Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  lunedì 04 aprile 2005
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Non mollare (13)

di Ernesto Rossi, Piero Calamandrei, Gaetano Salvemini

Il manganello, la cultura e la giustizia

di Piero Calamandrei


Pochi giorni dopo, infatti, il rettore ricevé da Salvemini la seguente lettera (il testo della quale fu riportato anche da qualche giornale inglese), datata Londra, 5 novembre:


Signor Rettore la dittatura fascista ha soppresso, oramai, completamente, nel nostro paese, quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento universitario della Storia – quale io la intendo – perde ogni dignità; perché deve cessare di essere strumento di libera educazione civile e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite, estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni. Sono costretto perciò a dividermi dai miei giovani e dai miei colleghi, con dolore profondo, ma con la coscienza sicura di compiere un dovere di lealtà verso di essi, prima che di coerenza e di rispetto verso me stesso. Ritornerò a servire il mio paese nella scuola quando avremo riacquistato un governo civile”.


Ricevuta questa lettera, il Senato Accademico (composto, com’è noto, dai presidi delle varie facoltà) prese, su sollecitazione della facoltà di Giurisprudenza (che se ne vantò in una lettera pubblicata sul “Popolo d’Italia” del 26 novembre), la seguente deliberazione, in data 25 novembre:


Il Senato Accademico della R. Università di Firenze, avuta comunicazione della lettera inviata dal professor Gaetano Salvemini, stabile di storia moderna, al Magnifico Rettore per annunziargli le sue dimissioni:

Deplora la calunniosa affermazione in detta lettera espressa, ed aggravata dalla pubblicazione in un giornale straniero, secondo la quale il contenuto degli insegnamenti impartiti dalle cattedre dell’Università di Firenze sarebbe turbato da pressioni, le quali, al contrario non si sono mai verificate né da parte delle autorità accademiche né di altri:

Protesta per l’ingiuria lanciata dal professor Salvemini contro il Governo nazionale benemerito della Patria e dell’Università di Firenze,

Ed invita il Rettore a comunicare il presente voto al professor Salvemini informando il Superiore Ministro del voto e della comunicazione”.


Questa deliberazione fu pubblicata su “Il Popolo d’Italia” del 27 novembre col seguente commento: “Il turpe diffamatore della Patria vincitrice e risorta; il calunniatore del governo fascista; il torbido vilissimo rinunciatario è servito in pieno”. Contumelie anche più plateali gli furono dedicate da “Battaglie fasciste” del 28 novembre 1925. A questa deliberazione del Senato accademico Gaetsno Salvemini rispose colla seguente lettera, datata da Parigi 2 dicembre 1925:


Signor Rettore dell’Università di Firenze,

Leggo l’ordine del giorno votato da codesto Senato Accademico sulle mie dimissioni da professore stabile di storia moderna dell’Università di Firenze.

Il Senato Accademico può plaudire quanto e come vuole al “Governo nazionale”. In attesa della legge, che consentirà al Governo medesimo di licenziare quei pubblici funzionari – compresi i magistrati e i professori d’ Università – che gli rifiutino il loro plauso, tutti possono misurare la spontaneità di certe manifestazioni.

Quello che nessun Senato Accademico ha il diritto di fare, è di falsare le idee e le parole nei documenti che gli servono di pretesto per plaudire. Questa sopercheria il Senato Accademico ha commesso allorché mi ha attribuito, per poterla smentire, l’affermazione che “il contenuto degli insegnamenti impartiti dalle cattedre dell’Università di Firenze sarebbe turbato da pressioni”. Nella mia lettera di dimissioni io scrissi invece: “La dittatura fascista ha soppresso ormai completamente nel nostro paese quelle condizioni di libertà, mancando le quali l’insegnamento della Storia – quale io la intendo – perde ogni dignità: deve cessare di essere strumento di libera educazione civile, e ridursi a servile adulazione del partito dominante, oppure a mere esercitazioni erudite estranee alla coscienza morale del maestro e degli alunni”.

Ambiente generale politico, dunque degenerato, in cui un uomo, che ha le mie idee e il mio passato, non può più conservare con dignità l’insegnamento della storia moderna in una Università; non pressioni da me personalmente subite per quanto avrei dovuto dire o non dire nelle mie lezioni, ora per ora.

Se i componenti il Senato Accademico aspettano proprio questo genere di pressioni per sentirsi limitati nella loro indipendenza scientifica e dignità personale, non è detto che non debbano presto essere soddisfatti anche in questa aspettativa; ma quando si saranno lasciati condurre sino a questo punto, allora non avranno più nessuna dignità da tutelare.

Entrai nella scuola trent’anni or sono, quando la legge mi domandava solo che insegnassi la storia con spirito di verità e di lealtà, non che vendessi la mia anima al partito dominante. Ho compiuto per trent’anni il mio dovere con spirito di verità e di lealtà; nessuno degli alunni, nessuno dei colleghi che ho avuti per trent’anni potrà mai smentire onestamente questa mia affermazione. Oggi la costituzione politica italiana di trent’anni or sono è completamente abolita. Oggi l’Italia è divisa fra una minoranza di padroni armati, a cui tutto è lecito, anche l’assassinio, ed una moltitudine di sudditi disarmati, non più protetti da nessuna legge morale, esclusi da ogni diritto politico. L’insegnamento della storia è sorto, in Italia e fuori d’Italia, come bisogno culturale dei paesi che si costituivano a regime liberale. Dove le istituzioni liberali scompaiono, ivi l’insegnante di storia in una scuola pubblica sarà libero nel proprio insegnamento, solo se l’orientamento del suo pensiero sarà conforme all’ideologia del partito dominante. L’insegnante di storia, che non possa in coscienza consentire alle direttive politiche, religiose, sociali, del partito dominante, o che sia così abbietto da consentirvi per ingordigia di ricompense e per congenità viltà, sarà obbligato a evitare ogni discussione, che possa comprometterlo nella opinione dei padroni, e dovrà confinarsi nella erudizione brutale.

Questo diceva la mia lettera di dimissioni. Questo non hanno saputo o voluto comprendere i componenti del Senato Accademico; e hanno trasformato le dimissioni da me presentate per ragioni di principio in una specie di fatto personale fra l’Università di Firenze e me, cercando di far credere agli ignari che “né le autorità accademiche né altri” hanno mai diminuito la dignità di alcun insegnante universitario fiorentino.

Io distinguo fra l’Università di Firenze e i componenti il Senato Accademico dell’Università di Firenze. L’Università di Firenze è un’entità collettiva che comprende anche i miei antichi colleghi e i miei antichi alunni, ai quali sono legato da vincoli di rispetto e di affetti reciproci imperituri; questi conoscono uomini e fatti, e possono giudicare secondo il merito certi miserevoli spettacoli di degradazione spirituale. I componenti il Senato Accademico invece sono personaggi concreti; e questi hanno evidentemente bisogno che qualcuno rinfreschi loro la memoria. Ad essi dunque ricorderò:

A) Il 15 maggio 1925, per incarico conferitomi a voti unanimi dalla Facoltà di Filosofia e Filologia dell’Università di Firenze, io dovevo inaugurare un ricordo a Pasquale Villari nell’interno dell’Università, il giornale fascista di Firenze pose il veto alla cerimonia, minacciando violenze, quel medesimo disinteressato professore fascista che ha provocato nel Senato Accademico il plaudo al “Governo nazionale” andò a comunicare al Rettore il divieto e le minacce dei fascisti fiorentini; il Rettore si lasciò impaurire e rinviò all’ultimo momento la cerimonia, facendo trovare agli invitati chiusa l’Università: la cerimonia non ebbe più luogo.

B) Il giornale fascista di Firenze ha ripetutamente domandato durante il passato anno scolastico la destituzione mia e di altri miei colleghi dall’insegnamento. Mi limiterò a ricordare un solo articolo che onora me, pubblicato il 13 giugno 1925, mentre una ridicola accusa mi valeva 35 giorni di carcere preventivo: “Esprimiamo un voto che all’occorrenza potrebbe trasformarsi in un atto di durissima volontà. Gaetano Salvemini occorre che vada fuori dall’Università. In fidente attesa della legge Rocco, giriamo intanto al Consiglio dei Ministri la nostra formale proposta in questo senso. Ci si dice che il Salvemini non ha mai approfittato della cattedra per fare la sua propaganda antifascista e antinazionale. Si sa bene che l’ufficio di un insegnante, specialmente d’Università, non si esaurisce nel far lezione. E’ nei corridoi ed è a casa che si stabilisce il più vero contatto tra il maestro e gli alunni quindi non è casuale il fatto che gli alunni e le alunne di Salvemini siano, quasi senza eccezioni, tra i più lividi, accaniti, incurabili antifascisti. Ora il Governo fascista non può e non deve permettere che questo anti-italiano, guastatore di generazioni e corruttore di cervelli, continui a insegnare storia nell’Università di Firenze o in nessun’altra.

C) Il Rettore dell’Università, avvicinandosi la riapertura di quest’anno scolastico, ha più volte manifestato le sue preoccupazioni per i disordini che potevano avvenire alla ripresa delle mie lezioni, e per effetto di queste preoccupazioni mi fu dato più volte il suggerimento di domandare una aspettativa o un permesso o un congedo per ragioni di studio all’estero. Ho rifiutato ogni compromesso ed ho presentato le dimissioni, non curandomi dei diritti che in un paese governato con metodi civili mi spetterebbero per trent’anni di servizio non indegni dati al paese nella scuola. Si trattava per me non di salvare uno stipendio od una pensione, ma di rivendicare la mia libertà intellettuale e la mia dignità personale contro un sistema continuo di minacce che mi umiliava più che la stessa violenza materiale, perché questa debilita il corpo; la minaccia di violenza vilipende lo spirito perché parte dalla previsione che l’uomo minacciato sia un vile, si lasci impaurire e si arrenda

Se questi divieti, minacce, suggerimenti non appaiono ai componenti il Senato Accademico dell’Università di Firenze tali da menomare la dignità di un insegnante, questo vuol dire non che il sentimento della mia dignità sia in me troppo alto, ma che nei componenti il Senato Accademico il sentimento della loro dignità è troppo basso.

Nello stesso ordine del giorno, il Senato Accademico si scandalizza che la mia lettera sia stata pubblicata in un giornale inglese. Evidentemente il Senato Accademico di Firenze non si è ancora avvisto che in Italia esiste il monopolio del partito dominante su le notizie dei giornali, e che per rompere questo monopolio e per far conoscere in Italia qualche dato di fatto che non piaccia al partito dominante, non c’è altra via che ricorrere alla stampa straniera. Sia ristabilita la libertà di stampa in Italia e nessuno sentirà più la necessità di domandare la ospitalità ai giornali stranieri per far conoscere ai propri concittadini le notizie che il partito dominante sforza di tener nascosto e di falsificare. Finché noi, avversari del fascismo, viviamo in Italia, siamo privati di ogni diritto e costretti a tacere come “anti-italiani”; non appena siamo costretti a cercare all’estero la libertà e il lavoro che ci sono negati in patria, allora ridiventiamo italiani, e come tali dobbiamo sentirci soggetti a tutti i vincoli che pretende di imporre ai propri “sudditi” il “Governo nazionale”, primo fra tutti quello di non far conoscere fuori d’Italia di che lagrime e di che sangue grondi il regime di assassinio immunitario che opprime l’Italia”.


Frattanto il ministro dell’educazione nazionale Pietro Fedele, al quale era stato comunicato il voto del Senato accademico, informò il rettore, con lettera del 30 novembre, di aver letto “con soddisfazione” questo “voto di solenne e dignitosa protesta”, e che, invece di accettare le dimissioni date da Salvemini, lo avrebbe destituito d’ufficio: “Di quella lettera, intessuta di affermazioni infondate ed ingiuriose, lanciate dall’estero e pubblicate in un giornale straniero, io non dovevo e non potevo, come non ho tenuto e non tengo alcun conto per i fini a cui era diretta”. Infatti in data 4 dicembre 1925, venne il provvedimento che destituiva Salvemini dalla cattedra dalla quale aveva dato le dimissioni da più di un mese!


Alla partenza di Salvemini dall’Italia seguì, all’interno dell’Università, un episodio di stupidaggine accademica che, a ripensarlo oggi, sembra incredibile. Nel partire egli aveva voluto donare la sua biblioteca personale, ricca di opere storiche di molto valore, alla Facoltà di Lettere e di Filosofia dalla quale egli si allontanava; e la Facoltà, nella sua adunanza del 19 novembre 1925, aveva deliberato di accettare il dono. Ma i professori fascisti di altre Facoltà insorsero contro questa accettazione, sostenendo che ai libri di Salvemini si doveva fare un trattamento analogo a quello che era stato fatto a lui stesso: come erano state respinte le sue dimissioni per poterlo destituire, così si doveva respingere la donazione della biblioteca per potersene subito appropriare manu militari. In tal senso il nuovo rettore fascista, professore Enrico Burci, scrisse al ministro, informandolo della donazione e aggiungendo: “…senonché, l’elemento fascista che, se pure in minoranza, è vivo e saldo nell’Università fiorentina, venuto a conoscenza della donazione Salvemini ha, con slancio immediato, espresso la sua volontà ferma e decisa, che è quella di respingere sdegnosamente la donazione stessa”, ma, in attesa dell’approvazione delle leggi contro i fuoriusciti che il ministro Rocco stava elaborando si augurava che la biblioteca potesse essere confiscata, in modo che “in un secondo tempo l’Eccellenza Vostra potrà, se crede, farne dono all’Università fiorentina”.


La legge Rocco contro i fuoriusciti fu pubblicata nel novembre del 1926 (l.25 novembre 1926, n.2008 “per la difesa dello Stato”); ma già con una lettera del 12 ottobre di quell’anno, in previsione della imminente entrata in vigore di quella legge, il rettore era tornato alla carica presso il ministro, chiedendo che la biblioteca di Salvemini fosse confiscata e donata d’autorità all’Università di Firenze: “Il provvedimento risponde al sentimento unanime dell’Ateneo fiorentino, ed è giusta reazione dell’opera deleteria ed antipatriottica del professore addetto”.


In men d’un anno, nella prosa di questo rettore zelante, il fascismo da “minoranza” si era trasformato in “sentimento unanime”! Ma, nonostante questa unanimità,la desiderata confisca non trovò più l’ogetto su cui sfogarsi. I libri, sistemati in dodici casse erano stati depositati al sicuro, a cura della signora Berenson, in un magazzino ove rimasero fino al 1933; e in quell’anno furono spediti in America, ove Gaetano Salvemini, chiamato a insegnare storia ad Harvard, li cedette a quell’università.


Dopo le sanguinose giornate dell’ottobre 1925, Odoardo Cagli, che col suo giornale aveva così efficacemente contribuito a prepararle, fu sostituito alla direzione di “Battaglie fasciste” da Gherardo Casini, a partire dal numero del 14 novembre 1925. Una delle innovazioni introdotte dal nuovo direttore fu il cambiamento del titolo della rubrica “Manganellate” in quello, meno impegnativo, di “Dinanzi al Bargello”.


Poi vennero la pena di morte e il Tribunale speciale, strumenti di persecuzione più perfezionati; e il manganello rimase come un arnese di uso casalingo, non destinato a mostrarsi in pubblico: quando si voleva bastonare qualcuno, si invitava alla sede del fascio in Piazza degli Ottavini (o alla questura) e si bastonava in famiglia. Solo in certe feste comandate il manganello, come certe venerande insegne degli avi che si tirano fuori nelle sagre tradizionali, riappariva all’aperto, per esempio nelle elezioni politiche del 1928 gli ingenui elettori che, senz’accorgersi che la scheda era trasparente, avevano votato no, trovarono all’uscita delle sezioni elettorali un regolare servizio di randellatori.


Col passare degli anni, quando la qualifica di “squadrista” diventò un titolo per avere un impiego, l’aver saputo maneggiare il manganello della vecchia guardia fu considerato come una gloria, come per i reduci dalle crociate l’aver impugnato la spada contro l’Islam. Tutti i fascisti cercarono allora di darsi arie di reduci del manganello; ma intervenne provvidamente un telegramma circolare del segretario del partito ai segretari federali, 4 febbraio 1939-XVII, che diceva testualmente così: “Ho ricevuto un elenco di squadristi nel quale sono compresi alcuni tesserati del millenovecentotrentadue alt Ciò est semplicemente ridicolo alt Non est concepibile che vi siano squadristi tesserati posteriormente al 28 ottobre 1922 alt Coloro che hanno randellato nel 1924 non potevano essere che gli squadristi della vecchia guardia” (“Foglio di disposizioni”, n.1301 bis, del 1 aprile 1939).


Dopo d’allora il manganello tentò qualche timida sortita per l’image durante la guerra, contro i mormoratori e i disfattisti; io stesso ho visto nell’aprile del 1943, su certi muri di Pisa, grandi manganelli disegnati in nero, per minacciare chi non credeva alla vittoria dell’Asse: poi anche quei muri cascarono in polvere sotto i bombardamenti.


Quando, nel settembre del 1945, liberata appena la città dai tedeschi e dai fascisti, l’Università fiorentina si riaprì nella libertà, il nuovo rettore, nel discorso inaugurale pronunciato in presenza delle autorità, tra le quali era il generale americano Hume, indirizzò a Gaetano Salvemini questo saluto:


Da questa Università, da cui uscì Cesare Battisti per andare serenamente incontro al capestro tedesco, un esule, uno degli animi più intrepidi e più puri della nostra cultura, è partito venti anni fa per chiedere ospitalità ai paesi liberi, e voi non solo lo avete ospitato, ma gli avete fatto degno onore; Gaetano Salvemini, professore dell’Università di Firenze, al quale nel primo giorno in cui il nostro Ateneo può far sentire dopo vent’anni il suo libero voto, mi è caro mandare un saluto fraterno, e la speranza di esserci mantenuti degni di lui, e l’augurio di poter fra breve, in questo momento in cui l’Italia ha tanto bisogno di maestri della sua tempra, rivederlo in queste aule, sempre giovane di spirito, ad insegnare ai giovani che lo aspettano”.


E Gaetano Salvemini, dopo più di vent’anni di esilio, durante i quali non aveva tralasciato un sol giorno di lavorare per la libertà dell’Italia e contro il fascismo, risalì il 15 novembre 1949 la sua cattedra fiorentina e riprese da essa le sue lezioni. Heri dicebamus.


(13. segue)