“I diritti di libertà vanno bene finché non toccano i fondamenti della tradizione, perché, toccata la tradizione, è toccata anche la base della nostra libertà ”. La frase è di Marcello Pera (da un’intervista al Giornale di lunedì 15 maggio) e segna, come acutamente ha fatto notare Federico Punzi, un’ulteriore tappa di un singolare percorso intellettuale, “da liberale a conservatore liberale, da conservatore liberale a conservatore, dal conservatorismo alla reazione”. Con la consueta chiarezza, Punzi ha spiegato il punto: “Se la tradizione è il confine oltre il quale la libertà non può andare, ne consegue che non ci muoviamo più nell’ottica nel conservatorismo (la visione di chi ha un approccio cauto nei confronti del progresso, ma non vi si oppone in linea di principio, e svolge nel sistema politico una funzione frenante rispetto alle novità ), bensì nell’ottica della reazione”. Non vi ritornerò sopra, mi pare che non ci sia bisogno di aggiungere altro, se non che a Pera, ora, resta un ultima tappa: mettere la maiuscola a tradizione e farsi difensore della Tradizione.
Â
A quel punto, chi pensa “che essere liberali significhi avere posizioni diverse o opposte a quelle cristiane” sarà , per Pera, un nemico interno dell’Occidente, pericoloso al pari (o di più) di chi lo minaccia dall’esterno. Credente o no (perché pare che non sarà necessario giungere a imporgli la fede), il liberale che non vorrà essere considerato un traditore dell’Occidente dovrà ficcarsi in testa il seguente sillogismo: “Il fondamento della democrazia è l’uguaglianza e […] alla base dell’uguaglianza noi mettiamo la pari dignità di ciascuna persona”; questa è “concezione tipicamente cristiana”; ergo, “il tradizionalismo non è da ‘bollare’, ma da difendere” da parte di uno “Stato […] democratico e liberale”. Voilà , è fatto il link storico tra il liberalismo, da un lato, e la Chiesa che l’ha sempre considerato un peccato mortale, dall’altro. La logica di Marcello Pera è a prova d’imbarazzo.
Â
Ritengo superfluo segnalare quanti tragicomici paradossi potrebbe generare questo sillogismo, se per far diga a “immigrazioni crescenti, denatalità , fanatismo e terrorismo islamico” la soluzione fosse tutta nella difesa del tradizionalismo. In primo luogo, bisognerebbe richiamare Pera a far meno confusione: tradizione sta a tradizionalismo come natura a naturalismo. Si difende l’Occidente, difendendo la tradizione o il tradizionalismo? La prima è la trasmissione di generazione in generazione di memorie, usanze, costumanze, leggi; il secondo è un –ismo di tutto ciò, è l’ideologia che afferma l’indispensabilità di quella trasmissione, e ne vorrebbe garantire l’interezza. Come vuol difendere l’Occidente, Marcello Pera? Con la ripresa di memorie, usanze, costumanze, leggi, che da più parti sono da tempo considerate tanto inadeguate da dover essere adeguate continuamente ai sempre nuovi cambiamenti dell’angusto mondo che si arrocca sul suo tradizionalismo? O con il tradizionalismo, appunto, cioè col mero arroccamento sull’inadeguatezza ai cambiamenti?
Â
Nel primo caso, la vedrei assai dura per Pera. Memorie, usanze, costumanze, leggi – sì, ma quali? Volendo limitarci ai soli duemila anni di cristianità (perché, prima del suo avvento, il nostro fa intendere null’altro ci fosse se non la barbarie), come orientarci? Non sfuggirà , a Pera, che quei duemila anni sono l’album di memorie, usanze, costumanze, leggi diversissime tra loro, spesso contraddittorie. Per esempio: volendo adeguare la morale sessuale alla tradizione, è chiaro che quella odierna non vada bene, si debba fare il cosiddetto passo indietro – a quale secolo fare riferimento? Il IV secolo? Il X o l’XI? All’arco storico che va dal Concilio di Trento ai primi Lumi?
Nel secondo caso (nel caso Pera abbia imbarazzo a scegliere il secolo di riferimento), la vedrei meno dura: si tratterebbe di un passatismo ambiguo che può riscuotere qualche consenso, perché solitamente coniuga il senso comune di una o due generazioni precedenti all’ansia che il presente genera in chi non sa adeguarvisi. Sarebbe il tradizionalismo che immancabilmente fa reazione agli strappi verso il nuovo che di tanto in tanto avvengono, chissà perché. Sarebbe il solito esorcismo della modernità e dei suoi sempre nuovi volti (sicché neppure possiamo più dirla modernità , contemporaneità , post-modernità – Fine della Storia farebbe ridere, s’è visto).
Â
No, quello che penso sia assai più interessante è il punto debole del sillogismo caro a Pera, la premessa minore: la “concezione tipicamente cristiana” della “pari dignità di ciascuna persona” che sarebbe il fondamento dell’uguaglianza, quindi della democrazia. E’ veramente così? Non ha importanza che questo sia blaterato, oltre che da Pera, anche da altri, gerarchie vaticane in primis – chiedo: è veramente così? – la “pari dignità di ciascuna persona” è “concezione tipicamente cristiana”? Se sì, da quando, visto che la schiavitù è stata a lungo tollerata nell’Occidente cristiano, e le donne posseggono un’anima e hanno diritto al voto non da duemila anni?
Risparmierò al mio lettore la carrellata di discriminazioni, ingiustizie, violenze, ecc. che furono floride in Occidente in coincidenza con la massima floridezza del cristianesimo: pur sintetica, la carrellata prenderebbe pagine e pagine, tutte colme di orrori. Senza gli strappi che il nuovo ha, di volta in volta, fatto alla “concezione tipicamente cristiana” della società e delle relazioni tra individui, semplicemente non c’erano individui ma molecole sociali, la libertà di pensiero e di parola era la forma dell’eresia, tecnica e scienza sottigliezze del maligno, il godimento una distrazione dal compito riproduttivo, la differenza l’innesco della ribellione agli assetti concordati tra potenti chierici e potenti laici – la “concezione tipicamente cristiana” della società è a malapena tollerabile dai cristiani, ma solo se si concedere loro uno scisma ogni 3-4 secoli – parrebbe la regola.
Â
“Toccata la tradizione – dice Pera – è toccata anche la base della nostra libertà . Ed è toccata anche la nostra identità , che invece deve essere difesa”. Ma cosa dice? La tradizione è stata toccata innumerevoli volte in duemila anni, dalle architravi ai lapislazzuli di decorazione, la pianta stessa della tradizione è irriconoscibile – ad ogni cambiamento, per sovrapposizione del nuovo al vecchio, c’era un Pera che starnazzava come un’oca in Campidoglio per l’imminente arrivo del barbaro, l’imminente fine del mondo. Questa figura – più patetica che tragica, a ben vedere – non è neppure “tipicamente cristiana”: geroglifici egizi e papiri alessandrini lamentano la prossima fine di tutti i tempi, per implosione, perché il figlio non rispetta più il padre, le donne vanno in giro troppo scollate e i froci sono sempre più sfacciati – la firma è sempre di un gran sacerdote o di un ruffiano che aveva vitto e alloggio nel Tempio.
Marcello Pera – è triste dirlo – non conosce la Storia. O la conosce troppo bene, e cerca di cavarne vitto e alloggio.