Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  domenica 04 settembre 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Non mollare (1)

di Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Gaetano Salvemini

Presentazione

di Carlo Francovich

Il “Non Mollare”, il primo giornale clandestino nato sotto l’oppressione fascista, e le iniziative che ne prepararono ed accompagnarono la nascita, ebbero origine, fra l’altro, anche per il fortunato incontro di tre uomini così diversi e nello stesso tempo così simili come Gaetano Salvemini, Ernesto Rossi e Piero Calamandrei.


E sono essi stessi che in questi tre saggi introduttivi, quali testimoni e storici, narrano le loro vicende in rapporto agli avvenimenti che caratterizzarono l’antifascismo fiorentino nelle sue manifestazioni più significative quali furono appunto: il Circolo di Cultura, l’ “Italia Libera” e il “Non Mollare”.


Nelle loro parole e nei loro ricordi, rivive una particolare componente dell’antifascismo, quella corrente che, fondata sull’etica mazziniana, partita dall’interventismo democratico, attraverso il combattentismo antifascista dell’ “Italia libera”, attraverso l’opposizione dell’Unione Nazionale, approderà al socialismo liberale di Carlo Rosselli e di “Giustizia e Libertà”, per sfociare infine nella lotta armata del Partito d’Azione. Il tutto cadenzato sul ritmo della violenza, dei processi, delle condanne, dell’esilio e della eliminazione fisica degli amici più cari – come Carlo e Nello Rosselli – ad opera dei fascisti.


Gaetano Salvemini, dopo lunghi anni di milizia socialista aveva abbandonato il partito – al quale aveva aderito nel 1893 – nel 1991, soprattutto perché contrariato dal ministerialismo della destra e dall’astrattismo rivoluzionario della sinistra. Furono viceversa le idealità democratiche e risorgimentali, l’eredità mazziniana, l’avversione per l’autoritarismo prussiano e asburgico, che lo spinsero a diventare interventista e a partire per il fronte.


La stessa etica, la stessa tradizione mazziniana costituiscono il fondamento dell’educazione di Piero Calamandrei, trascinato anche lui nella grande avventura non da considerazioni politiche, come Salvemini, ma dall’entusiasmo giovanile, dalla fede di combattere per la causa giusta. Come egli stesso ci dice, era arrivato alla guerra del 1914 “senz’altro interesse politico che per Trento e Trieste”. Sarà infatti il primo ufficiale italiano ad entrare a Trento liberata, e la fine della guerra lo troverà capitano e decorato con la croce di guerra.


Con lo stesso spirito era partito volontario per il fronte Ernesto Rossi, e vi tornò dopo essere stato gravemente ferito e dopo aver perduto un fratello nei combattimenti del Piave.


Questa generazione di combattenti, questi giovani che avevano desiderato la guerra e che talvolta – come il giovanissimo Nello Traquandi – avevano falsato i dati anagrafici per poter combattere contro quello che credevano il nemico della democrazia e del loro paese, alla fine del conflitto si trovarono travolti dalle passioni politiche, fra le rivendicazioni sociali avanzate dalle masse lavoratrici, consapevoli adesso dei loro diritti, e la reazione dei conservatori, decisi a rafforzare af ogni costo i privilegi economici conquistati.


Questi giovani non si sentirono di aderire al radicalismo rivoluzionario delle masse, spesso inconcludente, che i dirigenti non sapevano, o non volevano, indirizzare verso soluzioni concrete e possibili; e tanto meno poterono accettare le distorsioni reazionarie dei nazionalisti, che – accaparrando i valori nati dai sacrifici della guerra – intendevano valersene per difendere gli interessi degli agrari e degli industriali.


Nello sfacelo economico e morale del paese, si era destata, però, la speranza di un rinnovamento politico e sociale, fondato proprio sul movimento dei combattenti. Nelle trincee, infatti, non si erano soltanto scatenati gli istinti brutali della violenza, l’odio per chi si trovava dall’altra parte e non parlava la nostra lingua; ma era anche nato un nuovo spirito di fratellanza fra contadini ed operai, fra lavoratori delle varie regioni, fra soldati ed ufficiali accomunati dagli stessi doveri, dagli stessi pericoli.


Da questo nuovo spirito dei “combattenti” era nata appunto la speranza e la volontà di dare nuove istituzioni politiche e sociali, nuove strutture economiche e amministrative al nostro paese.


Ma questa nuova speranza venne frustrata dal fascismo che, presentatosi anche esso come movimento rinnovatore promosso dai combattenti, in realtà mise a disposizione dei ceti privilegiati la carica di violenza dei suoi squadristi.


Non è dunque un caso che intorno a Gaetano Salvemini si raccogliessero uomini come Piero Calamandrei, Carlo e Nello Rosselli, Nello Traquandi, Ernesto Rossi.


Provenivano tutti dalla stessa radice ideologica, avevano tutti vissuto la medesima esperienza dell’interventismo e della guerra combattuta, e tutti erano mossi da un sentimento di rivolta contro il dilagare della violenza fascista.


Ed ecco di fronte alla guerra civile bandita da Mussolini la reazione degli ex combattenti democratici e di coloro che credevano ancora nei valori della libertà e della giustizia sociale. Tutti inoltre sentivano la necessità di superare gli schemi ideologici dei partiti tradizionali, falliti di fronte all’assalto totalitario, con nuovi programmi politici, con un nuovo spirito combattivo. Da qui le tre iniziative di cui parlavano i saggi di questo volume.


Come è ovvio i primi sforzi furono rivolti a provocare un chiarimento sui problemi del tempo, senza preconcetti e con la ferma volontà di giungere alla più onesta scelta politica. A tale scopo fu fondato – nel dicembre del 1920 – il Circolo di Cultura, in cui settimana per settimana venivano dibattuti gli argomenti più attuali e più scottanti: dalla rivoluzione russa al fascismo.


Ma, nonostante la libertà della discussione aperta a tutti, anche ai fascisti, nonostante il desiderio della più assoluta obiettività e della informazione diretta (sulla rivoluzione russa introduceva il dibattito Nicola Ottokar e sul fascismo erano relatori i fascisti Alberto Luchini e Giacomo Lumbroso), via via che il fascismo veniva assumendo il volto dittatoriale, anche le discussioni del Circolo si fecero sempre più polemiche e più impegnate. Tanto che il fascismo fiorentino non ne tollerò più l’esistenza e la notte del 31 dicembre 1924 il Circolo fu devastato dagli squadristi ed i suoi componenti – come ci narra Calamandrei – furono variamente perseguitati. Non è un caso che – oltre ai già ricordati – tra i membri figurassero persone che ritroveremo, chi in un modo o nell’altro, impegnati nella successiva lotta clandestina.


La distruzione del Circolo di Cultura non arrestò l’attività dei suoi componenti e degli antifascisti democratici in genere. Poche settimane prima – con esacerbarsi del contrasto politico, dopo l’assassinio di Matteotti – era nata l’associazione “Italia Libera”, formata appunto da ex combattenti. Essa era già un’organizzazione clandestina e dette inizio a quella propaganda e a quella lotta antifascista, che sarebbe quindi culminata nella guerra di liberazione. Ed anche qui, accanto a Enrico Bocci ed a Nello Traquandi, troviamo gli stessi uomini che abbiamo già incontrati nel Circolo di Cultura, che troveremo nel “Non Mollare” e vedremo alla guida della Resistenza.


Ernesto Rossi, che con Dino Vannucci fu il fondatore dell’ “Italia Libera” ci narra nel suo saggio la storia di questa prima esperienza cospirativa.


Infine Gaetano Salvemini racconta come è nato il “Non Mollare”, come veniva diffuso e quale fosse, sul piano ideologico e quello organizzativo, la sua battaglia contro la dittatura. Battaglia che culminò nella tragica notte del 3 ottobre 1925, con la uccisione di Giovanni Becciolini, di Gustavo Console e di Gaetano Pilati, nonché con lo scempio dei negozi, degli studi, degli uffici e delle abitazioni degli antifascisti più noti. E qui ci sembra che la narrazione storica di Salvemini diventi – nonostante la meticolosa e documenta ricostruzione dei fatti – opera d’arte. Romanzieri e registi di valore hanno preso come soggetto della loro creazione – non certo spregevole – quella tragica notte di San Bartolomeo, ma nessuno a nostro giudizio è ancora riuscito ad eguagliare la drammaticità della schematica narrazione salveminiana.


Il Circolo di Cultura, l’ “Italia Libera”, il “Non Mollare” sono tre momenti della lotta per la libertà, che non si chiudono in sé stessi.


Attraverso la lotta clandestina ingaggiata da “Giustizia e Libertà” e proseguita poi dal movimento liberalsocialista e dal Partito d’Azione, la Resistenza si salda all’antifascismo. E proprio queste pagine confermano quanto la guerra di popolo sorta dopo l’8 settembre 1943 sia legata all’azione precedente delle élites antifasciste ed abbia la propria premessa, non soltanto politica ma anche organizzativa, nell’azione che alcuni uomini svolsero in condizioni di disperante isolamento e in mezzo a difficoltà spaventose. Chi volesse convincersene basta che scorra l’indice dei nomi: vi troverà non solo alcuni degli esponenti della futura resistenza fiorentina, da Nello Tranquandi, a Nello Piccoli ed a Carlo Capolini, ma anche i componenti dei quadri ed i gregari partigiani delle future brigate “Rosselli”.


E quanto diciamo per Firenze ha valore pragmatico – sia pure nel mutare delle circostanze – per ogni città d’Italia


(1. segue)