Notizie Radicali
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  lunedì 29 agosto 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
La "confusione morale" di Marcello Pera

di Federico Punzi

«In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all'immigrazione incontrollata, e si diventa "meticci"».
Ha fatto scalpore questa frase, la più passata da tg e quotidiani, del discorso tenuto dal presidente del Senato Marcello Pera al meeting di Comunione e Liberazione. Tutta la bagarre per una semplice "rozzata" leghista che non ha raccolto il consenso di nessuno.
Ma è stato un altro il passaggio che mi ha sconcertato, ben più applaudito, condiviso, dunque preoccupante.
«... dobbiamo cercare un fondamento alla democrazia liberale dell'Occidente e darle un senso che vada oltre la sua mera efficacia di strumento di benessere materiale... Senza un senso collettivo, senza l'adesione ad una fede, senza un credo comune - dunque, senza un fondamento morale - una società si indebolisce, scolora, perisce».


La via indicata da Pera è già stata sperimentata. E infiniti massacri e lutti addusse. Spiega che la teoria liberale è incompleta. Che alla nostra società occorre «un fondamento morale e/o religioso». Un «Bene obiettivo», addirittura (!?). Ma non è proprio al fine di superare conflitti secolari fra i diversi fondamenti morali e/o religiosi, e per liberare la politica da quei conflitti irriducibili, che è nata la teoria liberale? Che religioni, culture, morali siano tra esse diverse appare persino ovvio. Che possano essere comparate, per meglio conoscerle, non per giudicarle, anche. Ma sul fatto che abbiano pari dignità, non dovremmo avere dubbi: «Culture, etnie, razze, religioni - in una parola: civiltà - non si paragonano, ma i sistemi politici e i modelli di convivenza civile sì», ripete Emma Bonino.


Invece, quando Pera tira in ballo temi controversi (bioetica, famiglia, etc.), si capisce che il fondamento a cui pensa è una Morale, una Religione. Lo Stato liberale permette a ciascuno di vivere osservando le proprie. E' in irriducibile contraddizione con qualsiasi pretesa, confessionale o ideologica, di monopolizzare l'etica pubblica, negando pari dignità morale ad altre visioni morali della vita. Chiaramente ogni decisione politica rappresenta un'opzione morale, ma essa è, e rimane, esperienza del singolo, mentre il diritto deve limitarsi a un minimo etico all'interno della società. Non vuol dire indifferenza a principi e valori, ma rinunciare all'uso autoritario del diritto, individuare i suoi limiti e la dimensione propria dell'etica.


Non assumere come propria la visione morale della vita di Pera o di Ratzinger, non significa agire al di fuori di un rispettabile sistema di valori, di una visione altrettanto morale.


Invece, negando ogni moralità a deliberazioni che, per quanto discutibili, Parlamenti democratici hanno preso o stanno per prendere, Pera dipinge un quadro disumanizzato dell'avversario politico, cui viene attribuita addirittura la colpa di una presunta "decadenza morale" dell'Occidente. Se fossi ebreo non mi suonerebbe nuova questa accusa, ben poco "occidentale" e assai più simile a quella dei jihadisti. In particolare, laddove viene operata una saldatura fra mobilitazione contro la decadenza dei costumi e contro la minaccia fondamentalista. Essere a favore del matrimonio fra omosessuali può essere una posizione non condivisa e contrastata, ma addirittura per questo essere additati come cause del declino morale dell'occidente, e quindi della sua sconfitta nella guerra al terrorismo, mi sembra intollerabile.


Scrive Tocqueville che mentre in Europa «lo spirito di religione e lo spirito di libertà» procedevano «in senso contrario», negli Stati Uniti «regnavano intimamente uniti». Non vi fu dall'inizio alcuna fede religiosa contraria alle istituzioni democratiche, mentre a lungo in Europa vi fu l'opposizione cattolica nei confronti delle teorie e delle istituzioni liberali e democratiche. In Europa la lotta per il potere tra Papa e Imperatore durò secoli. Fin dalle origini, in America, politica e religione «furono d'accordo, e non cessano di esserlo, sulla separazione delle rispettive autorità». Ecco le radici di un cristianesimo «democratico e repubblicano».


Eppure, nonostante "radici cristiane" fonti di un rapporto assai meno controverso fra Chiesa e Stato, a esse non v'è alcun richiamo nei testi costituzionali Usa. Non per questo oseremmo sostenere che gli Stati Uniti abbiano smarrito la propria identità. Il "Creator" della Dichiarazione di Indipendenza è aconfessionale e addirittura deista. Benedetto Croce affermò che «non possiamo non dirci cristiani», ma in tempi in cui nel linguaggio comune il termine "cristiano" veniva percepito in modo ben distinto dal termine "cattolico" - a indicare cioè prevalentemente il mondo della Riforma - mentre oggi a molti conviene confondere. E il problema dell'Europa non è il richiamo alle "radici cristiane" nella sua costituzione, ma la secolarizzazione dell'islam europeo.

Ciò che dobbiamo difendere non è, o non è solo, la nostra identità di occidentali, quindi fatta delle famose radici giudaico-cristiane, o greco-romane, o illuministe (dibattito assai inutile). E gli altri? Tutte le altre culture, le altre civiltà? Sono fuori? Cosa ne facciamo? Le regaliamo al fondamentalismo? Come vittime o come complici? Dev'essere chiaro al mondo che l'occidente combatte il terrorismo non perché è anti-cristiano, ma per difendere principi che riteniamo universali:
«WE hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty and the Pursuit of Happiness...».


Ciò che dobbiamo difendere non è, o non è solo, la nostra civiltà, come se le altre, a cominciare da quella islamica, non meritino di vivere, ma è un modello di convivenza basato sulla libertà individuale e sulla democrazia, è un sistema di governo basato sulla separazione dei poteri, lo stato di diritto, la laicità dello Stato. Diritti soggettivi storicamente acquisiti per ogni essere umano. Sono insomma, principi che o sono universali, affermati ed esercitati come tali, o non sono.


Se crediamo che i nemici siano gli islamo-fascisti, dobbiamo chiederci se la guerra contro gli occidente-fascisti fu o no uno scontro fra due civiltà, o piuttosto interno a una civiltà. Come allora lo scontro è innanzitutto interno a un mondo, oggi quello arabo-musulmano. Lo scontro vero è trasversale a tutte le civiltà. Fra alcuni valori che sono universali, e non appartengono a una sola civiltà, e un'ideologia politica il cui fine è l'oppressione e lo sterminio. La Germania di Hitler aveva forse cessato di essere "occidente"? O non era, piuttosto, una versione di occidente che avrebbe potuto prevalere? La lettura dello scontro di civiltà proprio non regge alla prova dei fatti.