Proposta di legge di iniziativa popolare:
"Provvedimenti urgenti per il riordino del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare, l'innalzamento dell'età minima
per la pensione e il miglioramento delle pensioni minime"
I sottoscritti cittadini italiani presentano - ai sensi dell'art.
71, comma secondo della Costituzione ed in applicazione della
legge 25 maggio 1970, n. 352 e successive modificazioni - la seguente
proposta di legge:
RELAZIONE
Onorevoli Parlamentari,
L'Italia, in modo più marcato rispetto agli altri paesi
industrializzati, si trova a dover far fronte ai problemi che
derivano dall'invecchiamento della popolazione (frutto della flessione
della natalità e dell'allungamento della vita media, passata
tra il 1960 e il 1997 da circa 67 a 75 anni per gli uomini e da
73 a 81 anni per le donne e destinata ad accrescersi ulteriormente
di circa 5 anni nei prossimi 50 anni). Questa situazione rende
urgente riformare il sistema previdenziale pubblico al fine di
assicurarne la sostenibilità finanziaria e di ripartirne
il costo in modo equo tra le generazioni. La nostra idea di fondo
è che si debba avviare il passaggio ad un sistema previdenziale
a capitalizzazione, l'unico in grado di assicurare l'equità
tra le generazioni e di mettere l'ingente risparmio previdenziale
al servizio dello sviluppo economico, ma nell'immediato vi sono
alcuni nodi cruciali da risolvere per evitare il collasso dell'attuale
sistema.
Il peso della spesa pubblica per pensioni in rapporto al PIL,
attualmente pari al 14,2%, è destinato, a sistema invariato,
a raggiungere nel 2030 il valore del 15,9%, stabilizzandosi poi
nel decennio successivo su tale livello. L'entità della
spesa per il finanziamento dei sistemi pensionistici pubblici
è tale da assorbire i due terzi della spesa sociale, lasciando
così, contrariamente a quanto accade in quasi tutti gli
altri paesi europei, ben poche risorse per interventi sulla famiglia,
sulla disoccupazione, sulla formazione, sulla casa e così
via.
Il sistema pensionistico italiano genera ogni anno un disavanzo
di circa 100.000 miliardi di lire (ogni anno si pagano circa 300.000
miliardi di pensioni a fronte di circa 200.000 miliardi di contributi
sociali).
Questo accade nonostante i lavoratori italiani siano gravati da
un elevatissimo tasso di contribuzione del 32.7% (calcolato al
netto dei contributi destinati al TFR, pari ad un ulteriore 7.7%;
la media UE è del 17,9%), che è, inoltre, ben al
di sotto di quella che sarebbe l'aliquota contributiva di equilibrio,
che è pari, secondo dati della Ragioneria Generale dello
Stato, al 45% e che è destinata a raggiungere tra il 2025
e il 2030 il picco di circa il 49%.
Un maggiore equilibrio finanziario ed una maggiore equità
potrebbero essere conseguiti rafforzando il pilastro della previdenza
integrativa, obiettivo che tuttavia, ragionevolmente, non potrà
essere raggiunto fintanto che i livelli della contribuzione obbligatoria
resteranno così incredibilmente elevati.
Occorre dunque agire con urgenza per modificare i parametri del
sistema pubblico. Le principali modifiche proposte in questo disegno
di legge sono le seguenti:
L'eliminazione delle cosiddette "pensioni di anzianità",
quelle che ancor oggi consentono il pensionamento a lavoratori
sotto i 55 anni: a partire dal 2002 sarà possibile il pensionamento
per quei lavoratori che abbiano raggiunto un'età contributiva
e un'età anagrafica che sommate diano la cifra di 95; a
decorrere dal 1° gennaio 2004 tale cifra sarà elevata
a 100.
L'età minima per la pensione di vecchiaia, fissata nella
Legge Dini a 57 anni, viene elevata a 60.
Le misure precedenti configurano risparmi di spesa tali da poter
assicurare la copertura di un'altra misura doverosa ma altrimenti
insostenibile: l'innalzamento ad un milione delle pensioni minime,
contenuto all'art.5 della Proposta di Legge. Ovviamente la cifra
di un milione si intende cumulativa di tutti i trattamenti previdenziali
ed assistenziali, fatte salve le prestazioni corrisposte a fronte
di handicap o invalidità.
Infine all'art.8 si prevede l'equiparazione tra fondi pensione
"chiusi" e "aperti", in modo tale da assicurare
al lavoratore una piena libertà di scelta nella previdenza
integrativa.