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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
La crisi della scuola

di Fausto Cadelli

Non c’è un inizio univoco della crisi della scuola; soggettivamente, ciascuno di noi è

portato a farlo coincidere col giorno successivo a quello di conclusione del proprio

esame di maturità. Capita poi di non occuparsi più di scuola per anni, finchè, se si hanno figli, ci si ritrova immersi tra verifiche e piani dell’offerta formativa.

 

La situazione della scuola varia, ovviamente, in base alla regione, città, quartiere. E’

arduo, forse anche per il ministro, tracciare un quadro complessivo. Certo la

situazione è grave se accade di assistere a siparietti come quello di qualche sera fa ad “Otto e mezzo”, protagonisti la co-conduttrice ed un noto editorialista.

 

Il quale ha avuto l’ardire di sostenere che una buona parte dei problemi nasce

dall’eccesso di insegnanti femmine, per natura meno “forti” dei maschi nel tenere la

disciplina. Inutile dire che questa affermazione, invero sconcertante, abbia suscitato

una vibrata difesa delle professoresse, notoriamente più arcigne dei colleghi.

 

Tutto questo senza rendersi conto che se ci si riduce a discutere su chi, tra maschi o femmine, abbia la forza personale per imporsi in classe, allora questo significa senza dubbio ammettere che il ruolo dell’insegnante non è più rispettato in quanto tale.

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Qualche giorno fa, durante una passeggiata, ho captato un brano di una

conversazione tra mamme. Una diceva: “Io sono tollerante finchè non toccano mio

figlio”. Ecco, questo è il punto da cui muovere. Dicevo sopra che i genitori si trovano

immersi nella scuola, in una sorta di totalizzazione con i propri figli.

 

Manca la distinzione, di ruoli (insegnante, allievo, genitore) ma, prima ancora,

d’individui. Forse in buona fede, per egoismo o per senso di colpa, fatto sta che il

genitore non stacca il figlio da sé, lo considera una propaggine, un oggetto.

Il tema di fondo è sempre quello: se non si riconosce il valore dell’individuo, è

impossibile amarlo o criticarlo.

 

Il risultato di questa totalizzazione è l’intolleranza a qualsiasi critica seria degli

insegnanti (o altre figure equipollenti) agli studenti/figli, con grave danno per i

ragazzi. E’ questo un fenomeno generale della società, non specifico della scuola.

Occorre sostenere con forza gli insegnanti, soprattutto da parte dei genitori che non

considerano i propri figli come un feticcio.

 

Le verifiche ed i piani dell’offerta formativa sono simboli della scuola di oggi, questa

volta intrinseci a differenza del tema precedente. Una differenza eclatante con il passato è infatti il profluvio di verifiche sostenute dagli studenti, con tanto di notifica sul libretto personale.

 

Questa messe di prove forse favorisce un giudizio più equilibrato degli studenti.

Tuttavia, l’obbligo di firma e presa visione denota la totale mancanza di fiducia verso i ragazzi. Personalmente, non mi sarei neppure sognato di non riferire i voti presi.

Anche perché, a fine anno, tutto era pubblico. L’esposizione dei quadri finali, con le

insufficienze in rosso e le promozioni in nero, costituisce un momento ben scolpito

nella memoria di ciascuno di noi.

 

Era un momento in cui si celebrava il merito. In orizzontale, quello dello studente; in verticale, quello dell’insegnante. Perché se la colonna “matematica” o “italiano” o “fisica” riportava una corposa maggioranza di segni rossi, questo era l’indizio di un’incapacità dell’insegnante, più che della zucconeria della classe.

 

Oggi, invece, il momento del merito Рche ̬ sempre pubblico - ̬ abolito, sostituito da

una fitta trama di comunicazioni private, di crediti e di debiti. La sensazione è che, alla fine, niente di ciò che si è fatto durante l’anno conta veramente, ma tutto s’accomoda, tutto si recupera.

 

Nel piano dell’offerta formativa (pof) c’è, appunto, la scappatoia per tutto. Il pof è il

simbolo della crisi della scuola: se ne sconsiglia vivamente la lettura, a meno di non

avere l’interesse a specializzarsi in contorsionismo verbale burocratico.

 

Il pof avrebbe un senso se, in una società fondata sul merito, la scuola pubblicizzasse il successo avuto dai propri studenti nei corsi di studio successivi (ad esempio con un’analisi statistica delle lauree conseguite per le scuole superiori, o del voto di maturità per le medie).

 

Ma se la scuola, col piano dell’offerta formativa, si pone nella condizione di offrire, è

implicito che lo studente si metterà nella posizione di scegliere. Offerta e domanda,

appunto. Ma la scuola è un mercato, dove si prende e si lascia a piacimento?

Senza dubbio dipende dallo studente scegliere di fare tesoro duraturo delle eternità

degli insegnamenti.

 

Ma costringere dei professionisti (e gli insegnanti sono questo) a spiegare il cosa ed il come del loro mestiere è veramente una cosa fuori del mondo.

Pretendiamo forse questo da un avvocato, da un architetto, da un medico?

Senz’altro no: ci attendiamo da essi un patrocinio, un progetto, una terapia, dando

per scontato che ciascuno si darà preventivamente da fare con codici, calcoli,

anamnesi.

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Alla fine di tutti i dib(b)attiti sulla scuola, quando non si sa più a che parte girarsi,

viene invocato, salutare ed immancabile, il rito della lettura pubblica dei classici,

l’immersione nella vasca battesimale che miracolosamente dovrebbe restituire la

purezza perduta.

 

Ma se il merito non esiste più, e la passione degli insegnanti è soffocata dalle circolari, ha senso la lettura di Dante o Leopardi?