Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 31 marzo 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
La politica clericale e la democrazia. (70)

di Romolo Murri

Per  tutto il secolo XIX,la Chiesa romana si è regolata come se essa volesse e potesse solo trattare i suoi affari con dei sovrani; si è rassegnata a tutte le delusioni che ha avuto dai sovrani costituzionali come a delle fatalità le quali sarebbero passate, ma non ha fatto i suoi conti con il popolo e con l’opinione pubblica: Leone XIII intravide la necessità di procurarsi il favore di questi, ma egli non giunse a portare efficacemente su questo terreno la politica ecclesiastica e coltivò col massimo ardore, e non raramente con successo, i suoi rapporti con i sovrani d’Europa.

 

Quindi la Chiesa ufficiale, in Francia, diffidava profondamente della Repubblica; e questa diffidenza entrava meravigliosamente nei piani di quelli che la Repubblica volevano abbattere. “Non avremmo forse potuto, mi diceva uno dei più eminenti giuristi cattolici francesi, fidarci di Briand; ma e se Briand cade?”. Ed aggiungeva: “Ogni volta che ci siamo fidati del Governo, abbiamo avuto la peggio; ogni volta che abbiamo resistito, qualche vantaggio ce ne è venuto”.

 

Ed è forse per questo motivo che anche oggi l’opinione dei cattolici francesi sullo spirito della legge è profondamente discorde. Gli uni pensano che con essa si inauguri un periodo nuovo per la Chiesa francese, gli altri sono convinti che essa non è che un passo in avanti, nella guerra di sterminio giurata al cattolicismo in Francia dalla massoneria.

 

Che la lotta fra Chiesa e Stato in Francia, come del resto in molti altri paesi d’Europa, debba continuare, noi ne siamo convinti. C’è, specialmente nella coscienza dei popoli latini, una specie di malessere profondo,il quale nasce dal non aver essi ancora sistemata e risolta la questione religiosa, malessere che c’impedisce di dar tutta intiera l’attenzione e l’attività a problemi nazionali gravi ed urgenti. Le due diverse concezioni della vita, delle quali l’una fa capo all’insegnamento laico e l’altro alla dottrina cristiana, continueranno a disputarsi le coscienze perennemente: ma noi crediamo che sul principio del 1906 la questione non si presentasse in questi termini alla Chiesa di Francia. Non si trattava forse tanto, per essa, di aver fiducia o meno in Briand, e nei governi repubblicani, quanto di aver fiducia in se stessa. Questa fiducia non poteva venire che da una chiara conoscenza delle condizioni nelle quali il cattolicismo in Francia doveva vivere e svolgersi. Quando Leone XIII suggerì ai cattolici francesi il ralliement alla Repubblica, questo non poteva operarsi seriamente ed efficacemente se non ad una condizione; che cioè nel seno stesso del cattolicismo si cercasse di svolgere rapidamente quelle forze di intelligenza, di iniziativa, di attività sociale che avrebbero un poco alla volta, insensibilmente ed inevitabilmente, operato dall’interno l’acclimatazione repubblicana. Ma allora anche i cattolici più intelligenti non videro chiaramente questa necessità, e si continuò a considerare la democrazia come un pericolo ed una insidia che l’accordo fra le due autorità, religiosa e civile, potesse solo fronteggiare.

 

Quando, più tardi, si trattava di accettare o respingere la posizione fatta al cattolicismo della posizione fatta al cattolicismo della nuova legge, ancora una volta i cattolici francesi ebbero fiducia nel numero di seguaci che credevano di poter raccogliere per una politica di resistenza, e ne ebbero invece troppo poca nelle risorse delle quali potevano disporre per modificare gradualmente a loro vantaggio lo spirito pubblico francese. Della solenne disillusione che provarono, quanto a quella prima fiducia, ho già detto: il difetto di questa seconda non ha meno contribuito a rendere la loro condizione presente difficilissima.

 

Non si trattava certamente, si noti, di riconquistare al cattolicismo una parte più o meno grande della Francia, in breve tempo; si trattava solo della possibilità o meno di riconquistare la simpatia ed il rispetto del pubblico così da rendere una ripresa di violenza anticlericale impossibile. E questa seconda cosa era forse tutt’altro che difficile. C’è un fatto, diremmo meglio un incidente, che caratterizza e rivela assai bene lo stato degli animi a questo proposito. La Camera francese ha fra i suoi membri un prete che si è grandemente e lungamente occupato, con una sincerità di intenzioni ed un fervore di sacrificio ai quali tutti rendono testimonianza, delle condizioni dei minatori del Nord: deputato da quasi quattordici anni, egli si interessa attivamente di legislazione sociale e si tiene estraneo a tutti i partiti ed a tutte le collere e gli odi di partito. Pochi giorni addietro, quando egli sorse a parlare alla Camera a proposito di uno degli effetti della legge di separazione, e dichiarò di credere, nella sua sincerità di cristiano, che la maggioranza parlamentare e il Governo avevano detto la verità quando dichiaravano di non volere, con la separazione, la rovina della Chiesa, egli ebbe un applauso entusiastico da tutte le sinistre, fra le interruzioni velenose delle destre. Ed altre volte gli è occorso qualcosa di simile. Se, imitando questo prete sincero ed attivo, i cattolici francesi potessero smettere il loro odio per la Repubblica, ritirarsi dal terreno delle violente competizioni di partito, e darsi ad un lavoro sereno e fervido di educazione religiosa e sociale, dividere la loro causa da quella di noti avventurieri della politica, ed accettare senza riserve il diritto comune e la libertà, nessuno più oserebbe attaccarli, ed essi riacquisterebbero rapidamente il rispetto e la stima del popolo; di molta parte, anche, del popolo che non crede più e non frequenta più le chiese. Ma purtroppo, la speranza è, per ora, vana.

 

70) Segue     Â