L’idea madre per la redazione de “La Pace Perpetua” fu sollecitata a Kant da due importanti eventi: la pace di Basilea con cui la Francia pervenne alla pace con Spagna, Olanda e, soprattutto, con la Prussia che, secondo evento significativo, in quell’occasione “riconobbe” l’esistenza dello Stato rivoluzionario Francese.
Con questi due eventi, si reificava nello sguardo preconizzante del filosofo konisberghiano, la visione dello straordinario effetto “a domino” determinato dall’allargamento di confini giuridici e politici tra stati, più precisamente il potere, quasi deterministico, di pace e compensazione di interessi realizzato da uno “Stato più Largo” derivante dall’”unione alta” fra Stati e tendente a felicificamente a un sempre maggiore ampiezza.
L’intuizione di kant ha come seme un postulato preciso, l’immaginare gli Stati come “individui in grande”, livello secondario e più alto di composizione di conflitti rispetto alla pace quello posta in essere tra gli individui attraverso la creazione dello stato, e l’accordare a questa visione un percorso praticamente naturale di pace.
Gli uomini come singoli individui, e gli Stati come individui in grande, nella condizione di natura, cioè nello stato di natura, tendono alla guerra reciproca; ma come all’interno degli individui nasce una forza e un’esigenza che li porta a cooperare nello Stato, così all’interno dei popoli nasce una forza che li spinge alla cooperazione internazionale.
La premessa è forte: secondo Kant, due Stati, per quanto muniti di un proprio apparato giuridico e politico, di una propria storia, di un proprio senso sociale, una volta che entrano in conflitto degradano comunque a “Stati Selvaggi”: la cui selvatica caratura è denotata dallo stato bellicoso in cui si trovano, dall’isolamento in cui giacciono (straordinaria,in tal senso, la metafora kantiana «come gli alberi in una foresta, per il fatto appunto che ciascuno cerca di togliere all’altro l’aria e il sole, si costringono a vicenda a cercarli sempre più in alto e così crescono alti e diritti, mentre quelli che crescono  isolati cacciano i rami a capriccio e vengono su rachitici, curvi e contorti»,  dall’impossibilità di avere strumenti di reciprocità atti a comporre i dissidi.
L’idea di Kant è molto semplice: l’aggregazione ad altri stati, che formano a loro volta un solo grande Stato, genera una riduzione del tasso di bellicosità , una maggiore composizione dei propri interesse, un’esponenziale e reciproca rimessione dei propri egoismi.
Tanto più il movimento sarà aggregante tanto più si allargherà la possibilità di accomunarsi nel metodo e nello stabilire comuni organismi di composizione.
L’isolamento, al contrario, genera la contaminazione del suo sistema, il degrado a ordinamento selvaggio nonostante o meno la presenza di un corpo giuridico o normativo.Â
Kant puntava a uno Stato universale. Uno stato universale che accogliesse gli stati senza limitarne la sovranità ma imponendo, attraverso il loro stesso riconoscimento, strumenti giuridici superiori di compensazione. Oggi, guardare con gli occhi di Kant la situazione significa vedere con chiarezza in Israele la prima, significativa, tessera di un “domino” che, con la stessa procedura di annessione, spurgherebbe lo stagno internazionale, sollecitando un percorso congregativo di portata assoluta. Universali diverrebbero i modelli. Universali i metodi. I diritti. La pace, insomma.