IL TITOLO SOPRANNATURALE
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A voler immaginare l’ordinamento costituzionale come un organismo vivo, si direbbe che il sistema scolastico equivalga al sistema ematopoietico: il sangue vitale che rigenera ogni giorno la democrazia parte dalla scuola, seminarium reipubblicae.
(Piero Calamandrei)
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Uno dei più grossi equivoci del cattolicesimo è quello racchiuso nella espressione “libertà di insegnamento”. I papi non ne parlano che per condannarla: la condanna del Sillabo. Leone XIII nell’enciclica Libertas la definisce “al tutto contraria alla ragione e nata tutta a pervertire totalmente le intelligenze”. I partiti cattolici mettono sul loro vessillo la rivendicazione della “libertà d’insegnamento”. Si deve credere ai papi o ai partiti cattolici?
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Per rispondere a questa domanda bisogna fare una piccola inchiesta sul significato delle parole. L’enciclica di Leone XIII, che comincia con la parola libertà , libertas, contiene la condanna in linea di principio, in “tesi”, della libertà d’insegnamento, ne ammette l’esistenza solo in via provvisoria, in “ipotesi”, e ad essa contrappone il diritto che ha la chiesa alla “libertà sua”. Se qualcuno osservasse che questo modo di concepire la libertà è quello dei prepotenti e dei tiranni avrebbe subito torto: i teologi gli ricorderebbero che per la libertà la chiesa intende la libertà dal peccato, l’emancipazione dall’errore in virtù dell’accoglimento della parola divina. Siamo dunque di fronte a un significato teologico della parola libertà . Esso permette la seguente argomentazione: libertà è verità , verità è Dio, Dio è il suo vicario, il vicario di Dio è il papa, la libertà è il papa. E’ un esempio di quel che in retorica si chiama un sorte o falso sillogismo.
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Nel linguaggio politico dei partiti cattolici il significato della parola “libertà ” è invece quella del vocabolario. Però lo spirito con cui la parola viene usata dai cattolici nell’espressione “libertà d’insegnamento” è diverso da quello che sta a fondamento di un regime di libertà : rimanda a un principio eteronomo. Se si fa astrazione da particolari stati d’animo, quel principio eteronomo si riduce alla chiassosa proposizione di Veuillot: “ti chiedo la libertà in nome dei tuoi principi per poi negartela in nome dei miei”.
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La rivista cattolico-liberale francese Esprit ha cercato di analizzare criticamente gli stati d’animo legati alla tradizione. Le origini vanno cercare nella cosiddetta “epopea del 1831”:
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“Il 9 maggio 1831 i signori De Coux, Lacordaire, e Montalembert, aprivano una scuola cattolica senza l’autorizzazione dell’Università a Parigi, in via delle Belle Arti 5.
In presenza di un notevole numero di spettatori e di una dozzina di fanciulli – scrive padre Lecanuet – Lacordaire prese la parola: “Noi siamo riuniti, disse, per prendere possesso della prima libertà del mondo, di quella che è madre di tutte le altre, senza la quale non esiste né libertà domestica, né libertà di coscienza, né libertà di opinione; ma, presto o tardi, la schiavitù, l’asservimento di tutte le anime al pensiero di un sol uomo”.
La polizia non comparve quella mattina; ma il giorno dopo un commissario e tre agenti:
“In nome della legge, disse, dichiaro chiusa la scuola e avverto i fanciulli che non vi si presentino più fino alla decisione della giustizia”.
Allora, senza neppure rispondere al commissario sbalordito, Lacordaire disse ai fanciulli di inginocchiarsi, recitò il Sub tuum e aggiunse:
“Fanciulli miei, voi siete qui per ordine dei vostri genitori: noi li sostituiremo, noi siamo i vostri padri e le vostre madri: voi siete nelle nostre braccia come nelle loro: nessun potere oltre quello della giustizia può separarci. Voi sarete qui domani alle 8”.
Questa pagina della storia della Chiesa, che è anche una pagina della storia delle libertà civiche sotto la monarchia di Luglio, resta viva nella tradizione cattolica”(1).
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La pretesa di Napoleone di servirsi della religione come instrumentum regni per crearsi dei sudditi fedeli “né troppo bisogtti, né troppo increduli” (il fenomeno si ripeterà goffamente con Mussolini), aveva messo la chiesa in condizione di vantaggio di fronte a quei principi dell’89 che la chiesa detesta, deride ed avversa. Il compromesso napoleonico aveva dato alla chiesa la forza di combattere lo Stato con una indipendenza che essa non aveva avuto nei conflitti con i principi assoluti dal ‘700, quando la religione era a fondamento dell’antico assetto sociale, rafforzato dall’alleanza fra trono e altare. Lacordaire alleava invece, romanticamente il cristianesimo con i principi dell’89, la religione con la libertà e la democrazia. La chiesa non lo seguirà per questa strada; ma il suo gesto, le sue filippiche contro il monopolio dello Stato resteranno nella tradizione cattolica come una leva del sentimento, come un appello alle forze di riscossa cattolica contro lo Stato in quanto Stato, perché nato dai principi dell’89. Come si vide in Francia sotto Luigi Filippo (legge Guizot del 1833) e poi in regime di repubblica e di democrazia (legge Falloux del 1850), l’espressione “libertà d’insegnamento” diviene per i capi cattolici un cavallo di Troia per espugnare dall’interno lo Stato democratico e liberale (2).
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Già nelle parole di Lacordaire c’è un equivoco sottile. La libertà di insegnamento è innalzata a “prima libertà del mondo, madre di tutte le altre”. Contiene quest’affermazione una verità storica? – Le libertà civili, politiche e religiose sono nate l’una dall’altra – o prima l’una, poi le altre – a seconda dei climi, delle diverse inclinazioni degli uomini e delle circostanze storiche. In alcuni paesi protestanti è nata prima la libertà di coscienza, poi le altre libertà civili e politiche – questa da quella. Nei paesi cattolici la libertà delle diverse confessioni religiose è nata per ultima e non ha ancora un’esistenza sicura e tranquilla, e scarsa è la tutela della libertà di coscienza del cittadino. La libertà si avvantaggiano reciprocamente del loro fiorire e tutte sono minacciate se una è insidiata o violata. Nel sistema delle libertà , anche la libertà di insegnamento giova a tutte le libertà – della libertà di coscienza, di pensiero, di opinione, d’informazione e di stampa – e concepita come prerogativa di un solo ente, sia esso la chiesa o il partito o l’uomo che è al governo della cosa pubblica, si converte in monopolio e si annulla.
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I partiti cattolici, nei paesi in cui non hanno ancora conquistato il potere assoluto, predicano la “libertà d’insegnamento” per venire al compromesso di concorrenza e assicurare così la prevalenza della chiesa. Tra il loro linguaggio e quello del papa c’è questa differenza: il papa, quando parla di libertà d’insegnamento – e la condanna –, intende la libertà di insegnare secondo scienza e coscienza, coincida o no la scienza e la coscienza col cosiddetto magistero della chiesa; i partiti cattolici, quando parlano di libertà d’insegnamento – e ne fanno un cardine della loro politica –, intendono la libertà di organizzare scuole nelle quali si insegni solo in conformità al magistero della chiesa, e vogliono che queste scuole, in cui non entra il soffio della libertà , siano legalmente riconosciute e sovvenzionate dallo Stato. Perché i partiti cattolici si servono della libertà come mezzo per poi negarla come fine? Perché non dicono chiaro e tondo ciò che il papa dice chiaro e tondo, cioè che la libertà di insegnamento non ci dev’essere?
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Chi si lamentasse di questa ambiguità e pretendesse di inchiodare i cattolici sulle loro posizioni dogmatiche e illiberali dimostrerebbe di non aver capito nulla del cattolicesimo e di gran parte del cristianesimo come fenomeno storico. L’ambiguità è una conseguenza della mondanizzazione e della storicizzazione dell’annuncio mistico – e quindi extrastorico – dell’avvento imminente del “regno di Dio”. Nel cristianesimo storico “il regno di Dio”, a somiglianza dei regni del mondo, si tramuta in ordinamento giuridico. Confuso ed elastico è rimasto però nel pensiero cristiano, a cominciare da S. Agostino, il confine tra “città celeste” e “città terrena”, poiché la “città celeste” è anche “terrena”, la chiesa invisibile ha inizio dalla chiesa visibile (3). Nei rapporti tra chiesa e Stato il cattolico è tendenzialmente portato a vedere riprodotta la contrapposizione tra “regno dei cieli” e “mondo” e a risolverla a vantaggio del regno dei cieli, della chiesa visibile, della sua organizzazione terrena e della casta sacerdotale che la dirige. Libertà , diritto, giustizia sono parole che possono avere sempre un doppio significato per un uomo politico cattolico e devoto alla gerarchia ecclesiastica, a seconda che egli le intenda in senso giuridico o in senso teologico; le stesse leggi che egli, come legislatore, concorre a creare perdono ai suoi occhi ogni valore quando incorrano nella disapprovazione della gerarchia ecclesiastica.
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Questo aspetto del cattolicesimo è assai più attuale e pericoloso di quello schiettamente autoritario e assolutistico alla De Maistre, anche perché più aderente all’intima contraddizione, insita nello stesso cristianesimo storico, tra la fuga nel mondo e la vita del mondo, tra il regno dei cieli e la morale e la legge del mondo. In questa piega interiore declina e vacilla l’autonomia di tutti i valori umani, libertà , giustizia, diritto. L’uomo si umilia nell’ineffabile e si smarrisce nella charitas, considera “eroismo” la rinuncia alle proprie idee, accetta la guida di un pastore di anime, del sacerdote, e ad esso rimette le decisioni più gravi (4). A partire da questo momento l’illecito può divenire lecito, la legge civile può cedere il passo alla legge canonica, il diritto umano al cosiddetto diritto divino, la libertà non può coincidere con l’obbedienza e l’obbedienza può essere sentita come la “vera libertà ”.
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Nell’educazione dei giovani questa ambivalenza del sentimento, questa instabilità della psiche, questa “doppia cittadinanza”, questa confusione di idee è più deleteria dello stesso insegnamento catechistico. L’indottrinamento autoritario può suscitare nei giovani migliori una reazione o una ripulsa, che apra la via all’indagine critica e al libero atteggiarsi del sentimento religioso; ma l’ambiguità diviene una seconda natura. L’educazione data in nome di una libertà -non libertà è un’educazione inefficiente per la vita democratica del Paese.         Â
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1) Propositions de paix scolaire, in Esprit, a. XVII, Paris, mars-avril 1949, p. 366.
2) G. Weill, Storia dell’idea laica in Francia nel secolo XIX, ed. Laterza, Bari, 1937.
3) Guido Fassò, Cristianesimo e società , ed. Giuffré, Milano 1956.
4) Sulla rinuncia alle proprie idee considerata come “eroismo”, v. la testimonianza di Leone Cattani, in Stato e Chiesa, ed. Laterza, Bari, 1957, p. 255.
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28) Segue.
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