con una rappresentanza delle persone detenute.
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Una giornata che non può non essere ricordata e richiamata alla luce della condizione in cui versa il sistema penitenziario italiano. Un dato su tutti è l’incremento dei suicidi e delle morti nelle strutture penitenziarie, non poche da "accertare", e a fianco a ciò non si dimentichi anche il crescere degli atti di autolesionismo; dati che indicano il progressivo deterioramento delle condizioni di vivibilità negli istituti. Anche il nostro sistema penitenziario regionale è condizionato dal sovraffollamento, a fine settembre le persone detenute erano 858 a fronte di una capienza regolamentare complessiva di 548 posti, due istituti su tre sono al limite della vivibilità e due recenti suicidi poi hanno drammaticamente evidenziato le criticità che vive il sistema detentivo della nostra regione.
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Come Associazioni di volontariato non possiamo rimanere indifferenti a questa situazione se è vero che "La civiltà di un paese si misura osservando la condizione delle sue carceri" e avanziamo alcune circostanziate proposte alle istituzioni e ai rappresentanti politici di questa regione che non possono limitarsi alla visite nei diversi istituti durante le festività natalizie e ferragostane.
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Ci sembra doveroso: rendere operativa la riforma sanitaria penitenziaria in base alla quale la regione viene a garantire il diritto alla salute alle persone detenute tramite le aziende sanitarie di riferimento; potenziare la presenza dei servizi di carattere psicologico e psichiatrico garantendo in tutti gli istituti il servizio di accoglienza "nuovi giunti"; sviluppare in modo permanente attività formative ed occupazionali tese a ridurre l’inattività e l’inoperosità decisamente deleterie all’interno delle strutture penitenziarie; definire un progetto obiettivo specifico per le persone detenute tossicodipendenti che andrebbero curate più che incarcerate; prendere in carico le persone detenute straniere con la l’attivazione dei servizi di mediazione linguistica e culturale; realizzare un’accoglienza dignitosa per i familiari garantendo il diritto alle relazioni parentali e all’affettività .
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A questi interventi è doveroso incrementare le misure alternative alla detenzione, se si pensa che Il 64% della popolazione detenuta ha una pena inferiore ai tre anni e che queste misure sono decisamente più efficaci, rispetto alla detenzione, nel ridurre la recidiva; ciò potrebbe essere realizzato con: il lavoro esterno, non solo con il sostegno della cooperazione sociale; i lavori socialmente utili in favore della comunità e del territorio esterno (si pensi all’interessante esperienza effettuata per la manutenzione boschiva del territorio montano locale); le borse lavoro e i tirocini formativi utili a ad una qualificazione professionale; le attività di volontariato e prosociali (non pochi detenuti esprimono questa istanza piuttosto che rimanere completamente in ozio all’interno del carcere).
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Siamo consapevoli che le situazioni di disagio e di devianza, di microcriminalità non si possano affrontare costruendo più carceri, come peraltro prevede l’attuale compagine governativa, ma con politiche sociali, politiche di prevenzione, di educazione alla legalità , di cura del tessuto sociale e dei suoi legami, di attenzione alle vittime dei reati. In questa prospettiva non si riscoprirebbe la valenza della sicurezza sociale e non tanto della sicurezza tout court basata sulla videosorveglianza e sull’attivazione di ronde volontarie?
In altri termini è folle pensare ad una società con meno carcere quando altri percorsi non detentivi permettono la riduzione della reiterazione del reato e quindi dell’insicurezza?