Notizie Radicali
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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Il caso del comparto unico in Friuli: prove pratiche di consociativismo con i sindacati nel “governo” della pubblica amministrazione

di Fausto Cadelli

Premessa. Su “Notizie Radicali” di mercoledì 24 gennaio, a firma Federico Punzi, è comparso un ottimo articolo sul rischio che la concertazione tra Governo (cioè partiti) e sindacati per la riforma della Pubblica Amministrazione sia un autentico attentato ai principi costituzionali di cui agli artt. 97 e 98. Considerazioni analoghe (con qualche variazione) le ho svolte in un articolo di martedì 23 gennaio, visibile sul sito www.radicalifvg.it.   

Quella di Punzi non è affatto un’ipotesi -  peraltro condivisibile - ma una realtà, almeno in Friuli Venezia Giulia. La vicenda della stipula del contratto di lavoro del comparto unico dei dipendenti degli enti locali e della regione, svoltasi in questi mesi, è la dimostrazione pratica.

 

Il comparto unico. Con legge regionale 13/1998, il Friuli Venezia Giulia ha istituito il comparto unico per uniformare il trattamento di circa 15000 dipendenti di Regione ed Enti Locali. Il comparto unico - si dice - consentirebbe di realizzare il decentramento di competenze amministrative dalla Regione agli Enti Locali, con il trasferimento di mezzi e di personale, oltre a permettere a tutti gli enti di attingere da graduatorie di concorso unificate.

Per essere “unico” il comparto comporta l’unione di due parti disomogenee: il contratto dei regionali è infatti migliore di quello degli enti locali. Peraltro, i dipendenti regionali sono circa un quarto rispetto agli altri: unire, è intuitivo, significa alzare gli stipendi negli enti locali, con un grande dispendio di risorse per la collettività. I dipendenti regionali, dal canto loro, oltre ad essere delusi per la revisione sfavorevole di alcuni istituti contrattuali temono la “mobilità”, temono di essere trasferiti, giacchè il decentramento delle funzioni amministrative, per definizione, avviene dalla Regione (o dallo Stato) agli Enti Locali.

 

La sussidiarietà ed il parallelismo. Bisogna tenere conto, in proposito, che il Friuli è una regione a statuto speciale. Come più volte precisato dalla Corte Costituzionale, la riforma del Titolo V del 2001, in specie il principio di sussidiarietà che sposta in via generale la responsabilità dell’esercizio delle competenze amministrative in capo a Comuni e Province, si applica solo  per le competenze legislative primarie nuove, acquisite in forza del principio della residualità. Per le altre, praticamente tutte, rimane in vigore la regola del parallelismo: “ La Regione esercita le funzioni amministrative nelle materie in cui ha potestà  legislativa (…) salvo quelle attribuite agli enti locali dalle leggi della Repubblicarecita l’art. 8 dello Statuto del Friuli Venezia Giulia.

Certo, bisogna anche ricordare che lo stesso Statuto, all’art. 11, comma 1, prevede che:” La regione esercita normalmente le sue funzioni amministrative delegandole alle Province ed ai Comuni, ai loro consorzi ed agli altri enti locali, o avvalendosi dei loro uffici”.

La sussidarietà, pertanto, è un forte sviluppo del decentramento, perché “trasferire” le competenze è diverso da delegarle.      

Anzi: con la sussidiarietà si può dire che le competenze amministrative siano già in via generale dei Comuni: la Regione (o lo Stato) possono trattenere presso di sé quelle competenze che, per adeguatezza e differenziazione, non possono essere gestite efficacemente dall’ente più vicino ai cittadini (il Comune). In tutti i casi, perché gli Enti Locali possano veramente gestire devono anche ricevere i mezzi adeguati.

In questo contesto statutario, tuttavia, non c’era tanta urgenza di avere il comparto unico, se prima non si capisce se si può trasferire o delegare e cosa si può trasferire o delegare.

La forzatura verso la sussidiarietà: parole, parole, parole. Per la giunta Illy, il comparto unico è un punto di forza del programma. A parole, c’è l’intenzione di trasferire competenze agli Enti Locali. Viene emanata così emanata, il 9 gennaio 2006, la legge regionale 1/2006, che vorrebbe ridisegnare la struttura dei rapporti tra regione ed enti local. Ne riporto, completo della rubrica tra parentesi, l’art. 1:”  (Unita’ e policentrismo regionale). Con la presente legge la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, unita e policentrica, detta i principi e le norme fondamentali del sistema Regione - autonomie locali” ed anche l’art. 5, comma 1:” Nella regione Friuli Venezia Giulia, le funzioni amministrative sono conferite a Comuni e Province secondo i principi di sussidiarieta’, differenziazione e adeguatezza, al fine di favorirne l'assolvimento da parte dell'ente territorialmente e funzionalmente piu’ vicino ai cittadini interessati”.

L’art. 5, comma 1 è conforme all’art. 8 dello Statuto che abbiamo visto sopra? Lascio ai tecnici la risposta. Certo che, se la legge fosse conforme, non si capisce perché la regione Friuli Venezia Giulia abbia assunto l’iniziativa d’inviare alla Camera il disegno di legge costituzionale di revisione dello Statuto della Regione che esplicitamente richiama la sussidiarietà. Ma non ci si può non soffermare su un altro aspetto: lo scadimento linguistico, concettuale e giuridico. Sappiamo bene che la rubrica di un articolo non è legge: tuttavia essa indica l’intenzione dell’articolo. La rubrica dell’art. 1, sopra citato, recita: “Unità e policentrismo regionale”. Ma cosa vuol dire una frase del genere? E’ illogica: un’unità, proprio perché è tale, ha un solo centro, viceversa è un assemblaggio di parti, ciascuna dotata del suo centro.  E che il concetto non sia chiaro lo si vede subito dopo nel testo:” (..) la Regione (…), unita e policentrica (…)”. Unita non è affatto l’aggettivo di unità, ma di unione. Forse qualcuno pensa che l’Unione (quella che ci governa) sia un’unità? L’aggettivo che predica l’unità, infatti, è uno/una. Così infatti l’art. 1 dello Statuto del Friuli Venezia Giulia (una legge costituzionale di cinquant’anni fa, quando fare diritto era ancora una cosa seria: “ Il Friuli Venezia Giulia, è costituito in Regione autonoma (…), entro l’unità della Repubblica italiana, una e indivisibile, sulla base dei principi della Costituzione, secondo il presente Statuto”. L’unità della Repubblica, una ed indivisibile, altro che unità unita e policentrismo ed amenità varie…. Ma non è finita. Che cos’è la legge, se non la regolazione di diritti e doveri tra soggetti? Ora, questa legge regionale pretende di dettare i principi e le norme fondamentali del “sistema Regione – autonomie locali”.       Ma il “sistema regione – autonomie locali” non è un soggetto di diritto: al massimo è un fine! Tutt’altra cosa, sarebbe stato dire che “… la presente legge, nel definire i rapporti reciproci tra regione ed autonomie locali, ha lo scopo di favorire lo sviluppo di un sistema efficiente di relazioni tra tali enti, posti al servizio di una crescita sana ed armoniosa di tutte le componenti della regione e bla bla bla….”      Parole, parole, parole, insomma, e per di più pretenziose. Ma fatti non se ne vedono: nessuna competenza viene, neppure nominalmente, trasferita. 

Il contratto. Insomma, la giunta regionale ha ansia di arrivare al comparto unico. La bozza del contratto è molto deludente per i regionali. Cosa fanno i sindacati? Indicono uno sciopero, il primo dopo vent’anni, dicendo peste e corna della preintesa proposta. Si annunciano assemblee, assicurando che nessun contratto verrà mai firmato qualora le assemblee di tutto il personale respingano il contratto. Il giorno dopo lo sciopero, i sindacati firmano la preintesa su cui hanno indetto lo sciopero. Si fanno le annunciate assemblee, il personale respinge la preintesa: la Triplice firma, dopo aver consultato in altre assemblee i propri iscritti.

Di che contratto si tratta? La risposta arriva dalla Corte dei Conti, sezione Friuli Venezia Giulia, che lo boccia sonoramente, con due motivazioni sostanziali, molto lucide:

a) il contratto comporta un incremento di costo dell’8,7% (contro il massimo del 5,1% stabilito dal patto di stabilità interna). Tale incremento di costo, già di per sé sufficiente per la bocciatura, era, a giudizio della Corte dei Conti, ancora meno giustificabile  dal momento che:

b) del tanto decantato decentramento non c’è assolutamente nulla, se non la già analizzata l.r. FVG 1/2006, priva di valore normativo. Per la Corte dei Conti, in definitiva, non c’è nessun vantaggio per i cittadini a fronte invece del sicuro svantaggio dello sperpero di risorse spese per i dipendenti pubblici, distribuite a pioggia senza che le competenze svolte siano state modificate. (a meno che non si riesca a dimostrare che un personale così soddisfatto da tanta grazia lavori in modo così efficiente da ristorare i cittadini …)

In un paese normale, dopo una sentenza così singolarmente chiara, ce ne sarebbe abbastanza per aprire un dibattito serio, sulla politica, sulla pubblica amministrazione, sulla devolution. Invece, non accade nulla: i dipendenti degli enti locali tacciono, comprensibilmente, quelli regionali protestano, per alcuni istituti peggiorati dal contratto.

Ed i Sindacati? Dell’allineamento supino della Triplice sulla linea della Giunta regionale si è già detto: hanno “venduto” gli iscritti (ed i lavoratori) regionali in cambio del consenso dei molto più numerosi dipendenti (ed iscritti) degli enti locali. Due sigle sindacali dei regionali (con scarsa o nulla rappresentatività negli enti locali) si oppongono al contratto, ma con ragioni assolutamente di basso profilo: assicurare l’ingresso dei dipendenti regionali nel comparto unico salvaguardando i diritti violati. Non una mezza parola di approfondimento su quanto la Corte dei Conti ha detto: nulla.

 

Come fregare la Corte dei Conti? Questa bocciatura è un bel problema, per la giunta regionale ed i sindacati. Come fare per aggirare questi insolenti magistrati della Corte dei Conti? La soluzione è presto trovata. Si approva la cosiddetta “leggina salva comparto” (la l.r. FVG 23/2006) con la quale – violando quindi la competenza della contrattazione collettiva in materia – la Regione si è fatta carico della parte di costo del contratto eccedente il vincolo di stabilità interno. Di fronte ad una legge, la Corte dei Conti non ha potuto far altro che certificare. Una “leggina” – lo vedremo subito – a scadenza, sotto condizione della mano libera lasciata ai sindacati ed alla giunta….

 

Ed i sindacati? Zitti. Barricate contro l’invasione di campo di una legge in materia riservata alla contrattazione collettiva? Nemmeno una. Anche le due sigle “dissidenti” hanno firmato, per non essere escluse dalla contrattazione di “secondo livello” (quella che coinvolge soltanto i lavoratori dell’ente).

 

Merita leggere alcuni articoli di questa “leggina”: “L'attuazione del comparto unico del pubblico impiego regionale e locale (…)rappresenta, nell'ottica della razionalizzazione degli apparati amministrativi e dell'accrescimento dell'efficacia ed efficienza dei medesimi (…)uno strumento fondamentale per il conferimento di funzioni e compiti amministrativi agli enti locali in quanto presupposto necessario per l'attivazione dei correlati processi di mobilita' del personale e di governo delle dinamiche retributive delle amministrazioni del comparto medesimo. (art. 5 comma 1” . Di nuovo, parole, parole, parole, quasi che fare una legge significhi prendere un comizio, spezzettarlo, e numerare le parti così ottenute in articoli e commi…

“Il tabellare di convergenza conclude il processo di equiparazione previsto all'articolo 1 della legge regionale 2/2001, determinando i livelli retributivi su cui operare i futuri aumenti nell'ambito della contrattazione collettiva. (art. 5 comma 10)”;   ” Le somme di cui ai commi 12 e 13 possono essere utilizzate soltanto ad avvenuta stipulazione del rinnovo contrattuale riferito al quadriennio giuridico 2002-2005, biennio economico 2004-2005, area non dirigenti. (art. 5 comma 11).

Tali somme, appunto, sono gli aumenti contrattuali caricati con la legge sul bilancio regionale.

E’ da notare, con tanta tristezza, come le disposizioni di una legge, che dovrebbe valere erga omnes, o al massimo rimandare ad una fonte di secondo grado per l’attuazione, siano state sub-ordinate alla firma di un contratto, su cui si era già formato l’inciucio tra giunta e sindacati. E per finire:” All'onere complessivo di 3.114.784,30 euro suddiviso in ragione di 1.557.392,15 euro per ciascuno degli anni 2007 e 2008 derivante dall'autorizzazione di spesa di cui al comma 13, si provvede mediante prelevamento di pari importo a carico dell'unita' previsionale di base 51.1.280.1.662 dello stato di previsione della spesa del bilancio pluriennale per gli anni 2006-2008 con riferimento al capitolo 9642 del documento tecnico allegato ai bilanci medesimi, intendendosi corrispondentemente ridotte le relative autorizzazioni di spesa. (art. 5 comma 14)” .  

    

Amici e sodali per evitare la Consulta. I dubbi di costituzionalità sono enormi. In questi giorni, scadeva il termine per l’impugnativa da parte del Governo della “leggina”. Una delegazione regionale si precipita a Roma, in una super missione di due giorni, in una full immersion tra amici e sodali, e riesce ad ottenere dal Governo (dello stesso colore politico) che la leggina non sia impugnata.

Le motivazioni addotte della Regione sono sostanzialmente queste: primo, la regione ce la fa da sola a rispettare il patto di stabilità interno, con risparmi da altri capitoli di spesa (vedi il comma relativo, valido per il 2007 ed il 200); secondo, la legge è assolutamente eccezionale e non si ripeterà più; terzo, il decentramento s’ha da fare e si farà.

 

 

 

 

 

Osservazioni. Sul punto primo: che cosa vuol dire, concretamente, che la regione compenserà con risparmi su altri capitoli di spesa? A parte il fatto che le regole del patto di stabilità, se ci sono, dovrebbero valere per tutti, quali sono in dettaglio i risparmi che compensano il “maggior costo” del contratto?

O i risparmi sono “virtuosi”, cioè incrementi di efficienza: ed in questo caso non si riesce proprio a comprendere perché risparmiare per poi non metterne a disposizione dei cittadini il frutto, ma sperperarlo con un incremento di costo che si ammette implicitamente essere eccessivo (già da qui si vede il regalo fatto ai sindacati ed ai politici stessi, che hanno ben foraggiato un bacino d’utenza elettorale pro futuro).

Oppure, il risparmio non è un incremento d’efficienza, ma un taglio di spesa pubblica a danno dei cittadini: è possibile sapere che cosa è stato tagliato ai cittadini?

Sul punto secondo: “la legge è eccezionale: giurin giurello, non lo faremo mai più”. 

La leggina salva comparto (a parte l’invasione di campo dei sindacati, il minore dei problemi, giacchè i sindacati hanno solo fatto finta di protestare dal momento che avevano già raggiunto lo scopo) si configura come una specie di “decreto legge al contrario”. Di solito, nel decreto legge, le Camere si riuniscono subito per riconoscere o meno le ragioni di necessità ed urgenza del decreto e convertire eventualmente il decreto. L’eccezionalità, nella sua temporaneità, del decreto si converte nella quieta durevolezza della legge.

In Friuli Venezia Giulia, invece, il Consiglio regionale fa il contrario. Emana un legge, dichiarata urgente, e sospende se stessa, affidando la sua efficacia alle mani dell’esecutivo, intrecciate con quelle dei sindacati.

Sul punto terzo, il trasferimento delle competenze amministrative.

Staremo a vedere, ma le premesse non sono affatto buone. Ma piuttosto che distribuire a pioggia denaro che, una volta dato non potrà più essere tolto, non era più logico accantonare risorse proprio per facilitare una tantum il trasferimento di mezzi e personale, nel caso si riesca a realizzare i qualche caso il famoso decentramento?

 

Forse era logico, ma allora non saremmo in Italia.