I Verdi sono stati il primo partito a misurare gli effetti del loro congresso in termini di cambiamento climatico. Peccato. Potevamo esserlo noi nel Congresso dei Radicali che si è tenuto qualche giorno prima di quello dei Verdi. Come associazione Tecnosophia avevamo preparato un intervento che faceva riflettere ai congressisti sugli effetti che il congresso avrebbe avuto sull’ecosistema, sull’energia che si sarebbe consumata in quei 4 giorni per tenere il congresso e su quanta ne era stata consumata mediamente ipotizzando semplicemente che il 50% dei presenti si fossero recati a Padova con il proprio automezzo e l’altro 50 in treno. Al di là dell’importanza di essere primi (i secondi non fanno la storia) bisogna ammettere che il problema dell’energia e del cambiamento climatico è all’improvviso saltato all'attenzione pubblica. La dimostrazione sta proprio nel fatto che il tavolo per l’energia (nel congresso) è stato certamente quello più seguito: Antonio Bacchi ha riferito una media di oltre 30 persone. Purtroppo non potemmo intervenire in quanto eravamo 80-simi in lista.
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Tornando al problema dell’energia e del cambiamento climatico, mi preme sottolineare che anche se fossimo stati i primi a “misurare” l’effetto del Congresso sul clima e quindi a vantare questo primato di originalità , sicuramente non avremo avuto la stessa considerazione dei Verdi da parte dei telegiornali. Ciò è dovuto a due motivi: il primo, perché ormai i giornalisti presenti erano attenti solo alla disputa tutta interna volta a capire la natura dello scontro tra Marco Pannella e Daniele Capezzone. Il secondo, è che nel nostro Paese vige un luogo comune duro a morire e cioè che dire qualcosa di “verde” lo si aspetta, appunto, solo dai verdi e non dai radicali. Doppiamente peccato! Sì, poiché il tema dell’energia è stato da sempre un tema radicale che è scomparso dall’agenda politica per comparire purtroppo in un momento difficile e delicato della vita del partito. Siamo stati noi radicali ad allertare la pubblica consapevolezza delle questioni energetiche così come siamo stati noi radicali a “regalare” il simbolo del Sole che ride ai Verdi e purtroppo con il simbolo abbiamo ceduto anche la battaglia politica.
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Nel 1977 l’indagine conoscitiva della Commissione Industria della Camera, presieduta da Loris Fortuna, pur aprendo spazi al dissenso antinucleare e ritardando l’avvio del piano del governo, fu chiusa affrettatamente sanzionando le scelte di Donat Cattin che voleva ben 12 centrali nucleari da 1.000 MW come base di partenza del piano energetico. Il dibattito alla Camera cadeva in un momento di crescita del movimento antinucleare condizionando la posizione di tutti i partiti che a pochi mesi dall’accordo programmatico si rimangiarono le posizioni sostenute in passato. Il PSI fece autocritiche feroci sull’appoggio dato alla scelta nucleare e sul numero stesso delle centrali degradandole a “fonte residuale”. Un giro di 180 gradi che dalla necessità del nucleare passò diritto diritto in campo antinucleare. Anche il PCI cambiò posizione. Così la politica energetica rimase vuota di contenuto e lo spazio politico fu a poco a poco occupato dal “ripetitore automatico” dei Verdi con il loro nichilismo da salotto che li portava a difendere il non fare mai nulla, ad opporsi a qualsiasi cosa puzzi di sviluppo. Incapaci di pensare al futuro del Paese, sono diventati una casta che si autogenera opponendosi al progresso e diventando paladini ambientalisti, sciampisti dell’ambientalismo militante.
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Poi, dieci anni dopo, nel novembre del 1987, si tenne lo sciagurato e demagogico referendum che ebbe un voto inconsapevole e irresponsabile influenzato dall'onda emotiva provocata dal disastro di Chernobyl. Fece seguito al referendum il Piano Energetico Nazionale del 1988 (l’ultimo elaborato nel nostro paese) con il quale si metteva in atto una moratoria di cinque anni alla costruzione di nuove centrali e si ponevano le basi per la dismissione di quelle esistenti.
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Ora possiamo rallegrarci di averle azzeccate tutte per affossare il Paese: abbiamo comprato un quarto del fabbisogno di energia elettrica dalla Francia e da altri Paesi che la producono con le medesime centrali atomiche che non abbiamo voluto. Abbiamo subito un notevole aggravio dei costi, poiché gli altri tre quarti si sono prodotti usando prevalentemente costosissimi derivati del petrolio o gas. Abbiamo perso il know-how con un gap di 20 anni difficile da recuperare. Abbiamo un costo dell’energia elettrica di oltre il 50% in più rispetto ai francesi. La ricaduta di tale costo sulla competitività dei nostri prodotti è inestimabile. Non siamo neppure garantiti dai rischi di inquinamento in quanto nel malaugurato caso di incidente ad una centrale francese, i venti sposterebbero la nube radioattiva proprio su di noi. Siamo stati degli imbecilli, abbiamo speso una valanga di miliardi in più, abbiamo corso gli stessi rischi e come se non bastasse, abbiamo consegnato il nostro futuro in mano agli stranieri. Difficile fare peggio.
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Difficile fare peggio anche per i radicali. Denunciano il Caso Italia e poi sono gli altri a cavalcarlo. Si è lasciato che nell’immaginario collettivo fossero i verdi a lanciare l'allarme sui pericoli del cambiamento climatico pur sapendo benissimo che il movimento dei verdi non c’entra niente, l’allarme è stato dato dagli scienziati. Le origini del movimento dei verdi vanno nella direzione che vedono nell'industria moderna un elemento di distruzione dell'integrità della natura, sognando un improbabile mondo fatto come nella pubblicità del Mulino Bianco. I verdi toccano la coscienza cloroformizzata degli italiani ergendosi a paladini romantici e conservatori contro l'industrialismo che rappresenta una minaccia. E hanno avuto gioco facile giacché nel nostro Paese le gerarchie vaticane sono da sempre ostili alla scienza e alla tecnologia, per cui risulta semplice per chiunque intromettersi in quel filone. Il movimento dei verdi si è sviluppato attorno ad un’idea assolutamente idiota: quella di conservare la natura di fronte all'avanzare della tecnologia degli uomini.
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Bisogna che il movimento radicale abbia la forza e la volontà di fermare questa filosofia dell’austerità basata sul ritorno alla “natura” che è devastante: non potrà mai esserci un tale ritorno, giacché la "natura" non esiste più. Viviamo in un mondo in cui l'influenza umana è ovunque; e la nostra unica salvezza è rivolgerci alla scienza e alla tecnologia perché è là che dovremo attingere per trovare le risposte al problema del cambiamento climatico.
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Occorre che le questioni ambientali, diventino parte integrante del programma dei Radicali, nonché dell'insieme dei diritti e doveri che costituiscono il contratto tra il governo e i cittadini, coinvolgendo anche il sistema fiscale e quello del welfare. Il principio guida deve essere che l'ambiente non può più considerarsi un bene senza costo. Gli incentivi ed i crediti fiscali potrebbero essere fattori motivanti per un cambiamento dello stile di vita dei cittadini, delle organizzazioni pubbliche e delle imprese.
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Gli incentivi fiscali e le sanzioni, abbinate all'educazione ambientale e a un maggiore senso della responsabilità personale, dovranno contribuire a promuovere cambiamenti assertivi nel comportamento quotidiano delle persone. L’ambiente, l’allarme del clima e l’energia rappresentano lo sviluppo tecnologico che sarà nei prossimi vent'anni ciò che l'information technology è stata nei venti precedenti: una forza eccezionale di vitalità economica incoraggiante del più grande e vasto cambiamento economico e sociale del secolo.
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