Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  domenica 26 marzo 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Risveglio dagli incubi su Groningen. Gli olandesi non sono nazisti

di Federico Punzi

Nazisti, bastardi, cialtroni. Parlare di nazismo ed eugenetica, usare termini come «handicappati gravi» e «razza», affrontando il tema dell'eutanasia neonatale olandese, è totalmente fuori luogo. Mi limiterò a tentare di spiegare perché l'uso di ciascuno di questi termini non è appropriato. E' a questa tattica spregiudicata e propagandistica che i laicisti cosiddetti «bastardi» hanno reagito nei giorni scorsi, prima che alla contrarietà in sé alla pratica dell'eutanasia neonatale. Dunque, non intendo discutere del merito, ma di come non si è voluto impostare un dibattito serio e intellettualmente onesto.

L'eutanasia può essere ritenuta, con argomenti più o meno condivisibili, ma comunque nel merito, finanche "incivile", a seconda della concezione che si ha della compassione, del dolore, della vita e della morte. Forse il protocollo olandese è incauto, eccessivo, spericolato, lascia perplessi su questo o quel punto, ma l'importante è partire dalle cose quali esse sono.

«Dei 200.000 bambini che nascono nei Paesi Bassi ogni anno, circa 1000 muoiono nel primo anno di vita. Per circa 600 di questi neonati, la morte è preceduta da una decisione medica relativa alla fine della vita». Con questa frase si apre
un articolo del pediatra olandese Verhagen sull'autorevole New England Journal of Medicine. Il caso nasce quando Il Foglio, il 9 marzo scorso, ci fa un lungo articolo, riportando (strano), le uniche righe di abstract disponibili "in chiaro" ai non iscritti (iscrizione a pagamento).

Giovanardi abbocca e sostiene più volte che in Olanda vengono uccisi neonati handicappati, down, sordomuti o dalla spina dorsale bifida. Parole sue, letterali. E' una bugia. Nessun bambino disabile viene gettato dalla rupe. Il riferimento a quelle particolari categorie di disabilità tende a presentare agli occhi di chi ascolta, o legge, una realtà distorta della casistica cui è possibile applicare il protocollo di Groningen. Parlando di handicappati, anche di «handicappati gravi», vengono in mente condizioni di disabilità con le quali quotidianamente tutti noi siamo abituati a confrontarci. Sappiamo che sono casi molto tristi, che la qualità della vita di queste persone, spesso anche per la nostra indifferenza, è ben peggiore della nostra, ma nessuno si sognerebbe di definirle vite indegne d'essere vissute.

Quei disabili, tra l'altro, nei paesi del Nord come l'Olanda usufruiscono di un elevato standard di servizi, e di superamento delle barriere architettoniche, che in Italia i nostri concittadini si sognano. E' quindi fuorviante per i neonati cui si pratica l'eutanasia in Olanda parlare di handicappati, anche ammesso e non concesso che tecnicamente lo siano. La chiameremo prima sottile mistificazione. Si tratta invece di casi estremi - sono le cifre a dirci che sono rarissimi - con malformazioni tali da rendere la breve vita di quei neonati un inferno senza la minima speranza. La stragrande maggioranza di noi non ha mai visto probabilmente niente del genere e non ne è mai prima d'ora venuta a conoscenza. Eppure esistono autentiche beffe della natura neanche lontanamente immaginabili.

Torniamo all'articolo incriminato. Dei circa 1000 neonati che muoiono nel primo anno di vita, per 600 «la morte è preceduta da una decisione medica relativa alla fine della vita». Questi 600 si possono dividere in tre gruppi.

Nel primo, i neonati che «non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza... che moriranno appena nati, nonostante le cure migliori disponibili. Questi bambini presentano patologie gravi, quali l'ipoplasia renale e polmonare». Nel secondo, i neonati che «sono sottoposti a terapia intensiva», «con gravi malformazioni cerebrali o con gravi ed estesi danni ad altri organi causati da ipossemia». Anche se «sopravvivono oltre il periodo di cure intensive essi hanno una prognosi estremamente negativa e una qualità di vita estremamente bassa». Le terapie intensive infatti «non rappresentano un fine in sé», diventano accanimento terapeutico se non producono miglioramenti e prospettive accettabili. Per i neonati dei primi due gruppi, che insieme fanno circa 580 casi dei 600 registrati all'anno, non si può parlare neanche di eutanasia, ma di rifiuto dell'accanimento terapeutico. Siamo qui a discuterne solo perché oggi esistono macchine di cui qualche anno fa non disponevamo.

Chiarendo questo cade la seconda mistificazione, quella grossolana. Ferrara e Meotti, nella puntata di 8 e mezzo passata alla storia, si ostinavano a ripetere che tutti quei 600 (il 60% dei neonati morti entro il primo anno di vita) fossero handicappati uccisi dai medici. Il terzo gruppo è dei neonati cui viene praticata l'eutanasia attiva, circa 20 l'anno (4 nell'ospedale di Groningen dal 2002 al 2005). Sono questi, certamente, i casi che Verhagen definisce «più difficili da definire in astratto». Talmente rari ed estremi che occorre valutare caso per caso. Questi neonati non dipendono dalle macchine, ma hanno «prognosi senza speranza», senza possibilità di alcun miglioramento. La loro aspettativa di vita è «molto limitata» e di gravi sofferenze, «continue e insopportabili», impossibili da alleviare. Di qui la «cattiva qualità di vita», ma non parliamo di un ritardato o di un sordomuto.

Neonati con idrocefalo o senza cervello. Per fare l'esempio della spina dorsale bifida, lo stesso Verhagen dice che il 99% di essi sono trattabili e possono condurre una vita soddisfacente. Nell'1% di casi si hanno le forme più gravi, in cui si aggiungono tali e tante malformazioni da rendere inutile qualsiasi trattamento. Sono tali da impedire la respirazione, da richiedere 60 interventi in un anno solo per rimediare temporaneamente alle complicazioni, e da dover tenere il paziente costantemente anestetizzato per il dolore. Sono per lo più i genitori, in lacrime, a chiedere di porre fine a tali sofferenze.

Anche in questi casi si procede con il parere unanime dell'équipe pediatrica e di uno specialista esterno, oltre che con il consenso di entrambi i genitori e il controllo dell'autorità giudiziaria. «In caso di eutanasia, la morte non può essere certificata come "naturale". Il medico deve informare il medico legale (Coroner), che esamina il cadavere e ne informa il procuratore distrettuale il quale analizza il caso alla luce della normativa e della giurisprudenza applicabile...» Finora è sempre stato deciso per la non perseguibilità dei medici.

Sono autentici drammi. Non illudiamoci che in Italia e in altri paesi non esistano. Rimangono clandestini e oggi i neonati hanno meno garanzie da noi che in Olanda, con tutte le direttive assai precise e stringenti sui comportamenti da tenere fissate dal protocollo di Groningen. Si tratta quindi di porre delle regole, dei paletti, dei limiti appunto. E se è per questo le proposte radicali sono ancora più garantiste delle leggi olandesi.

Siamo alla terza e alla quarta mistificazione. L'accusa di nazismo è facilmente confutabile, visto che handicappati, omosessuali e persone appartenenti a razze ritenute "inferiori" venivano soppressi contro la volontà loro e dei loro genitori.

Ma lo è anche quella di eugenetica. C'è da dire, come prima cosa, che non tutte le malattie e le malformazioni che portano all'eutanasia neonatale in Olanda sono provocate da fattori genetici. Poi, qualsiasi programma eugenetico deve innanzitututto essere imposto dallo Stato, basarsi sulla coercizione, e non su una libera scelta della famiglia, non potendosi permettere che il minimo gene sfugga al controllo. Deve altresì riguardare anche la procreazione. Non basta infatti sopprimere l'handicappato o il malato. Occorre assicurarsi che i portatori dei geni difettosi, i genitori, non procreino; neanche figli sani. Anche per questi motivi l'eugenetica come l'avevano teorizzata i nazisti, prima che raccapricciante dal punto di vista umano, è ridicola, un assurdo, dal punto di vista scientifico.

Sono argomenti serviti, in questo scorcio di dibattito su un tema così doloroso e drammatico, a offrire un ritratto disumanizzante del proprio avversario politico e culturale. Ma con questi argomenti si finisce con l'avvicinarsi troppo a chi, in nome del valore supremo della Vita, fa presto a definire nazisti gli americani per Guantanamo, la guerra in Iraq, o la pena di morte. E ce ne sono già troppi in giro che ragionano così.