E siamo arrivati a sette detenuti che si sono tolti la vita in ventun giorni. Questa volta a impiccarsi, nel reparto infermeria del carcere di Spoleto è un ragazzo di 29 anni. Era stato arrestato lo scorso 16 gennaio per reati di resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Per quanto si può essere condannati, per reati del genere? E tuttavia per questo ragazzo la detenzione, anche se breve, è apparsa insopportabile, più insopportabile della stessa morte. Giusto due giorni fa presso il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria si è tenuta una riunione, presieduta dal capo del Dap, Franco Ionta, con all’ordine del giorno il rischio suicidi nelle carceri italiane. Si è deciso di impartire a breve delle direttive affinché si possa offrire maggiore assistenza psicologica ai detenuti che ricevono in carcere notizie negative quali, ad esempio, malattie di familiari, separazioni matrimoniali, oppure condanne definitive. Già , ma per attuare queste direttive, occorrerebbe personale competente e adeguato; mentre invece i già scarsi organici vengono ulteriormente ridotti.
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I termini della questione sono di una evidenza che solo chi decide di chiudere gli occhi non vede. Le nostre carceri ospitano oltre 66mila persone a fronte di una capienza massima di 43mila. Il numero dei suicidi e dei tentati suicidi aumenta proporzionalmente alla crescita del sovraffollamento. Le strutture penitenziarie sono degradate e fatiscenti. Non per un caso la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per le condizioni di detenzione inumane e degradanti.
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L’articolo 580 del codice penale dice che va ritenuto responsabile di istigazione al suicidio chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio; ovvero chi ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Se il suicidio avviene, chi viene ritenuto responsabile di questa istigazione va condannato con una pena dai cinque ai dodici anni. Lo Stato italiano, il ministero della Giustizia, dovrebbero essere condannati a vita…
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Dai nostri cugini d’oltralpe, da quel presidente francese Nicholas Sarkozy che non è certo né radicale né di sinistra, arriva un’indicazione che non sarebbe male venisse raccolta anche da noi. Parigi infatti ha scelto un ex detenuto per guidare una missione che renda più umane le sue prigioni. Si tratta di Pierre Botton, ex uomo d’affari che, negli anni Novanta, fu uno dei detenuti più mediatici di Francia, finito in prigione per ricettazione.
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Botton è stato condannato due volte per aver finanziato illegalmente la campagna elettorale del suocero, l’ex sindaco di Lione, Michel Noir, e ha trascorso 20 mesi dietro le sbarre, in ben sette prigioni diverse. Nel 1992, mentre era detenuto alla prigione di Nanterre, nei pressi di Parigi, aveva tentato di togliersi la vita.
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Botton comincia proprio dal carcere di Nanterre, come responsabile di uno studio contro lo shock vissuto dai detenuti nei primi giorni di carcere. Secondo l’INED, un istituto di studi francese, un quarto dei suicidi in prigione avviene nei primi due mesi di detenzione. Anche in Francia il fenomeno dei suicidi in carcere è drammatico, addirittura più che in Italia: nel 2009 si sono uccisi 115 detenuti, 109 nel 2008. Una situazione, dice Botton, provocata da sovraffollamento, mancanza di personale (di sorveglianza, ma anche medici e lavoratori sociali),e l’eccesso di misure "controproducenti": per esempio, ormai ai carcerati francesi viene consegnato un "kit di protezione" che dovrebbe rendere più difficile il passare all’atto suicida, come materassi anti-fuoco, lenzuola che non si strappano, pigiama di carta. Ma non si fa nulla, dice sempre Botton, per ridare "la voglia di vivere" a chi si trova messo a confronto con la violenza dell’incarcerazione. Un quarto dei suicidi è concentrato nei primi due mesi di imprigionamento.
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Forse dovremmo trovare un Botton anche in Italia.
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Da ieri sera Marco Pannella ha iniziato uno sciopero della fame, tre in sostanza gli obiettivi: far emergere la verità sulla scelta assunta da George W. Bush, Tony Blair, Silvio Berlusconi, con la complicità del dittatore libico Gheddafi, di scatenare la guerra in Irak, impedendo che quel paese venisse liberato con la nonviolenza, e facendo fallire le iniziative per costringere Saddam ad accettare l’esilio; l’accertamento, da parte della Comunità internazionale della verità sulle trattative da Cina e tibetani; la disastrosa situazione non solo delle carceri, ma dell’intero pianeta giustizia.
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Il Grande Satyagraha Mondiale per la giustizia, la verità , la democrazia, entra insomma nel vivo. C’è innanzitutto da conquistare il fondamentale diritto di conoscere e di essere conosciuti. Non sarà una lotta facile, non sarà una lotta breve.
Questa la situazione, questi i fatti.