Notizie Radicali
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  martedì 18 marzo 2014
 Direttore: Gualtiero Vecellio
L’ultima canna

di Fausto Cadelli

Pene e sanzioni amministrative si fondano, tassativamente, sul principio di legalità. “Reato previsto e punito”, questa è l’efficace espressione che definisce tale principio. I comportamenti illeciti sono una minaccia per la collettività, percepita da tutti in quanto tale. Chiunque comprende che comprare i “Girasoli”, in una viuzza oscura, puzza di furto.

 

Drogarsi è, in sé, una minaccia per la collettività? Secondo me, no perché il consumo è rivolto esclusivamente a sé e non coinvolge gli altri. Per sé, è un’altra cosa: gli atti potenzialmente realizzabili sotto effetto di droga possono essere molto gravi. Non sarebbe pertanto illogica la previsione di trattenere in una stazione di polizia chi è “fatto” fino a che non si è ripreso.

 

L’annullamento da parte del TAR del Lazio del decreto Turco/Mastella sulle quantità massime consentite, costituisce una buona occasione per ritornare su uno dei più brillanti esercizi di legislazione dell’assurdo del nostro Parlamento, il dpr 309/1990 (e successive modifiche) in materia di stupefacenti, in particolare gli articoli dedicati alla repressione delle attività illecite.

 

L’articolo 72 dovrebbe, stando alla rubrica, definire le attività illecite. Sarebbe logico attendersi, pertanto, una definizione di che cosa sia vietato. Invece, no: in esso si dice che è consentito l’uso terapeutico di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope, debitamente prescritti secondo le necessità di cura (…)!

 

Consentito? Se un altro comma affermasse che “qualsiasi altro utilizzo è vietato, ai sensi degli articoli seguenti…”, non ci sarebbe nulla da obiettare sul piano logico. Saremmo alla follia, ma lucida. Ma con questa formulazione, in nessuna maniera si può affermare che gli altri utilizzi (non nominati) sono vietati: nel silenzio, sono liberi. 

 

Questa parte della legge nasce insomma viziata dall’ipocrisia e dalla codardia. Non si comprende proprio come possano essere considerati illeciti gli atti naturalmente preordinati e preliminari a compiere un’attività libera. Come dire: puoi mangiare, ma non puoi comprare il cibo. Se drogarsi è lecito come può essere illecito l’acquisto della dose?

 

Questa legge, infatti, non può spingersi fino alle estreme conseguenze di equiparare il consumo e lo spaccio (se lo facesse non sarebbe più una legislazione dell’assurdo!) ma è costretta a tentare di distinguerli. Siamo così all’articolo 75, relativo alle condotte integranti illeciti amministrativi“Chiunque illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti (…) fuori dalle ipotesi di cui all’articolo 73 comma 1 bis, (…)” è sottoposto alle sanzioni amministrative ben note.

 

Nell’intenzione del legislatore le condotte previste e punite dall’articolo 73 comma 1 bis sono le medesime dell’articolo 75: la differenza starebbe nelle quantità di principio attivo detenuto che dovrebbe separare i meri consumatori dagli spacciatori. Invece l’articolo 73, comma 1 bis, afferma che “è punito (con le pene previste per lo spaccio) chiunque (…)importa, esporta, acquista riceve, a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene sostanze stupefacenti, in particolare oltre i limiti massimi stabiliti col decreto del ministro della salute, (…)”.

   

Sennonché, se non prendo un abbaglio, la diversa posizione nei due articoli dell’avverbio “illecitamente”, può essere paradossalmente decisiva. Nell’articolo 75 (quello che punisce “il consumatore”) è punito “chiunque comunque detiene”, nell’articolo 73 (quello che punisce lo “spacciatore”) è punito “chiunque comunque illecitamente detiene”. E la differenza non mi sembra poca.

 

Supponiamo che, passeggiando per la stessa viuzza in cui si è appena acquistato “I Girasoli”, m’imbatta in un pacchetto di canne abbandonato a terra, perso da un pusher distratto e che le raccolga. Tecnicamente, sto detenendo, ne ho cioè la disponibilità, una sostanza proibita. La mia detenzione è lecita, perché tale sostanza non l’ho né acquistata, né importata, né ricevuta a qualsiasi titolo da nessuno ma l’ho, semplicemente, rinvenuta.

 

Bene, il paradosso della legge è tale che se il quantitativo detenuto è superiore ai limiti del decreto (art. 73 comma 1-bis) potrei andare tranquillamente a casa perché la mia detenzione non è illecita (magari potrei diventare un “collezionista di canne”,- oltre che di van Gogh - ed aprire un museo); se invece il quantitativo è inferiore, rientro nella disposizione dell’articolo 75, e sono punibile perché “comunque (cioè in ogni modo) detengo”, anche se, da bravo cittadino, avessi l’intenzione di recarmi prontamente alla più vicina stazione dei carabinieri per consegnare la droga.  

 

Insomma, questa legge è veramente un pasticcio logico che non si può rabberciare con nessun decreto ministeriale, cassato o meno che sia dal TAR. C’è ancora un punto che mi preme.

L’utilizzo implica il possesso, ed il possesso implica la detenzione, lecita o illecita. Ma il viceversa non vale. La detenzione, che è l’avere la cosa nella propria disponibilità, non implica affatto l’utilizzo che, al massimo, è presumibile. Come si giustifica allora il comma 14 dell’articolo 75, se non col teatro dell’assurdo? Esso prevede che: “ Se per i fatti previsti dal comma 1 (la detenzione delle sostanze da parte del “consumatore”), nel caso di particolare tenuità della violazione, ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà, per il futuro, dal commetterli nuovamente, in luogo della sanzione, e limitatamente alla prima volta, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso delle sostanze stesse, avvertendo il soggetto delle conseguenze a suo danno”.

 

Ora, i fatti da non commettere nuovamente sono l’acquisto, l’importazione, la detenzione della sostanza. Non c’entra assolutamente nulla il non fare più uso delle sostanze! L’uso, poi, non è vietato da nessuna parte: come può il prefetto vietare una condotta libera? Inoltre, il comma dice: “in luogo della sanzione”. Altra cosa sarebbe dire “in luogo delle sanzioni di cui al comma 1”: l’ammonimento del prefetto sarebbe, pertanto, comunque una sanzione, seppure attenuata. Ma in luogo della sanzione equivale ad “al posto della sanzione”: significa cioè dire che la condotta, per la sua particolare tenuità, non costituisce illecito e, pertanto, non può essere sanzionata. Con quale criterio si definisce la tenuità? Nulla la legge dice: al prefetto è lasciata “discrezionalità”. E’ ammissibile che un prefetto possa sostituirsi alla legge nello stabilire i criteri per definire che cosa sia lecito o illecito? Ed a parte questo, se il comportamento è sempre il medesimo, particolarmente tenue, come può essere considerato non illecito la prima volta (in luogo della sanzione) ed illecito la seconda? Dire, poi, che tale beneficio è limitato alla prima volta, equivale ad affermare che dovrà essere tenuta una banca dati di tali provvedimenti, per il riscontro della “seconda volta”. Ammesso che sia lecito tenere una banca dati di comportamenti non illeciti, per quanto tempo dovrà essere tenuta tale banca dati? La prima volta (oltre che non scordarsi mai) è anche imprescrittibile? Il garante per la privacy ha da dire qualcosa al riguardo? Infine, quando ricorrono elementi tali da far presumere che la persona si asterrà dal commetterli nuovamente? Potrebbe in proposito darsi il caso che ad essere sottoposto a procedimento innanzi al prefetto sia un soggetto cha avesse deciso di detenere l’ultima canna non accesa in tasca, come memento per smettere di fumare, un po’ come lo Zeno di Svevo. Perché sequestrargli l’ultima canna? 

 

Dato che ho molti dubbi che l’Unione riesca a cambiare questa legge, propongo almeno l’introduzione del seguente comma 14-bis dell’articolo 75, dedicato all’ultima canna:” Qualora la persona dichiari fermamente che non commetterà più gli atti di cui al comma 1, la sostanza stupefacente sequestrata è restituita al soggetto che la richiede per ragioni affettive e morali, dopo l’inserimento nella medesima di un microchip contenente i dati essenziali della sostanza stessa, in particolare quantità, principio attivo, data e numero del verbale di sequestro.” Si scherza, perché nulla di buono fa presagire il nostro legislatore, di destra o di sinistra.

Non c’è speranza perché il legislatore non ama il diritto. Non ama il dritto perché non ama il linguaggio. Non ama il linguaggio perché non ama il senso delle parole. Non ama il senso delle parole perché occorre pensare per collegare il senso delle parole ai fatti. Non ama pensare perché pensare costa fatica. Ed il legislatore non vuole faticare. E ci lamentiamo poi della scuola?