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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Rigassificatori: Trieste attende la sua ora con l’orologio fermo

di Walter Mendizza

Il giorno 18 gennaio il Consiglio Comunale di Trieste boccia l’ipotesi di entrambi i rigassificatori. Nei giorni precedenti l’avevano fatto altri comuni minori. Si sa che i rigassificatori non sono popolari e quindi i politici difficilmente votano per qualcosa di impopolare anche se dovesse essere la cosa più utile per il Paese. Strano per il nostro Comune giacché il Sindaco Dipiazza aveva fatto capire in diverse occasioni che era favorevole, ma quel giorno, il «sì» condizionato passato all’unanimità in giunta per Gas Natural, si è trasformò in un secco «no». A quanto pare ciò fu dovuto al fatto che «le compensazioni economiche a beneficio del territorio non sono state  rispettate», e aggiunge Dipiazza: «Ero un sostenitore, ma non dobbiamo farci prendere in giro. Non sono comprabile, voto contro a questo progetto». Applauso da parte del pubblico, occhi increduli sui banchi dell’opposizione di centrosinistra; mentre i consiglieri della maggioranza strabuzzano gli occhi ma non battono ciglio per non contraddire il Sindaco. Un “no” dettato da improvvisa consapevolezza dei pericoli? No. Un “no” dovuto a qualche analisi arrivata all’ultimo momento in cui si elencano gravi rischi per la salute dei cittadini? No. Semplicemente un “no” dettato dal semplice mercanteggiare: l’amministrazione comunale chiedeva 4 milioni di royalty per venti anni, l’entrata nell’affare di Acegas Aps con una quota del 15 per cento e la possibilità di acquisto, sempre da parte della multiutility, del 20 per cento del gas a prezzo di costo. La proposta di Gas Natural aveva altri numeri. Un importo annuo di 2 milioni per la durata di sette anni, ma ridotto proporzionalmente al funzionamento del rigassificatore fino a un minimo di 300mila euro con pagamenti diversificati.

 

Adesso finalmente le istituzioni stanno cercando di far gioco di squadra. Era ora. Se ci fosse davvero una questione “sicurezza” non serviva contrattare e tirare sul prezzo perché sulla sicurezza, come nella pubblicità di una nota carta di credito, “non c’è prezzo”. Il problema evidentemente non è lì. Del resto dalle analisi di rischio prodotte, la questione sicurezza rientra ampiamente nei parametri normali di qualsiasi altra attività che va tenuta sotto controllo per i rischi connaturati all’attività stessa. Sì, rischi. Non dobbiamo aver paura di utilizzare questa parola così inflazionata nella bocca dei fondamentalisti dell’ambiente che la usano come sinonimo di catastrofe certa. I rischi ci sono come in tutte le attività umane. L’utilizzo a sproposito di tale parola è invece un fatto che dovrebbe far vergognare soprattutto ai professori universitari o presunti tali che si spacciano per analisti di rischi ma che di fatto, di rischio, non sanno assolutamente nulla.

 

Infatti, per rischio deve intendersi il danno aleatorio a cui un dato soggetto si trova esposto in seguito a possibili eventi. Semplificando al massimo, possiamo dire che la quantificazione del rischio è un prodotto combinato di due fattori, uno che tiene conto della probabilità di accadimento e l'altro del disastro dei suoi effetti ovvero della consistenza economica delle sue conseguenze.  Confondere quindi il rischio con i suoi possibili effetti è una sciocchezza che è stata proferita in quasi tutti gli articoli apparsi sui giornali ed in quasi tutti i consigli comunali che abbiamo presenziato. Ad esempio il rischio che cada un meteorite di 250 m. di diametro in mezzo alla piazza centrale di Trieste, Piazza Goldoni, è dato dal disastro economico che causerebbe (possiamo valutarlo in più di mille miliardi di euro, praticamente la distruzione dell’intera città) ma va moltiplicato per la probabilità che tale evento accada che è inferiore a 10 alla -31, cioè zero virgola seguito da trenta zeri… Per cui alla fine, paradossalmente anche se il danno è elevatissimo il premio che richiederebbe un assicuratore per assicurare tale evento sarebbe di pochi spiccioli.

 

Quindi, parlare di rischio per la città, nei termini in cui è stato fatto è soltanto un pretesto per gonzi. Un modo per nascondere una mentalità vecchia in una città vecchia. Già perché Trieste oltre ad essere la città più vecchia del mondo in termini demografici è anche una città “vecchia”; basta fare pochi chilometri, uscire e recarsi semplicemente a Lubjana o nei Paesi della nuova Europa per accorgersi di quanto siamo invecchiati. In questi Paesi noteremo una folla di bambini e di giovani "veri". Allora capiamo quanto siamo diventati vecchi, chiusi nel nostro mondo a dire “No se pol” e ad imprecare contro “le porcherie che vogliono fare a questa città” tanto per usare le parole di un altro grande vecchio, già benefattore di questa città: Primo Rovis. E la cosa peggiore è che siamo invecchiati senza rendercene conto e senza ammetterlo. Alcuni vecchi vanno in “dolce”, altri in “acido”. Noi siamo come il nostro piatto per eccellenza: i capuzzi. Siamo andati in acido e ce la prendiamo con tutti coloro che vogliono portare una ventata di novità o con coloro che vorrebbero salvare la città dalla sua decadenza, accusandoli di disastri che risiedono soltanto nella paura del cambiamento, dell'innovazione, nella paura di diventare adulti e prenderci la responsabilità della nostra crescita.

 

E non ci si può neppure difendere contro questa informazione vile e spregevole, contro questo condizionamento turpe e infame, perché oggigiorno la vera disinformazione non risiede più nella mancanza di informazione ma nel suo opposto: l’eccesso d’informazione. Un fiume ininterrotto di notizie e commenti che fa diventare una babele qualsiasi cosa e contro la quale le notizie circolanti sopravanzano ogni umana capacità di selezionare quelle utili da quelle meno utili a quelle dannose o senza senso. Così, andiamo avanti tra titoli di giornali sensazionalisti ed esperti che la sparano sempre più grossa senza che il nostro senso critico possa entrare in funzione. Sul nostro giornale Il Piccolo si legge che Wwf dichiara che gli impianti devono essere bocciati perché “il cloro annienterà la vita del mare”. La vita del mare? Ma come? Anche se si immettesse il cloro a norma di legge? Allora è la legge che forse è fatta male? Ma perché finora nessuno ci aveva pensato? Quindi quando noi cittadini normali mettiamo la varechina in lavatrice o nel WC per pulirlo, stiamo commettendo uno scempio ambientale? Dove vanno a finire gli ettolitri di varechina dei duecento mila abitanti di Trieste?

 

Ma non è solo questo l’unico disastro a cui ci si abbandona con l’immaginazione, infatti il presidente regionale del Wwf, Collavino, prosegue: “Bisogna tenere anche in considerazione il fattore sicurezza. I rigassificatori possono essere assimilati a bombe sempre innescate, in grado di esplodere se attaccate per esempio con un razzo o un semplice bazooka”. Non c’è che dire: un bel esempio di obiettività scientifica. E’ come dire che non si può costruire un grattacielo in quanto è assimilabile ad una bomba sempre innescata in quanto facendolo crollare se attaccato da un semplice bazooka, causerebbe un disastro inimmaginabile. Notate: da un “semplice” bazooka. Sì, perché noi tutti andiamo in giro con semplici bazooka come fossero coltellini svizzeri.

 

Adesso il clou del bestiario: il Sr. Collavino aggiunge, “c’è ancora un elemento che deve far riflettere e riguarda le navi gasiere. Quando su una di esse si verifica un guasto, di norma vengono affondate. Ma in un golfo nel quale i fondali non superano i 18 metri, questa possibilità di fatto non esiste”. Dunque apprendiamo che quando su una nave si verifica un guasto, di norma queste vengono affondate. Basta questa frase per screditare chiunque. Le navi di norma non vengono affondate ma quello a cui Collavino si riferisce è il mercantile “Napoli” recentemente affondato nei mari del nord: un coup de theatre geniale, un’associazione subliminale che fa rima con criminale. Sì, perché trattasi di una associazione di idee a dir poco delinquenziale. La “Napoli” era in avaria nella Manica a causa dell’uragano Kyrill e aveva a bordo 2.394 container, 158 dei quali riempiti con 1.700 tonnellate di sostanze tossiche. Approfittare della eco mediatica che ha avuto in questi giorni la faccenda, con tre container colmi di veleni persi in mare e una chiazza di petrolio larga 8 chilometri, servirsi della decisione di affondarla, e confrontare la cosa con i rigassificatori è una canagliata che meriterebbe come minimo una denuncia.

 

Questa è la natura degli interventi e del pensiero dei principali protagonisti che su questa faccenda scrivono sui giornali o dibattono in Consiglio. Roba da buttarsi per terra come tarantolate del Benevento per la quantità di idiozie proferite in breve tempo. Quando la menzogna si accorda con il carattere dei consiglieri, dei professori, degli esperti, escono fuori le bugie peggiori e assistiamo al perire dell’intelletto. La verità è che le spiegazioni mistiche fatte nel nome dell’ambiente passano per profonde e non sono nemmeno superficiali.

 

 

 

 

 

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