Siamo già in un altro ciclo politico. Si è ormai aperto un nuovo quindicennio e bisogna prenderne atto. Comincia, con il 2010, un altro quindicennio: stavolta di riforme. Anzi, come direbbero Giuliano Amato, Claudio Signorile, Rino Formica, Claudio Martelli e il vecchio gruppo dirigente socialista, della “Grande Riforma”. Quella che si sarebbe dovuta fare nel 1992 e che, invece, non si compì. Motivo per cui l’intero sistema dei partiti storici si sgretolò permettendo alla partitocrazia, all’epoca sull’orlo della sconfitta, di sopravvivere e di continuare a dominare. Insomma, oggi, abbiamo bisogno di un “Progetto riformatore”, che sappia guardare al presente e, al medesimo tempo, ai prossimi quindici anni. Ma non è un auspicio, si tratta piuttosto di una prefigurazione, un presentimento, una possibilità concreta.
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Non a caso, dopo dieci anni dalla prematura scomparsa di Bettino Craxi, si ritorna a parlare del leader socialista, si riprende a discutere con maggiore serenità del suo ruolo politico e della sua visione innovatrice. Il giro di boa è avvenuto. Siamo nel futuro. Il ciclo politico precedente, infatti, si è concluso. Si è aperto un altro capitolo della nostra transizione repubblicana. E’ necessario scriverlo, ammetterlo, riconoscere che il naturale bioritmo dell’infinita transizione italiana, ha ripreso a girare. Comincia una nuova fase che durerà altri quindici anni, una fase in cui il Risorgimento sembra davvero ritornare d’attualità per potersi finalmente compiere. Anche se le forze secessioniste e xenofobe avanzano.
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La prima luce del nuovo ciclo sembra rischiarare e chiarire le idee. La stagione iniziata nel 1994 è terminata con le elezioni europee del 2009 e ha posto il suo sigillo conclusivo con il risultato del voto referendario del giugno scorso, cioè con il referendum per la modifica del “porcellum”. E quando dico “porcellum”, premetto, non lo intendo in senso dispregiativo, anche se la tentazione è davvero forte, ma uso semplicemente l’appellativo con cui si è soliti definire l’attuale legge elettorale. Ribadisco: la legge “porcata” è quella tuttora in vigore. Ci vorrebbe l’uninominale.
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Il voto referendario del giugno 2009, è bene ricordarlo, è stato reso vano dal mancato raggiungimento del quorum necessario per convalidare l’esito della consultazione. Un risultato, quindi, non privo di conseguenze politiche e sull’attuale sistema. Un esito disastroso, che segna profondamente la fine di una stagione e che chiude, con gli ultimi strascichi dei sei mesi appena trascorsi, l’intero ciclo iniziato nel 1994.
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Intanto, lunedì 18 gennaio, ci sono stati due interventi che, a mio parere, segnano l’avvio di un nuovo ciclo politico. Mi riferisco alla lettera indirizzata ad Anna Craxi da parte del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e all’articolo di Sergio Romano pubblicato dal Corriere della Sera e intitolato “Il ritratto di un leader”.
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La lettera in memoria di Bettino Craxi, scritta dal Capo dello Stato, dimostra come i tempi siano cambiati e come, gradualmente, sia stato possibile affrontare certi temi - assai spinosi e controversi - con toni, parole e argomenti fino a ieri impensabili e, soprattutto, impronunciabili da parte delle più alte cariche dello Stato. Perché si trattava di temi considerati sconvenienti, prematuri, impopolari o addirittura vietati.
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L’altro importante intervento, che non va sottovalutato e che anzi andrebbe riletto con maggiore attenzione, è l’articolo di fondo del Corriere della Sera, firmato da Sergio Romano. E’ un editoriale che preannuncia il futuro.
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L’ambasciatore Romano afferma nel suo pezzo: “Non possiamo ridurre la vita di Craxi al suo epilogo giudiziario senza rinunciare a comprendere un intero periodo della storia nazionale”. Ma non basta, l’ambasciatore precisa: “Il suo principale obiettivo fu quello di rompere l’asse fra democristiani e comunisti che si era formato dopo le elezioni del 1976”. E qui si apre uno scenario storico-politico che è necessario rileggere attentamente per capire quali siano le sfide culturali che si stanno giocando in queste elezioni regionali. Quale sarà il nodo culturale dei prossimi mesi?
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A mio parere, si va delineando l’ennesima prospettiva partitocratica che tenterà di chiudere i conti con il Risorgimento italiano spazzandolo definitivamente via dalla memoria. Dunque, i poteri illiberali e corporativi proveranno ad annientare qualsiasi lascito risorgimentale sopravvissuto nel presente. In particolare, la non-democrazia italiana punterà a imbavagliare i liberali, i laici, i riformatori, i libertari e gli eredi della destra storica di Cavour, Minghetti e Quintino Sella. E’ questa la sfida.
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Per comprendere l’estrema attualità di un tale discorso, allora, bisogna fissare nella mente una data: il 1976. Come ha ben ricordato Sergio Romano nel suo editoriale, infatti, Craxi “tentò di dare al partito socialista, grazie al culto di Garibaldi, un’ascendenza risorgimentale”. Eppure, proprio il 1976, è l’anno della cocente sconfitta dei socialisti ed è giustamente ricordato da Sergio Romano, nel suo libro “Storia d’Italia”, come l’anno in cui il 73,1% degli italiani diede il proprio voto alla Democrazia cristiana e al Partito comunista. Fu il risultato che aprì la strada alla stagione del “compromesso storico” e al successivo governo di solidarietà nazionale. Nel 1976, ricordiamolo, Giulio Andreotti divenne presidente del Consiglio, Amintore Fanfani salì sullo scranno più alto del Senato e Pietro Ingrao assunse la presidenza della Camera dei deputati. Mentre le forze politiche ritenute eredi delle idee e degli ideali risorgimentali uscirono pesantemente sconfitte dalle urne e toccarono il fondo racimolando soltanto uno scarso 25%.
Sempre nel 1976, però, avvennero anche altre due novità inattese che permisero alle forze risorgimentali, date ormai per morte, di arrivare fino a noi e di essere vive ancora nel 2010 come una memoria pulsante, ovviamente proiettata verso il futuro. Per la prima volta, infatti, proprio nel 1976, ci fu l’ingresso in Parlamento dei Radicali di Marco Pannella, che costituirono il gruppo Federalista europeo. Inoltre, nello stesso anno, all’hotel Midas di Roma, alla fine del Congresso del Partito socialista italiano, venne eletto segretario l’allora quarantenne Bettino Craxi. Tanto che, forse proprio grazie a questi due eventi, qualche anno dopo, per la prima volta nella storia repubblicana, un laico andò alla guida di un governo nazionale. E lo fece proprio sulla scia delle idee risorgimentali. Infatti, l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, socialista, diede l’incarico a Giovanni Spadolini di formare il nuovo governo. E Spadolini fu il più risorgimentale dei politici italiani.
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In virtù di tale analisi, nel suo articolo del 18 gennaio, Sergio Romano - giustamente - asserisce che “esiste una evidente contraddizione tra le ambizioni riformatrici di Craxi e un sistema che antepone la clientela al merito, il pagamento di una tangente alla qualità dell’opera… Gli storici non potranno riconoscere i suoi meriti senza constatare al tempo stesso i suoi errori”. E’ proprio dagli errori, secondo il pensiero liberale di Luigi Einaudi, che si può ripartire: per correggersi e riformare.