Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
FVG, laboratorio per il brodo

di Walter Mendizza

Tra un anno e mezzo circa si terranno le elezioni nel Friuli Venezia Giulia. Ancora una volta la nostra regione, in anticipo rispetto alle Europee del 2009, potrà essere un grande laboratorio per sperimentare le combinazioni di lettere della brodaglia politica: Udc, Ccd, Cdu, Ds, Sdi… Nella combinazione possibile di sigle, il brodo scipito della politica, spunta una che per carattere e per offerta politica è diversa da tutte le altre perché rappresenta una domanda di libertà e di modernizzazione della parte più dinamica della nostra società che non trova risposta né nel centrosinistra né nei soggetti del caudillismo sudamericano nazional-popolare di centrodestra. Mi riferisco alla RnP. La Rosa nel Pugno si distingue perché ha dentro di sé i radicali che più di ogni altro partito rappresenta il grillo parlante di ciò che non va nel nostro Paese, la sua coscienza laica, democratica e liberale. Un partito che può rivolgersi anche agli insoddisfatti, ai non delusi, perché non illusi (per dirla alla Pannella).

 

Dobbiamo quindi chiederci se vogliamo partecipare a queste elezioni amministrative che sono quelle più politiche. La risposta potrebbe essere “sì”. Sì, vogliamo. Tuttavia dovrebbe trattarsi di un sì condizionato: vogliamo presentarci a patto che si dia voce alle istanze di Fiuggi. A patto che si possa andare in alleanza con lo Sdi ma senza per forza dover sentir dirci che sono 30 volte più grandi di noi. Senza quelle logiche perverse che fanno pesare quel 30 come fosse un voto universitario. E’ la stessa logica maligna mediante la quale il peso nelle coalizioni vale esattamente la percentuale di votanti: se ottieni ad esempio un tre percento allora vali quel tre percento, ti imponi per quel tre percento, sei stimato e vuoi contare per quel tre percento perché, in definitiva, tu sei il tre percento. Questa agghiacciante logica è un sistema perfido che trasforma la quantità in qualità; dunque risulta chiaro che per una organizzazione che fa della qualità il centro dell’azione politica, questa raccapricciante dialettica dà il voltastomaco ed è la fonte dei dissapori con lo Sdi.

 

Dall’altra parte lo Sdi ci rinfaccia di essere un’armata brancaleone, di non essere un partito politico in quanto mancante di organizzazione sul territorio. Ma che vuol dire? Provo a spiegarlo. Se ho capito bene, per lo Sdi la libertà e la democrazia devono esistere all'esterno dei movimenti e dei partiti che i cittadini liberamente creano, non all'interno, altrimenti (ed è questa la critica che ci fanno) non esisterebbe più identità partitica. Sarebbe come andare dal movimento pacifista e chiedere che si rispettino le SS; oppure chiedere ai comunisti di accettare gli anarco-capitalisti. Dato che per i radicali la priorità assoluta è la libertà, secondo gli amici socialisti siamo degli anarchici camuffati, mentre loro hanno il senso dell'identità ed è per questo che possono prendere o espellere chi vogliono, cosa che per noi è inconcepibile.


Certo, anche se accettiamo questa “critica” dobbiamo dire che, per converso, una organizzazione piramidale sul territorio è alla base della partitocrazia e pone le fondamenta per la contrattazione dei posti di potere con negoziazioni che si gestiscono in prima persona. Una contrattazione “personale” del posto, di qualunque posto: dal consiglio di amministrazione dell’ultima municipalizzata fino al più eclissato portierato del sottoscale di un condominio. Questa è conseguenza dell’organizzazione e rappresenta invece la nostra critica nei confronti degli amici Sdi, cioè che i vertici sono “prigionieri” di una base che porta avanti con scrupolosa e attenta accuratezza la gestione del posto. Si capisce dunque la nostra perplessità quando, avendo a che fare con la loro “base” e dovendo parlare di condurre una battaglia politica o soltanto una iniziativa, ci guardano come se fossimo marziani.

 

Ecco dunque la nostra esitazione: come facciamo a presentarci assieme alle elezioni avendo questi due dna così diversi? E qui la risposta non è più così scontata: rischiamo di farci mangiare senza lasciare neppure le briciole. E se cercassimo di far valere un’improbabile parità di diritti, il momento umano che c’è prima delle elezioni finirebbe subito dopo queste, con il rischio di essere trattati come al cane quando gli si dà da mangiare sotto il tavolo. Perché la base dello Sdi o è senza scrupoli oppure è senza bussola. Questa è la nostra perplessità. Sì, cari compagni, sentiamo che vi mancano gli ideali, siete privi di un faro interiore, di una stella che vi indichi il nord.

 

Che dire sennò del fatto che senza essere doverosamente informati, in regione avete cavalcato la prima baggianata populista che vi passava davanti e suonava che poteva portare (forse) qualche voto in più? Mi riferisco al “no” ai rigassificatori del assessore di Gorizia che non sapeva nemmanco come funzionasse un rigassificatore. Oppure, che dire di quella infelice sciocchezza che vi ha fatto accettare supinamente la raccolta di immondizia porta a porta? O pensavate che era il Porta a Porta di Bruno Vespa?  Approvando tale scempiaggine fate ricadere il deficit della municipalizzata Iris, sui cittadini anche in termini di disagio e di compromissione della salute. Vi siete sommati al coro degli ambientalisti senza riflettere. Se la questione, come sostengono le altre associazioni ambientaliste, fosse quella di indurre ad una raccolta differenziata più spinta, anziché al metodo coercitivo perché non guardate alla tecnologia che, nel medio periodo, si rivela anche economicamente la scelta più vantaggiosa. Vi riempite la bocca con scuola, scuola, scuola ma poi quando si tratta di pensare alla tecnologia vi alleate con quelli che remano contro, con i conservatori. Mah.

 

E meraviglia che, a distanza di anni, qualcuno voglia ripercorrere il grigio sen­tiero olezzante che già contraddistinse gli accordi fatti in passato con altre stelle cadenti della politica. Forse ha ragione Capezzone quando dice che volete usare la RnP come un taxi. Ma un taxi per portarvi dove? Avete dentro la maledizione della diaspora permanente. Non appena cominciate a dire qualcosa, non appena l’opinione pubblica fissa per un nanosecondo lo sguardo su di voi, zac! Vi separate. Siete due anime che vogliono unirsi e finiscono per diventare tre corpi. Forse è una dannazione che viene dalla prima repubblica, la quale prima di tirare le cuoia ha stramaledetto il pentapartito. In effetti succede lo stesso ai democristiani che ai due nuclei originari quelli dell'Udc (dove alloggiano i democristiani del Ccd e quelli del Cdu) e del Partito popo­lare (oggi Margherita), si sono aggiunti i demo­cristiani dell'Udeur di Mastella e quelli per le autonomie di Rotondi e ancora i democristiani del Mpa di Raffaele Lombardo e poi quelli che hanno lasciato Forza Italia seguendo l'ex coordinatore veneto Giorgio Carollo nel nuovo movimento Veneto per il Ppe ed i democristiani che hanno fondato con Marco Follini l'«Italia di mezzo» e poi i democristiani, appunto, di Giuseppe Pizza…

 

Ed eccoci qua a decidere cosa fare per le prossime elezioni con questi compagni dal fiato corto ma pesante, dall’elettroencefalogramma politico piatto ma scandito da picchi di elettroshock quando c’è da spartirsi qualcosa. Ma temo che la colpa, alla fine, sia solo nostra: la verità è che lo Sdi non ama la compagnia né degli imbecilli né dei geni, perché i primi gli danno fastidio e i secondi gli fanno ombra. E noi radicali siamo entrambe le cose: siamo imbecilli perché non sappiamo contrattare poltrone e siamo dei geni perché sappiamo inventarci la politica tutti i giorni ed in ogni angolo di strada e con qualsiasi mezzo.


La sinistra si è trovata unita (Unione) soltanto per quella
sorta di comitato di liberazione nazionale contro il male incarnato da Berlusconi ma non ha saputo darsi nulla di più. Perché non ha un idea, un’aspirazione, un sogno. Non ha niente e quando non si ha niente, non si semina niente e non si raccoglie niente. Così è lo Sdi: non un’idea, un afflato, un’aspirazione che sia una degna di questo nome. Ci hanno ripetuto come un disco rotto: più scuola, più scuola, più scuola. Credo che le immagini registrate dai telefonini che hanno fatto il giro del mondo in internet con studenti che prendevano per il culo i loro professori o gli puntavano una pistola giocattolo da dietro la scrivania e avevano avuto l’ardire di imbavagliare con un giornale la faccia del malcapitato insegnante, la dica lunga su quello slogan che si è rivelato demenziale, fuori dal mondo e fuori dal nostro tempo.

 

Insomma, non se ne vede via di uscita. Boselli e Villetti sono prigionieri della base. Nella nostra regione, questa fantomatica base pensa di presentarsi da sola alle elezioni. Ormai non c’è spazio per contrattare neppure l’uso del simbolo e temo che non ci sia neanche il tempo. O facciamo entrambi, radicali e socialisti un passo grande e sincero l’uno verso l’altro, un passo di riconciliazione, accettando le nostre differenze e cercando di valorizzarle o davvero ogni giorno, anzi, ogni ora che passa diventa troppo tardi ed i veti incrociati per l’uso del simbolo impediranno qualsiasi riconciliazione. Forse davvero è troppo tardi o forse no. Comunque dire che il dado è tratto è a mio avviso sbagliato, anzi, facciamoglielo dire a quelle cassandre che non vogliono un movimento laico, liberale e libertario, ché nella loro bocca questa frase sa solo di brodo.