Dello Stato - sotto il profilo funzionale e non soggettivo - si può dire che sia un ente che spende. Lo Stato dovrebbe spendere quello che prende, e non è così banale precisarlo. Per ragioni che è inutile iterare, lo stato italiano ha speso per troppo tempo più di quanto incassava, contraendo un enorme debito. Questo debito è detenuto per almeno la metà (o giù di lì) dai cittadini italiani. E’una follia finanziaria il debito con se stessi, perché lo stato – come ente di governo – dovrebbe ricorrere solo “temporaneamente” al prestito dei cittadini per finanziare gli investimenti, piuttosto che imporre imposte di scopo (a meno di dare spazio ai privati dettando ad essi regole severe di comportamento, cosa in Italia non praticata e forse non possibile).
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E’ assolutamente necessario ridurre il debito (come ci ricordano in questi giorni CE e FMI). Se non si riduce oggi, tra venti o trent’anni, gl’italiani dovranno liquidare i propri risparmi per far fronte alla drammatica riduzione del potere d’acquisto delle pensioni calcolate col sistema contributivo. I titoli del debito pubblico italiano passeranno in mani estere e, coeteribus paribus, l’appetibilità dei titoli italiani sarà sotto pressione, con durissime conseguenze sui corsi, gli spread, lo stesso reperimento dei fondi.
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Sulla riduzione del debito, ci dovrebbe essere la concordanza di tutti i politici seri. La divergenza può sorgere su quali spese tagliare. Ma prima di tagliare, occorre sapere cosa si ha in tasca: occorre una buona volta decidere a fare chiarezza sul fronte delle entrate fiscali.
L’on. Capezzone, prima del 4 luglio, caldeggiava e sosteneva una proposta seria, rivoluzionaria, credibile: il contrasto d’interessi tra i contribuenti. La deduzione generalizzata delle spese sostenute, accompagnata all’abolizione del sostituto d’imposta, obbligherebbe a chiedere sempre la ricevuta. L’effetto sarebbe quello dell’emersione d’imponibile: sul
piano delle entrate fiscali, si recupererebbe l’Iva (20%) perché a livello d’imposte dirette l’incrociarsi delle deduzioni si compenserebbe sulle varie aliquote. Peraltro, l’emersione dell’imponibile sarebbe quieta, spontanea, mite: senza accertamenti, contenziosi, commissioni tributarie…
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Avendo ascoltato l’on. Capezzone di persona in un paio d’interventi pubblici, già avevo inteso suoi riferimenti alle bassa pressione fiscale ed alle tasse flat dell’Estonia, della Polonia, dell’Austria… Ma non avrei immaginato il primo dei suoi tredici punti, la tassa flat al 20%.
A parte la progressività prevista dall’art. 53 comma 2 della Costituzione (dubito che bastino le deduzioni e la rimodulazione della no tax area, che peraltro sono anche adesso variabili in funzione del reddito, per superare il limite costituzionale), osservo questo:
a) è evidentissimo il regalo promesso alle fasce medio-alte di reddito rispetto a quelle medio-basse, non solo dal punto di vista monetario, ma anche perché si allontana il rischio dell’emersione del nero col meccanismo del contrasto d’interessi;
b) è illusorio “l’assai verosimile effetto di recupero del gettito” adombrato da Capezzone: in Italia, in cui non esiste l’etica anglosassone del successo e della ricchezza, s’incasserebbe solo la riduzione d’aliquota;
c) è incredibile, semplicemente incredibile, che non si comprenda la necessità di ridurre il debito, partendo dalla messa in chiaro delle entrate disponibili senza il ricorso ad accertamenti e grida manzoniane. Ci si premura di dire che il costo della riduzione sarà coperto da una riduzione delle spese: e ci mancherebbe pure il contrario, che si facessero nuove falle sull’avanzo primario!
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Insomma, il 14° punto del programma di Capezzone è smentirsi, distaccarsi da sé (i giorni per aprire un’impresa non sono più sette, ma uno solo: possibile che si contino solo i giorni della pubblica amministrazione? E quelli dal notaio, dal commercialista, in banca, quelli per scegliere l’immobile, redigere il business plan, fare una seria indagine di mercato, quelli per formarsi ed informarsi? Quanti mesi occorrono per decidersi a provare ad essere imprenditori senza fallire in partenza, quanto tempo trascorre prima di aprire la Partita Iva? Il problema è veramente la pubblica amministrazione?). Poi c’è il non detto, la cesura dalle questioni etiche, il ripulirsi dalle ortiche (e dalle rose spinose) per rendersi graditi, come ha notato esplicitamente Bandinelli.
Non credo che Capezzone abbia dimenticato del tutto se stesso, anche se tace su troppe cose.
Almeno lo spero, e glielo auguro.