di N.R.
Probabilmente Enzo Tortora amerebbe essere ricordato così: sorridente, accolto da un caldo applauso del suo pubblico, un momento di autentica commozione, e poi la frase che aveva promesso di dire in apertura: “…Dunque, a che punto eravamo rimasti…?”.
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E allora ricordiamocelo così Tortora, stroncato da un infarto e da un tumore, una salute certamente minata anche dalla ingiusta carcerazione patita. Ma ricordiamolo anche con le tremende immagini di quando venne arrestato: immagini che sono diventate un simbolo in negativo. Così si creò il “mostro”; quelle immagini sono ancora oggi motivo di vergogna per chi lo accusò, per chi diede credito a quel castello di menzogne senza verificare se avessero un minimo di fondatezza; per chi si compiacque di mostrarlo in manette.
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Tortora viene arrestato il 16 giugno del 1983. E’ al culmine della sua carriera televisiva, il suo “Portobello” è visto da milioni di persone. Contro di lui, accuse infamanti: affiliazione alla camorra, spaccio di cocaina. “Cinico mercante di morte”, dirà il Pubblico Ministero.
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Il nome di Tortora viene fatto per la prima volta da Giovanni Pandico, sedicente braccio destro di Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Ascoltato ben diciotto volte dai magistrati, solo al quinto interrogatorio Pandico si “ricorda” che Tortora è un camorrista. Poi è la volta di Pasquale Barra detto ‘o nimale. Con le loro dichiarazioni aprono la stura a una valanga di altre accuse da parte di altri quindici sedicenti “pentiti”, che improvvisamente “ricordano” di Tortora camorrista; ma curiosamente solo dopo che la notizia del suo arresto è stata diffusa da televisioni e giornali.
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Come andarono le cose? Lo si comprende bene da una intervista a Silvia Tortora, del 18 maggio 1998.
Quando suo padre è stato arrestato, era accusato “solo” da due camorristi, Giovanni Pandico e Pasquale Barra. Dichiarazioni risultate false. Cos’altro c’era? Â
“Nulla”.
Suo padre è mai stato pedinato, per accertare se davvero era uno spacciatore o un camorrista?
“No”.
Intercettazioni telefoniche?
“Nessuna”.
Si è mai verificato a chi appartenevano i numeri di telefono trovati su agende di camorristi, e che qualcuno diceva fossero di suo padre?
“No”.
Il Pubblico Ministero Diego Marmo ha definito suo padre cinico mercante di morte. Su che prove?
“Nessuna”.
Suo padre è stato accusato di essersi appropriato di fondi destinati ai terremotati dell’Irpinia. Su che prove?
“Nessuna”.
I cronisti giudiziari, salvo qualche eccezione, hanno rovesciato su suo padre una quantità di infamanti volgarità . Qualcuno le ha mai chiesto scusa?
“No, sto ancora aspettando”.
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Enzo Tortora, le figlie Silvia e Gaia,e tutti noi che in Tortora abbiamo creduto e per il quale ci siamo battuti, attendiamo ancora una parola di scusa.
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Quello che viene chiamato il “venerdì nero della camorra”, e che consiste in ben 850 mandati di cattura, presto si sgonfia: sono decine e decine le omonimie e gli errori di persona. Nel solo primo grado, le assoluzioni sono ben 104.
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E’ opportuno, a questo punto, riproporre il racconto di Marco Pannella, sempre del 18 maggio 1998:
“Con Enzo ci si conosceva da tanto tempo: nel 1948-49 era impegnato su quel fronte che era già di lotta politica della goliardia; e in particolare attraverso quella celeberrima allora rivista “Baistrocchi”, che riusciva a fare della satira dura, ma anche elegante. Da allora, lo conoscevo. Poi via via ci sono state altre pagine sconosciute: Enzo nelle prime testate di tentativi di televisioni private, le battaglie per l’etere libere, le nostre battaglie di mobilitazione per le quali ci ritrovammo, ci dette una mano per raccogliere le firme contro il decreto Togni. Poi ci siamo ritrovati all’epoca delle prime battaglie per il divorzio.
Tortora è stato protagonista di un episodio, o di alcuni episodi, che in qualsiasi altro paese farebbero parte della storia patria, civile e contemporanea: da eroe, e da raccontare nelle scuole. Quando Tortora, deputato radicale al Parlamento Europeo, dopo che lo avevamo strappato dal carcere, si trova ad avere il Parlamento Europeo unanime – lo sottolineo: unanime – che disse NO con sdegno alla richiesta infame dell’ordine giudiziario italiano di nuovo per avere l’autorizzazione a procedere anche all’arresto nei suoi confronti, bene: noi subito ci recammo pubblicamente, avvisandole autorità italiane alla frontiera, per farsi arrestare. Si dice sempre che questo è un paese dove mai nessuno si dimette…Beh, se chi lo dice si guardasse un po’ intorno, potrebbero capire che invece siamo in tanti ad esserci sempre dimessi non dalle nostre responsabilità civili beninteso.
 C’è un episodio che mi preme raccontare: ero ospite a casa sua a Milano, eravamo in cucina nel periodo in cui si lottava per il divorzio, il referendum, non la legge; ed ecco che era accaduto da pochissimo l’episodio per la morte di Pino Pinelli, che io conoscevo, e del quale ero amico; così come d’altra parte lui conosceva ed era amico di Calabresi; anch’io lo conoscevo. Ad un certo punto mi ricordo Enzo dire innervosito: ma insomma, Marco, se quello che tu immagini, sul caso di Pinelli dalla questura di Milano con un salto di quattro piani, se dovessi immaginare che è vero, mi crollerebbe tutto il mondo addosso, tutte le cose alle quali credo. Punto. Avemmo un anno o due di rapporti difficili, di rapporti allentati. Beh, lascio immaginare quello che Enzo ci scrisse poi dal carcere, e quello che mi disse quando ci rivedemmo: “Mi è caduto tutto il mondo addosso”. Â
Quando Enzo diceva: mi hanno fatto esplodere una bomba, Marco – e l’ha detto anche pubblicamente – intendeva dire che il tumore che gli era scoppiato dentro era il frutto della lacerazione dello strazio di immagine, di informazione, di identità , del massacro di verità di ogni giorno da parte dell’ordine giudiziario e di quello giornalistico costantemente; ebbene lui ha detto una verità che la scienza assolutamente convalida. Il giorno in cui, come sta accadendo in questo momento a noi, si tenta di straziare l’identità , l’immagine, si tenta il genocidio politico e culturale di un movimento e del diritto in Italia; ebbene, questi ormai non possono più dire di non sapere che la scienza assicura che Enzo aveva ragione: era assassinato”.
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Sono trascorsi dieci anni dalla morte di Tortora, e dal calvario giudiziario che l’ha provocata. E’ almeno servito a qualcosa?
“La parola definitiva non si potrà mai dire. Noi vincemmo con un referendum che chiamammo ‘referendum Tortora’, quel referendum di civiltà per dare, conferire al magistrato il diritto alla sua responsabilità civile. A non essere al di sopra, e quindi al di sotto delle leggi. Poi ci fu il tradimento del Governo, del Parlamento e dei partiti: per i quali da allora non è più esistito un solo caso di responsabilità civile dei magistrati in Italia, acclarati e puniti e sanzionati.
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Nella tomba di Tortora c’è un’epigrafe, dettata da Leonardo Sciascia: “Che non sia un’illusione”. Come dire: un monito, una lezione. Serviva, il “caso” Tortora: per coprire gli scandali legati alla ricostruzione post-terremoto e l’ “affaire” Cirillo. Serviva, e in qualche modo servì al suo scopo. Nessuno ha pagato per il martirio di Enzo Tortora. I magistrati che l’hanno inquisito, giudicato e condannato hanno fatto tutti carriera.