Notizie Radicali
  il giornale telematico di Radicali Italiani
  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Ridateci il cardinal Bellarmino

di Fausto Cadelli

Un “must” dell’anticlericalismo è ripercorrere le malefatte  dell’Inquisizione, talvolta anche con un  malcelato compiacimento per gli aspetti più disgustosi dell’orrore, poco considerando la drammatica grandezza della Chiesa di allora, ben consapevole che non si potesse pretendere di dire il “perché” delle cose senza spiegare anche il loro “come” e che non si potesse accettare un nuovo “come” (quello della scienza moderna) se questo collideva con il proprio “perché”. Il cardinale Bellarmino era però anche un uomo di valore, curioso delle novità scientifiche che, per salvare capra e cavoli, suggeriva di sviluppare come “supposizioni” matematiche senza pretendere di imporle come “realtà”, pena cadere nell’eresia (una cortesia questa usata almeno nei confronti di Galileo, non dell’ostinato Bruno).

 

Oggi invece la Chiesa ha ben altri cardinali, come Sua Eminenza Alfonso Lopez Trujillo che in un intervista al “Corriere della Sera” di ieri, lunedì 11 dicembre, se  ne esce con affermazioni - alcune involontariamente esplosive - che fanno seriamente dubitare circa il valore dell’elite che regge (regge !?) la Chiesa cattolica. Riporto alcuni stralci. Domanda. ”Che dice di Welby? Tenerlo attaccato a quella macchina non è accanimento terapeutico?” Risposta. “ Credo si debba riflettere bene prima di definirlo accanimento. E’ piuttosto aiuto a respirare, paragonabile all’aiuto all’alimentazione in chi non può mangiare”. D. “Che direbbe all’uomo che chiede di poter morire con assistenza medica?” R. “ (…) Gli parlerei della testimonianza nel dolore che può aiutare il prossimo. Sempre si può dare qualcosa finchè si è dotati di intelligenza e volontà”. E nell’introduzione dell’intervista, a proposito della ventilazione come “aiuto alla respirazione”, in un virgolettato che si deve ritenere riferibile al cardinale, egli afferma che se la ventilazione meccanica fosse considerata accanimento terapeutico saremmo già al “riconoscimento di fatto dell’eutanasia per tutti i malati terminali che hanno bisogno di una macchina per l’alimentazione o la respirazione”. 

 

Vorrei esporre alcuni punti.

l’interruzione dell’alimentazione o dell’idratazione non è per nulla l’eutanasia. Anzi, l’eutanasia servirebbe proprio per evitare che si ripetano vicende orribili come quella di Terry Schiavo. L’interruzione della respirazione con contestuale sedazione terminale – come nel caso di Welby – è solo un’approssimazione dell’eutanasia.

 

Francamente, sostenere che la ventilazione forzata non è accanimento terapeutico ma “aiuto a respirare, paragonabile all’alimentazione in chi non può mangiare” è una dichiarazione che lascia interdetti. Quanto all’accanimento, vorrei dire questo. La medicina, tutta la medicina, è “aiuto” dell’organismo: in questo senso, l’antibiotico è supporto all’azione del sistema immunitario, la defibrillazione è aiuto al cuore a “risettarsi”, la sutura è aiuto alle piastrine a contenere l’emorragia. Gli atti medici si distinguono però tra quelli che possono o meno guarire una malattia od un trauma specialmente se questi hanno un esito mortale. Se un atto medico non può guarire, continuare a praticarlo è un accanimento “oggettivo” ed è preciso dovere del medico segnalare l’inutilità della terapia (come avviene, in ben altri contesti, per la calvizie o la vitiligine, per le quali i medici seri si astengono dal prescrivere cure che sanno essere inutili). Di accanimento vero e proprio si può parlare non in sé ma quando l’inutilità oggettiva  della terapia diventa soggettivamente insopportabile a giudizio del paziente.

 

C’è del vero, come dirò nel punto successivo, nelle parole del cardinale quando egli lega insieme “l’aiuto” alla respirazione con quelli all’alimentazione e (sottointeso) all’idratazione. Ed è vero anche che, con l’interrompere questi “aiuti”, si apre la strada ad “un’eutanasia di fatto” (che nulla ha da spartire con l’eutanasia vera e propria). E’ proprio per respingere “l’eutanasia di fatto” che Trujillo riunisce “l’aiuto” alla respirazione agli altri due, in modo di poter negare a tutti e tre la natura di atto medico. Se è vero che c’è un ampio accordo nel considerare la respirazione meccanica una terapia, il cardinale sa benissimo che, fino all’adozione di una legge netta sull’eutanasia, la giurisprudenza è dubbiosa nel ritenere la nutrizione e l’idratazione meccaniche come atti medici, per questo soggetti al consenso del paziente. La respirazione meccanica viene perciò “agganciata” alle altre due metodiche, nel disperato tentativo di allontanare “l’eutanasia di fatto” deprecata da Sua Eminenza.

 

Come anticipato prima, vorrei qui riflettere sulla natura secondo me squisitamente medica di respirazione, nutrizione ed idratazione meccaniche. In generale, un conto è l’atto medico, un conto la sua esecuzione. Un’operazione chirurgica è dall’inizio alla fine un atto medico. Ma la cura di una bronchite è un atto medico solo nel riconoscimento della malattia e nella prescrizione della cura. L’adesione alla terapia da parte del paziente è libera. Se il paziente non la segue, potrebbe guarire comunque senza medicine così come veder degenerare le proprie condizioni di salute. Se la segue, l’esecuzione della terapia (staccare le pastiglie dal blister ed inghiottirle) non è un atto medico. Ora, senza respirare si vive due minuti, senza bere una settimana, senza cibo più o meno un mese. Se la medicina è aiuto alla vita che cosa c’è di più essenziale alla vita se non garantire all’organismo ossigeno, acqua, cibo? (ovviamente escludendo qui tutti i fatti acuti che minacciano la salute). Nulla c’è di più squisitamente medico se non garantire l’afflusso di questi elementi all’organismo che muore senza di essi e non può produrli da solo. Ora, non mi risulta proprio che, per il paziente medio, sia possibile impiantarsi da soli un sondino nello stomaco, o collegarsi ad una flebo o ad un respiratore automatico. La flebo, il sondino, il respiratore sono supporti (come le protesi, o una terapia permanente quale l’assunzione d’insulina nel diabetico) che il paziente è sempre libero o meno di utilizzare. Cambiare l’ampolla della flebo o preparare il composto da introdurre nello stomaco col sondino è, pertanto, la mera esecuzione di una terapia che garantisce una necessità essenziale per la vita. Ritengo, addirittura, che anche gli atti esecutivi di questa terapia (la sostituzione delle sacche) siano da considerare essi stessi atti medici (o inferimieristici) laddove il soggetto sia impossibilitato ad eseguirli in proprio come nel caso del coma o della paralisi. Se così non fosse si finirebbe all’assurdo di ritenere atto medico solo l’assunzione di un principio farmacologico attivo negando tale natura a tutte le attività, quali la rianimazione cardio-polomonare o gli interventi chirurgici, tesi a ripristinare una funzionalità organica lesa.

 

Mentre scrivo siamo tutti in attesa della decisione del  Tribunale civile di Roma per il caso Welby. Il parere della procura apre la speranza che quest’uomo possa accedere alla pace fisica e civile alla quale aspira. La terribile tortura alla quale si sta sottoponendo Welby (e che costituisce la miglior risposta al cardinal Trujillo il quale sostiene che il dolore proprio può essere di aiuto al prossimo: eccome se è di aiuto agli altri il dolore di Welby, anche per Lei, Eminenza!) impone che al più presto si giunga all’adozione dell’eutanasia vera e propria. Se Welby, facendo cessare la sua vita come desidera, vincerà la sua ultima battaglia ne prevedo altre, se possibili ancora più atroci. Se verrà consentita l’interruzione della respirazione artificiale arriveranno le richieste – terrificanti -  d’interrompere l’idratazione e la nutrizione meccaniche da parte di soggetti che desiderano l’eutanasia ma hanno la “disgrazia” di respirare autonomamente. Queste persone hanno, come credo di aver dimostrato sopra, tutto il diritto di ottenere l’interruzione dell’idratazione e della nutrizione. Ma dovremo arrivare a tanto? Le istituzioni, i cittadini, il Parlamento, noi tutti abbiamo il diritto di richiedere il sacrificio di questi eroi per il progresso della civiltà giuridica della nostra Italietta?

 

Ma il cardinal Trujillo, come anticipato, se ne esce anche con dichiarazioni sorprendentemente ed involontariamente esplosive. Ricordate? Al giornalista che gli domanda cosa direbbe all’uomo che chiede di poter morire con assistenza medica, il cardinale risponde, tra le altre cose, che “Sempre si può dare qualcosa finchè si è dotati di intelligenza e volontà”. Purtroppo, l’articolista non è stato pronto a trarre l’ovvia conclusione: allora, cardinale, lei concorda che la vita dell’uomo è finita quando non si ha più volontà – ovvero la capacità di esprimere se stesso in qualche modo -  come nel caso di chi giace in coma irreversibile? Purtroppo, la domanda non c’è stata ma il senso delle parole mi sembra più che mai evidente.

 

Il cardinale si diffonde, oltre che su questo tema toccato peraltro incidentalmente, sull’argomento “PACS”. E ne dice di cose. Tra le tante, ne sottolineo due. Il concetto che il PACS toglierebbe valore alla famiglia rendendola “relativa”. Questa idea è veramente bizzarra, e purtroppo anche i vari Fassino e D’Alema si affannano a rassicurare che “la famiglia non è in pericolo”. Ma insomma: i fatti dicono che le famiglie fondate sul matrimonio sono superate dalle convivenze e questo già dice molto, anche se ha ragione il cardinale nel dire che i fatti non generano automaticamente diritti. Ma i fatti in primo luogo generano l’obbligo per la politica di occuparsene. In secondo luogo, è proprio con i PACS che si rafforza la famiglia. E’ proprio il rendere la famiglia relativa alla convivenza che farà forte il matrimonio (con divorzio breve) rispetto alla convivenza. Pretendere di restare non relativi, cioè assoluti, sciolti da relazioni, è un segno di enorme debolezza. La seconda cosa che sottolineo è questa. Il cardinale, rispondendo alla domanda. “ Avete trattato delle coppie di fatto? (col Ministero della Famiglia della Bindy) risponde “ No, il primo incontro è stato sulla denatalità, poi parleremo dei bambini, delle politiche familiari e infine delle coppie (…)”. Ecco, in quest’ordine dei lavori c’è tutta la Chiesa e tutto il cardinale. Le coppie sono per ultime: primo di tutto viene il proliferare, per ultima cosa  la coppia, il fulcro di tutto (il famoso matrimonio tanto caro alla Chiesa ed al cardinale).  

 

Libera Chiesa in libero Stato, ci si augurava un tempo. Povera Chiesa in inetto Stato, questa è la realtà. Ridateci almeno il cardinal Bellarmino, un avversario vero con cui litigare.