Nel periodo 2001-2005 l’Italia è cresciuta mediamente dello 0,7 per cento all’anno, laddove l’area euro è cresciuta del doppio e cioè dell’1,4%. Non è un risultato sorprendente se si tiene conto di quanto poco investiamo in ricerca, di quanto burocratico e farraginoso è il sistema Italia con le sue centinaia di migliaia di leggi, di quanto ci costano le materie prime e soprattutto di quanto ci costa l’energia. Come si fa ad essere competitivi quando il costo dell’energia è superiore al 20 per cento rispetto ai nostri concorrenti europei? Ad esempio, si fa sempre un gran chiasso quando si parla di energia alternativa salvo poi non fare nulla per spingerle. Diciamo no all’eolico perché l’impatto ambientale è devastante dal punto di vista estetico, diciamo no al fotovoltaico perché là dove c’è il sole, ovvero al Sud, non c’è necessità di riscaldamento, diciamo ancora no alla geotermia perché sembra una risorsa di nicchia come le biomasse, ignorando invece che si sono zone come la Toscana che hanno falde acquifere surriscaldate a 150 gradi a pochi chilometri di profondità , per un valore stimato di 300 miliardi di euro e fingendo di non sapere che in Germania già si stanno sperimentando le prime centrali geotermiche. Naturalmente, ça va sans dire, neppure si parla più del nucleare, diventato tema tabù, che nessuno, assolutamente nessuno sta toccando in questa campagna elettorale povera di contenuti. Sarebbe interessante sapere quanti continuerebbero a rifiutare la scelta nucleare se dovessero andare a piedi al lavoro o salire le scale invece di utilizzare l’ascensore, oppure stare con il riscaldamento acceso solo due giorni alla settimana.
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Dunque, siamo cresciuti dello 0,7% l’anno, ed in particolare, nel 2005, la nostra crescita è stata ZERO! Non c’è da sorprendersi: non abbiamo fatto niente per cambiare la situazione. Niente riforme liberali, niente eliminazione degli ordini professionali, niente investimenti nella ricerca. Niente cambiamento delle regole del gioco. Niente. Nulla. Nada de nada. Tutti sappiamo che il connubio ricerca e innovazione è indice di crescita e di sviluppo economico ed anche che per poter essere competitivi è indispensabile che la ricerca sia di qualità superiore. Questa ricerca viene svolta soprattutto all’interno delle università e costituisce la mission degli atenei. Non occorre essere brillanti strateghi politici per capire come l’ipocrita pioggerella di incentivi, cioè i piccoli aiuti economici uguali per tutti, in realtà non aiuti nessuno. Più che alla ricerca, il sostegno alle università sembra servire solo per mantenere baronie e califfati gerontocratici. A nessuno sfugge che gli incentivi economici dovrebbero essere dati alle università migliori a scapito di quelle peggiori. Questa sarebbe una vera rivoluzione liberista, perché è l’unico modo per spronare la ricerca nel nostro Paese.
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E’ dunque palese che in Italia c’è un problema che va risolto, il problema di un Paese che non ha fatto la rivoluzione liberale promessa 5 anni fa e che oggi presenta una delle malattie economiche più rare che esistano: la sindrome del bradipo nello scattare in ripresa quando l’economia è in espansione e quella del ghepardo nell’andare in recessione quando, invece, l’economia non “tira” più. Sembra che nei prossimi 5 anni anche il Portogallo ci sorpasserà in termini di crescita percentuale. Che fare allora? La soluzione è quella di essere più rosapugnanti: immettere nel sistema più benzina liberale, di quella dei 31 punti di Fiuggi.
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Oggi più che mai c’è bisogno della difesa della scuola pubblica rispetto a quella privata, della difesa della laicità dello Stato, della difesa dei diritti civili. Perché essere liberista è condizione necessaria e sufficiente ad essere socialista, giacché liberali e socialisti appartengono alla stessa elaborazione sostanziale e concettuale. Sia i liberali sia i socialisti, fanno parte di quella visione del mondo per cui non può esserci giustizia collettiva e progresso sociale senza il riconoscimento delle libertà individuali: non può esserci sviluppo senza democrazia, né democrazia senza sviluppo.
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Questa è la nostra ricetta alla domanda “cosa si può fare?” Posto che la democrazia agonizza se l’ambito individuale viene sottoposto a gravi limitazioni e se il privato viene limitato, allora l’economia entra in recessione, non c’è che una sola ricetta possibile: dobbiamo avere più coraggio per imporre al centrosinistra le nostre posizioni liberiste: più libertà individuali, sui pacs, sull’antiproibizionismo, sull’esigenza anticoncordataria, sulla libertà della ricerca scientifica, sulla politica estera. Scindere i diritti civili dalle problematiche economiche relegandoli ad una funzione marginale è cosa dell’altro secolo, è una questione da confinare nel magazzino delle anticaglie. Dobbiamo, invece, avere il coraggio di mandare in soffitta questi rugginosi preconcetti fatti da reticenze consacrate e da opportunismi pelosi che ostacolano lo sviluppo. Prima lo facciamo e meglio sarà per tutti, se vogliamo non essere più il bradipardo di Europa.