Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  giovedì 09 marzo 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Giustizia: transessuali in carcere, l’Italia faccia anch’essa il piccolo passo: dia loro la possibilità di scegliere

di Salvatore Ferraro

Il problema dei transessuali in carcere. La Spagna, anche in questo, ha fatto un passettino avanti prima di noi. E la cosa, a questo punto, non fa certo più notizia. Vale la pena, però sottolineare che, in Italia, la questione, delicata, ha da più di un decennio accarezzato le scrivanie di chi di dovere, tramite carte, appelli, progetti provenienti dalla penna e dalla voce di educatori, cappellani, agenti penitenziari, assistenti sociali e altresì detenuti. Da un decennio si sottolinea come la scelta di destinare i detenuti transessuali in carceri maschili in reparti frequentati, quindi, esclusivamente da uomini, per quanto secondo normativa con tutte le accortezze atte a tutelare il massimo di discrezione e privacy (solitamente un cancelletto divisorio tenuto aperto quasi tutto il giorno), non tiene conto delle tanti dinamiche emotive, giuridiche che caratterizzano il rapportarsi di queste personalità con il resto della comunità carceraria. E che per queste e molte altre ragioni debba considerarsi, quantomeno, inappropriata. Se non, più realisticamente, devastante.

 

Numero 1: il carcere non riconosce la transessualità. Al detenuto transessuale ci si rivolge sempre al maschile. A dispetto della sua identità e personalità, completamente femminili, l’assenza di un’istituzionalizzazione del genus lo condanna a una classificazione penitenziaria come “uomo” e a una galera che, oltre alla privazione della libertà, prevede la moltiplicazione delle vessazioni e delle discriminazioni a suo carico.

 

Risultato: il numero dei transessuali detenuti suicidi è in proporzione altissimo come altissimo, sempre in proporzione, il numero dei detenuti transessuali quotidianamente dediti all’autolesionismo. Come altissimo è il costo umano di personalità, sicuramente più fragili, intimamente e psicologicamente distrutte da questo brutale trattamento irriguardoso e disprezzante di un’identità sessuale.

 

Destinare il transessuale detenuto in un carcere femminile potrebbe/dovrebbe essere un piccolo momento di maggiore garanzia per il rispetto della sua personalità. Ma, ripetiamo, solo un piccolo passo. Perché la questione transessuale e specificamente il loro avvio alla “devianza” ha un suo centralissimo problema che meriterebbe ben altro tipo di soluzione. Il campione statistico a nostra disposizione, infatti, dice chiaramente che il “percorso criminale” del transessuale è segnato dalla sua disperata rincorsa al denaro sufficiente per approdare all’operazione per cambiare sesso.

 

E’ un percorso che comincia molto spesso con la prostituzione, succedaneamente con lo spaccio di droga. Un investimento nel piccolo crimine per poter ritrovare la propria identità sessuale. Un costo sinceramente troppo alto. Forse, allora, bisognerebbe intervenire in maniera diversa. Una nuova legge, forse. Un potenziamento delle strutture di supporto scientifico. La possibilità di accedere gratuitamente all’intervento. Scelte giuste, opportune, forse anche convenienti. In attesa, sempre, che si faccia il primo piccolo, piccolo passo.

Â