L’arbitrato e il disarmo
Fino a quando gli stati conserveranno la loro assoluta sovranità è vano sperare che l’arbitrato possa por fine alle guerre. Negli accordi per deferire a corti arbitrari la risoluzione degli eventuali conflitti internazionali, le parti contraenti hanno in generale fatto eccezione per le questioni riguardanti il loro onore ed i loro vitali interessi: si sono così riservate il diritto di sottrarre al diritto arbitrale tutto quel che credevano. Nel 1903 gli stati dell’America centrale si provarono a concludere un accordo diverso. Stabilirono di dare ad una corte permanente una competenza obbligatoria generale. Ma l’accordo durò solo fino al momento in cui venne messo alla prova: al primo grave conflitto, nel 1917, lo stato condannato rifiutò di sottomettersi alla sentenza e tutto il sistema crollò. Non poteva andare altrimenti.
Fino a quando nei rapporti internazionali il diritto continuerà ad essere la conseguenza della forza, ancora più vano è sperare che gli stati possano accordarsi in una seria politica di disarmo. Nelle conferenze che si sono riunite a ripetizione nel ventennio fra le due guerre, ed hanno riempito ben 14.000 pagine di rapporti, gli esperti sono andati alla inutile ricerca di criteri che, assicurando la riduzione parallela degli armamenti, lasciassero inalterato il rapporto di forze esistente fra i diversi paesi. La vanità di questa ricerca risulta evidente a chiunque rifletta che ogni equivalenza fra i diversi mezzi offensivi e difensivi è necessariamente arbitraria, perché son mezzi che danno risultati del tutto diversi a seconda delle circostanze in cui vengono impiegati. Ma anche se gli esperti fossero riusciti a superare tale difficoltà , i diplomatici non avrebbero mai potuto raggiungere l’accordo, perché gli stati militarmente più deboli, ma capaci di ulteriore espansione, non avrebbero consentito al consolidamento del rapporto di forze esistente, e nessuno stato era disposto ad accettare i controlli che sarebbero stati necessari per assicurare l’osservanza degli impegni. Le conferenze si riducevano quindi a ridicoli tornei, in cui ogni stato cercava impegnare gli altri a porre dei limiti agli armamenti in cui potevano avere un’efficienza relativamente maggiore, e di restare per suo conto libero da vincoli corrispondenti.
Pretendere di assicurare la pace fra i popoli con accordi per l’arbitrato e il disarmo è come pretendere di assicurare la pace fra gli individui, all’interno di ciascun stato, senza codici, senza giudici, senza carcerieri, richiedendo solo ad ogni cittadino di firmare un foglio di carta bollata, con la promessa solenne di non adoperare mai bastoni, coltelli e pistole per vendicarsi o per imporre agli altri il proprio volere, e di liquidare all’amichevole tutte le eventuali controversie.
La risoluzione del problema deve essere la stessa nel campo internazionale qual è nell’ambito dei singoli stati: occorre trasferire il potere dai litiganti alla legge, e predisporre una forza a sostegno della legge tanto grande che nessuno possa sperare di resisterle impunemente.
3. IL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ DELLE NAZIONI
Alla fine dell’altra guerra vi fu un serio tentativo di assicurare la pace nel mondo. Questo tentativo ha fatto completo fallimento. Perché?
Le responsabilità dell’America
I. Perché – dicono alcuni – gli Stati Uniti non hanno voluto entrare nella S.d.N. Mancando gli Stati Uniti, la S.d.N. non ha avuto il prestigio e la forza sufficiente per mantenere l’ordine internazionale.
In verità , la partecipazione degli Stati Uniti non avrebbe potuto migliorare di molto la S.d.N. Gli Stati Uniti, conservando, come gli altri membri della S.d.N. la loro assoluta sovranità , avrebbero cercato di adoprare anch’essi l’istituzione ginevrina per il raggiungimento dei loro obiettivi di politica nazionale.
Quando il Giappone invase la Manciuria, la Francia e l’Inghilterra impedirono che la questione venisse portata davanti all’assemblea della S.d.N., nonostante risultasse a tutti evidente l’aggressione, perché non volevano correre il rischio di perdere i loro possedimenti in Oriente. Quando si profilò la minaccia di una aggressione dell’Abissinia da parte dell’Italia, il governo di Laval profittò della buona occasione per negoziare degli accordi a vantaggio della Francia, promettendo di non consentire altro che sanzioni collettive puramente simboliche, da cui lo stato aggressore non avrebbe avuto alcun danno.
Se ci fossero stati dei rappresentanti americani nel consiglio della S.d.N. avrebbero fatto anch’essi degli eloquenti discorsi sulla “sicurezza indivisibile”, come i loro colleghi inglesi e francesi, ma, in pratica, quando si fosse trattato di prendere delle decisioni, avrebbero guardato solo ai particolari interessi degli Stati Uniti, appoggiando – a seconda della convenienza – l’uno o l’altro dei diversi blocchi in contrasto, senza tenere alcun conto del diritto e degli impregni presi con la firma del “covenant”.
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