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Dastoli Pier Virgilio, Mulino/Europa - 20 ottobre 1994
L'EUROPA FRA MAGNETE TEDESCO E DILUENTE BRITANNICO

di Pier Virgilio Dastoli (*)

SOMMARIO: in questo lungo articolo Virgilio Dastoli, vicepresidente nazionale dell'Unione Europea Federalista (UEF), ripercorrendo tutta la storia della costruzione europea, mostra come una serie di concetti come quelli di "Europa a geometria variabile", di "Europa à la carte", di "Europa à più velocità", non siano concetti di recente invenzione, ma abbiano accompagnato sin dall'inizio lo stesso processo di integrazione europea. L'articolo è stato pubblicato sul Mulino/Europa, nr.2, novembre 1994.

"Quel che succede in Serbia dimostra la necessità degli Stati Uniti d'Europa. Che i governi facciano posto ai popoli uniti. Finiamola con gli imperi assassini. Mai più guerre, mai più massacri, mai più carneficine: libero pensiero, libero scambio, fratellanza. E' dunque cosi' difficile la pace ? La Repubblica d'Europa, la Federazione continentale, non vi è altra realtà politica diversa da essa. Su questa realtà, che è una necessità, tutti i filosofi sono d'accordo ed oggi i boia uniscono la loro dimostrazione alla dimostrazione dei filosofi. Cio' che le atrocità della Serbia mostrano senza ombra di dubbio è la necessità di una nazionalità europea, un governo uno, un immenso arbitrato fraterno, la democrazia in pace con se stessa: in una parola, gli Stati Uniti d'Europa".

Cosi' scriveva - quasi centoventi anni orsono (esattamente il 29 agosto 1876) - Victor Hugo, quando chi massacrava veniva dalle genti mussulmane della Turchia e chi veniva massacrato faceva parte delle genti slave della Serbia. Prima e dopo di allora la ragione della tolleranza e la forza dell'intolleranza hanno cambiato fronte più volte, ma l'utopia di una nazionalità europea che unisse tutte le genti d'Europa (gli slavi, i germani, i latini...) è stata inutilmente gridata da filosofi e intellettuali di tutti i tempi.

Di quest'utopia hanno fatto parte non solo le teorie della "repubblica federativa" di Locke, Montesquieu e Rousseau, insieme agli appelli alla fratellanza dei popoli ed agli Stati Uniti d'Europa di Carlo Cattaneo, ma anche le idee di unità europea espresse fra le due grandi guerre dal conte austriaco Coudenhove Kalergi e riprese nel 1929 dal presidente francese Aristide Briand e dal cancelliere tedesco Stresemann in un memorandum inviato a 26 governi europei, nel quale si auspicava genericamente la creazione di un'unione federale estesa a tutto il continente.

L'utopia di una nazionalità europea è uscita dagli angusti limiti di un'aspirazione intellettuale solo con la fine della seconda guerra mondiale, divenendo l'obiettivo del progetto politico e culturale elaborato dal Movimento Federalista di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi e ripreso da movimenti analoghi in molti paesi d'Europa. La distruzione economica dell'Europa aveva portato con sé la frantumazione di quasi tutti i poteri statali, di quelli totalitari - come la Germania e l'Italia - che erano stati all'origine del conflitto e di quelli travolti dal caos politico ed amministrativo e dalle conseguenze del collaborazionismo con l'occupazione nazista - come la Francia, il Belgio, l'Austria, la Polonia, l'Ungheria..., con le sole eccezioni del Regno Unito e dell'Irlanda. La storia dell'integrazione europea inizia cosi' a svolgersi, a partire dalla necessità di trovare delle risposte comuni a problemi comuni a tutti i paesi del continente. Rinasce cosi' l'antico dilemma fra l'Europa degli Stati-nazione o l'Eu

ropa dei popoli.

"L'avventura europea - scriveva Spinelli - appare come una cosa straordinaria perché non ha precedenti. Gli Stati Uniti erano comunità che si erano atteggiate a Stati sovrani, ma che erano sempre state provincie autonome dell'impero inglese: unendosi in federazione non facevano che ristabilire l'unità politica da poco crollata. Le nazioni e gli Stati che l'Unione europea si propone di unire si sono formati in lotte aspre di delimitazione gli uni contro gli altri. Gli Stati europei hanno tutti sviluppato un'attività politica ed amministrativa ispirata alla priorità assoluta dell'interesse nazionale, un'attività forte e penetrante, al punto di diventare tecnicamente capace di organizzare in modo totalitario tutta la società nazionale".

Nonostante la divisione dell'Europa fra il blocco occidentale dell'egemonia americana ed il blocco orientale dell'imperialismo sovietico, l'idea di un'unificazione al di là degli Stati nazionali non si manifesto' all'origine solo all'Ovest, ma percorse anche alcuni paesi dell'Est ed in particolare la Polonia e la Cecoslovacchia che parteciparono - nel giugno 1947 - alle fasi iniziali della Conferenza preparatoria di Parigi sulla gestione del piano Marshall, prima di subire il veto imposto dal ministro degli esteri sovietico Molotov, il colpo di stato in Cecoslovacchia nel febbraio 1948 e la "fusione" tra comunisti e socialisti in Polonia nel dicembre 1948.

L'ordine europeo degli anni '50

Erano cosi' trascorsi appena quattro anni dalla creazione del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e dell'Accordo Generale sulle Tariffe e sul Commercio (GATT) - allo scopo di assicurare lo sviluppo equilibrato del commercio internazionale ed una stabilità monetaria - che la rottura fra i due blocchi si approfondiva e diveniva irreversibile con la costituzione di una serie di organismi internazionali destinati a "governare" la cooperazione economica ed a garantire la sicurezza militare.

Nel marzo 1948, parallelamente all'entrata in funzione del piano Marshall ed alla creazione dell'OECE (un organismo di coordinamento per le politiche economiche dei paesi europei), cinque paesi europei occidentali (Francia, Regno Unito e Benelux) e due paesi americani (Canada e Stati Uniti) iniziavano i colloqui che avrebbero portato alla creazione della NATO mentre l'URSS ed i suoi paesi satelliti rispondevano nel 1949 con la creazione del COMECON (l'organismo comunista per incoraggiare la cooperazione tra i paesi a "democrazia popolare") e con la firma del Patto militare di Varsavia nel maggio 1955.

Il progetto politico dei federalisti di abolire definitivamente la divisione dell'Europa in stati nazionali e sovrani con la creazione di uno "stato internazionale" su base federale si scontro' cosi' prima con l'approfondimento della separazione fra i due blocchi e poi con la manifesta volontà dei governi andati al potere nel dopo-guerra di non intaccare le sovranità statuali e di procedere gradualmente in un processo di integrazione che non entrasse in conflitto con la politica atlantica di alleanza con gli Stati Uniti.

La risposta dei governi al congresso federalista dell'Aja, che aveva lanciato nel maggio 1948 un appello per un'Assemblea costituente destinata a fondare "l'unione dell'Europa", fu dunque la creazione a Londra - il 5 maggio 1949 - del Consiglio d'Europa, a cui fu affidato il generico obiettivo di "una più larga unità tra i suoi membri allo scopo di salvaguardare e realizzare gli ideali ed i principi di una comune eredità e di facilitare il progresso economico e sociale". Ad iniziativa dei cinque paesi europei che avevano fondato il Patto Atlantico (Francia, Regno Unito e Benelux), il Consiglio d'Europa fu costituito inizialmente da dieci paesi dell'Europa occidentale e cioè i Cinque più l'Italia, l'Irlanda, la Danimarca, la Svezia e la Norvegia.

Mancavano dunque all'appello la Germania - la cui legittimità internazionale sarà sancita definitivamente solo nel 1952 con la CECA, nel 1955 con l'ingresso nella NATO e nel 1973 con l'adesione all'ONU - l'Austria, Cipro, la Finlandia, la Grecia, la Turchia, l'Islanda e Malta, oltre alla Spagna ed al Portogallo governati da regimi fascisti. Ma già tre mesi dopo la sua creazione, il Consiglio accoglieva le adesioni di Grecia, Turchia ed Islanda ed alcune settimane dopo l'adesione della Germania (occidentale).

Il Consiglio d'Europa - la prima organizzazione internazionale rivolta solo agli Stati europei - vede cosi' la luce come un foro di discussione ed un centro di consultazione, privo di qualunque potere di intervento ma sopratutto sprovvisto di qualunque capacità di evolvere dinamicamente verso forme più adeguate di integrazione sovranazionale. Il potere di decidere su "raccomandazioni" ai governi nazionali viene collocato saldamente nelle mani di un Comitato di Ministri, che delibera in segreto e all'unanimità, mentre l'Assemblea parlamentare ha un ruolo puramente consultivo ed a nessuna forza politica è mai venuto in mente di rivendicare per essa un potere più ampio e vincolante.

Sembra di assistere ad una grave ed irreparabile sconfitta dei federalisti, ma solo un anno dopo la creazione del Consiglio d'Europa prende avvio la costruzione di un'organizzazione internazionale sui generis, la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), sulle cui norme costitutive si è invano divisa la dottrina nel tentativo di catalogarle in una categoria del diritto internazionale. Soltanto molti anni dopo la costituzione della prima "comunità europea", il diritto comunitario è stato sottratto alla disciplina del diritto internazionale per assumere vita propria, più vicina al diritto costituzionale ed al diritto pubblico.

E' stata questa una sorta di consacrazione del fatto che l'ordine comunitario possiede - al contrario di qualunque ordine internazionale - una propria "costituzione", che definisce i principi generali della Communità, i poteri delle sue istituzioni, i diritti ed i doveri dei soggetti che ne fanno parte, le norme per il finanziamento delle sue attività (e non solo del suo funzionamento amministrativo), la sua personalità giuridica e la sua rappresentantività esterna.

La prima pietra dell'edificio della Comunità fu posta dal ministro degli esteri francese, Robert Schuman, nella dichiarazione del 9 maggio 1950, con la quale presento' il piano - ispirato da Jean Monnet - per la messa in comune della produzione franco-tedesca di carbone e acciaio sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un'organizzazione alla quale avrebbero potuto aderire gli altri Stati europei. Nella dichiarazione vi erano già tutti gli elementi fondamentali di una precisa idea d'Europa: la delega di una parte delle sovranità nazionali ad un'organizzazione sovranazionale; l'obiettivo dell'unità politica come logica conseguenza dell'unità economica; l'asse franco-tedesco come nocciolo duro della costruzione europea.

Monnet aveva inizialmente concepito la costruzione della CECA ad immagine e somiglianza delle agenzie specializzate alle quali gli Alleati avevano delegato l'amministrazione di affari di interesse comune durante le due guerre mondiali, ma il metodo scelto e la struttura istituzionale alla quale esso aveva dato vita erano molto più complessi sia delle agenzie di guerra sia delle organizzazioni di tipo puramente confederale.

L'Alta Autorità non era soltanto un'amministrazione indipendente dalla sovranità degli Stati nazionali ma un embrione di Esecutivo con poteri limitati ma reali in settori che, a partire dall'entrata in vigore del Trattato, sarebbero irreversibilmente sfuggiti dalle mani dei governi nazionali. In più, la tutela del primato del diritto comunitario sul diritto nazionale di ogni singolo Stato membro era affidata ad una Corte di Giustizia distinta dalle istanze giudiziarie nazionali. Infine, la rappresentanza dei cittadini della Comunità era affidata ad un'assemblea parlamentare - istituzione-cardine di qualsiasi costituzione politica moderna - composta di deputati eletti dai parlamenti nazionali ma indipendenti da essi. La Corte ed il Parlamento rappresentavano senza ombra di dubbio due elementi fondamentali di un sistema costituzionale di tipo federale ed effettivamente al Parlamento della CECA si rivolsero i ministri degli esteri dei paesi membri quando decisero - nel dicembre 1951 - di studiare e progettare u

na Comunità politica destinata a coronare la creazione dell'esercito europeo.

Nasce cosi', non già dalle costole del Consiglio d'Europa dei Quindici (tanti erano in quel momento gli Stati membri) ma in modo assolutamente indipendente da esso, il primo esempio di "Europa a due velocità" o "a geometria variabile" della storia dell'integrazione del continente, con un'organizzazione inesorabilmente cristallizzata nei limiti del modello intergovernativo (il Consiglio d'Europa) ed una "invenzione" destinata ad essere "la prima tappa della federazione europea" (la CECA). Quest'Europa a geometria variabile era completata dall'organizzazione nata dal piano Marshall, l'OECE (quattordici membri), e dal Consiglio dell'Unione dell'Europa occidentale, nato in funzione di mutua difesa fra Francia, Regno Unito e Benelux e destinato a divenire l'Unione dell'Europa occidentale con l'adesione della Germania e dell'Italia (sette membri).

L'Europa a geometria variabile che si venne costituendo fra la dichiarazione di Schuman del maggio 1950 e la creazione dell'UEO del settembre 1954 fu marcata sopratutto da tre elementi che sono divenuti permanenti in tutto il processo di integrazione del continente: il nocciolo duro franco-tedesco ed il conseguente ancoraggio europeo della Germania, la divisione del mondo politico francese fra il modello sovranazionale di Monnet e la difesa della sovranità nazionale di De Gaulle ed il rifiuto del Regno Unito (sia dei governi laburisti che di quelli conservatori) di sottomettere parti della propria sovranità al controllo di un'organizzazione internazionale.

Fu questa ad esempio la motivazione addotta dal governo laburista di Clement Attlee e di Ernest Bevin per rifiutare l'invito ad aderire alla CECA: le industrie del carbone e dell'acciaio erano di proprietà dello stato britannico e non era dunque possibile sottometterle ad un'autorità internazionale. Ma l'atteggiamento "anti-comunitario" non muto' con il ritorno al potere, nel 1951, dei conservatori di Winston Churchill e di Antony Eden che agirono per sabotare la nascita della Comunità Europea di Difesa (promuovendo il riarmo tedesco sotto l'ombrello americano della NATO e nel quadro dell'impotente "braccio" europeo dell'Alleanza Atlantica, l'UEO) e, posti di fronte all'impegno dei Sei della CECA di passare dal mercato comune carbo-siderurgico al mercato comune tout court, tentarono di trasformare l'OECE in zona europea di libero scambio ottenendo soltanto nel 1959 la creazione dell'Associazione Europea di Libero Scambio (EFTA) con Austria, Svizzera, Norvegia, Svezia, Danimarca e Portogallo.

Il metodo comunitario

All'inizio degli anni '60, dunque, la cooperazione sul continente europeo era affidata ad Est al Comecon (cooperazione economica) ed al Patto di Varsavia (mutua assistenza militare) e ad Ovest al Consiglio d'Europa, all'OCSE nato dalle ceneri dell'OECE, alla CEE, all'EFTA ed all'UEO, con un "insieme di sistemi" - per usare l'efficace immagine matematica di François Mitterrand - al centro del quale si collocava comunque la struttura comunitaria, forte della sua omogeneità geografica ed economica ma sopratutto della sua vocazione politica.

Di quest'insieme di sistemi, inoltre, la costruzione comunitaria era quella che più mostrava i caratteri di un processo irreversibile perché basato - secondo la formula utilizzata da Hamilton per gli Stati Uniti d'America - su interessi permanenti comuni, al contrario del Comecon, fondato sulla sopravvivenza dell'imperialismo sovietico, e dell'EFTA, nata già gracile per la trascurabile importanza degli scambi commerciali fra i suoi paesi membri.

Nonostante il suo carattere irreversibile e la sua vocazione verso la creazione di un'unione politica, la costruzione comunitaria è entrata tuttavia presto in una crisi che ne ha praticamente paralizzato l'evoluzione per ben 15 anni - dalla fine dell'espansione economica negli anni '60 alla creazione dello SME ed all'elezione diretta del Parlamento europeo a metà degli anni '70.

L'apparire dei primi segnali di squilibri economici e sociali, la domanda di adesione alla CEE di Irlanda, Regno Unito e Danimarca (poco più di un anno dopo la creazione dell'EFTA !) e la scadenza del c.d. periodo transitorio, al termine del quale le decisioni del Consiglio dei Ministri della CEE avrebbero dovuto essere basate sul principio del voto a maggioranza, provoco' prima l'iniziativa gollista del piano Fouchet (1960) - il cui approccio inequivocabilmente confederale era all'opposto del modello europeo di Jean Monnet - poi il primo veto gollista all'adesione del Regno Unito (1963), quindi la politica della "sedia vuota" della Francia (1965) ed infine il compromesso di Lussemburgo (1966) destinato a bloccare il principio del voto a maggioranza.

Nascono, in questa situazione di crisi, differenti proposte per consentire al processo di integrazione di evolvere anche nel caso in cui si manifestassero una divergenza fondamentale di interessi o differenti volontà politiche o differenti livelli di sviluppo economico. Ciascuna proposta è utilizzata per descrivere o prefigurare una situazione nella quale gli Stati membri della CEE od alcuni di essi potrebbero cercare di distanziarsi dalle norme del Trattato o di eluderle o di applicarle in modo modulato nel tempo.

Quale soluzione alla crisi della Comunità: l'Europa à la carte....

La prima proposta è avanzata nel 1965 dal francese Louis Armand, primo presidente dell'EURATOM ed è comunemente definita "Europa à la carte", perché descrive una situazione in cui lo sviluppo di iniziative al di là del trattato (l'unità monetaria, l'Europa dei brevetti, le agenzie in settori nuovi dell'attività economica come l'informatica, i trasporti, l'oceanografia, la ricerca, l'acqua, l'inquinamento...) viene affidato alla libera adesione di ciascuno Stato membro della Comunità ed eventualmente di paesi europei al di fuori della Comunità. In un ipotetico menu di accordi settoriali, ciascuno Stato potrebbe cosi' scegliere quelli più conformi ai propri interessi - cosi' come ciascuno sceglie al ristorante i piatti di proprio gradimento - sfuggendo ai vincoli ed alle regole dei trattati comunitari.

Un'applicazione concreta dell'Europa à la carte è stata la cooperazione, avviata nel 1967, in materia di ricerca scientifica sulla base di accordi intergovernativi fra paesi membri della CEE e tredici paesi europei al di fuori della Comunità (COST: cooperazione in materia di ricerca scientifica e tecnologica). Quest'approccio esclusivamente à la carte è proseguito fino al 1972, quando l'allora commissario Altiero Spinelli presento' una "comunicazione" al Consiglio sugli obiettivi ed i mezzi per una politica comune della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico, approvata dal Consiglio nel gennaio 1974, avviando cosi' i primi elementi di una politica comune in materia di ricerca e sviluppo.

... l'Europa a due velocità ...

Willy Brandt fu il primo statista europeo a proporre - nel novembre 1974 e come presidente del partito socialdemocratico tedesco - l'idea dell'Europa a due velocità, rilanciata poi dal primo ministro belga Leo Tindemans nel suo "Rapporto al Consiglio sull'Unione europea" del dicembre 1975 ed in particolare nelle proposte relative al progressivo rafforzamento ed approfondimento del c.d. serpente monetario.

Che quello della "doppia velocità" fosse un problema reale, difficilmente accantonabile, fu immediatamente chiaro quando dal settore monetario la polemica aperta dal Rapporto Tindemans si sposto' sul tema delle conseguenze dell'allargamento a Regno Unito, Irlanda e Danimarca e sull'implicita volontà franco-tedesca di "governare" la Comunità attraverso l'azione di un direttorio ristretto di paesi. Le vaghe proposte del Rapporto Tindemans in materia di Unione europea furono ben presto dimenticate, mentre l'ipotesi della doppia velocità fu inizialmente respinta dai governi britannico ed olandese e dalla Commissione europea e la richiesta di rafforzare il serpente monetario europeo fu rifiutata dal governo tedesco.

Il problema della doppia velocità riemerse tuttavia meno di due anni dopo quando il "direttorio" franco-tedesco di Giscard e Schmidt decise, in occasione del vertice bilaterale del febbraio 1977, di rilanciare il processo di unione economica e monetaria bloccato dopo il fallimento del Piano Werner del 1970. Il Consiglio europeo di Brema del 1978, chiamato a sancire l'accordo dei Nove in un programma di unificazione per tappe successive, prese atto della realtà di un sistema comunitario con paesi che volevano e potevano partecipare a tutti i meccanismi dello SME (Francia, Germania, Benelux e Danimarca), paesi che volevano ma ritenevano di non poter essere vincolati dai meccanismi di cambio (l'Italia e l'Irlanda, che chiesero ed ottennero bande di oscillazione più ampie per le rispettive lire), paesi che non volevano partecipare ai meccanismi dello SME (il governo britannico che fu autorizzato a tenere la sterlina fuori dal sistema fino a data da destinarsi). Veniva cosi' applicata l'ipotesi avanzata da Tindem

ans nel dicembre 1975 con la sola, rilevante eccezione del punto in cui il primo ministro belga aveva indicato l'esigenza che tutti fossero d'accordo sull'obiettivo finale e che tutti si impegnassero a realizzarlo secondo un calendario predeteminato.

La creazione dello SME apri' una polemica fra i governi dei Nove (e fra essi nel loro insieme ed il Parlamento europeo) sulla questione dei contributi dei singoli Stati al bilancio della Comunità, sul peso della politica agricola comune sul complesso delle spese comuni e sull'ampiezza delle politiche comuni diverse dalla politica agricola.

Al centro del negoziato fra i governi, il Regno Unito - forte dell'inaspettato appoggio dell'Italia, che aveva deciso di inseguire l'illusione di un asse Roma-Londra da contrapporre all'asse Parigi-Bonn - aveva posto la questione del contributo britannico al bilancio della CEE mentre il Parlamento europeo, eletto a suffragio universale nel giugno 1979, aveva aperto un conflitto con il Consiglio rifiutandosi di approvare il bilancio per il 1980 adottato dai ministri.

In questa situazione di crisi, politica ed insieme finanziaria, il Consiglio europeo - riunito a Lussemburgo nel maggio 1980 - si mostro' incapace di giungere ad accordo e fu cosi' costretto a chiedere alla Commissione europea ("mandato del 30 maggio 1980") di preparare entro il 30 giugno 1981 proposte di modifica alla struttura del bilancio e misure di riassetto delle politiche comunitarie. Le cronache comunitarie di quel periodo turbolento ricordano l'avvio dell'iniziativa di Altiero Spinelli per la riforma della Comunità e la realizzazione dell'Unione europea ("il Club del Coccodrillo" ), ma anche un'intensa discussione fra i governi francese e tedesco per esaminare le modifiche fondamentali da apportare al funzionamento della Comunità ed il rilancio dell'ipotesi di un'Europa a due velocità.

... l'Europa a geometria variabile ...

Esprimendosi in occasione di un colloquio di "Mondo Operaio" a Roma, ancora nel maggio 1980, Jacques Delors - allora presidente della commissione economica e monetaria del Parlamento europeo - aveva presentato una proposta di "Europa a geometria variabile" affermando, a proposito dell'atteggiamento britannico: "preferisco proporre loro un'Europa a geometria variabile che vederli allontanarsi dal continente europeo". Nello stesso senso di Delors si sarebbe espresso, qualche settimana più tardi, Raymond Barre: "Se noi auspichiamo una Comunità organizzata, bisogna obbligare tutti gli Stati membri a fare tutto nello stesso tempo e nello stesso modo ? All'interno dell'enorme entità di una Comunità a Dodici, è forse concepibile che possano esistere differenti raggruppamenti funzionali come lo SME ?".

Secondo la definizione corrente di geometria variabile, questo metodo copre essenzialmente la cooperazione in materia di grandi progetti industriali - come l'AIRBUS, i progetti di fusione nucleare, la telefonia cellulare - organizzati in accordo fra i governi ma al di fuori del quadro comunitario. Sembra evidente tuttavia che sia Delors che Barre utilizzavano l'ipotesi della geometria variabile per identificare la possibilità di accordi sottoscritti dalla grande maggioranza dei paesi membri nel quadro delle regole comunitarie ma con la possibilità di deroge per uno o più paesi membri. L'ipotesi prospettata da Delors e Barre è dunque più vicina agli opting out accordati al Regno Unito nel trattato di Maastricht o alla partecipazione differenziata prevista dal progetto Spinelli (v. più avanti).

... l'Unione e la Comunità ...

Il problema del rapporto fra un gruppo di paesi decisi ad approfondire il processo di unificazione politica europea ed il quadro delle norme comunitarie fu posto in modo più complesso e più netto durante i lavori del Parlamento europeo sul "progetto di Trattato che istituisce l'Unione europea" (il progetto Spinelli). Secondo la più controversa delle sue norme, l'articolo 82, il trattato era aperto "alla ratifica di tutti gli Stati membri delle Comunità europee" ma se esso fosse stato ratificato "da una maggioranza di Stati membri delle Comunità, la cui popolazione forma i due terzi della popolazione globale delle Comunità, i governi degli Stati membri che hanno ratificato si riuniranno immediatamente per decidere di comune accordo sulle procedure e sulla data di entrata in vigore del presente trattato nonché sulle relazioni con gli Stati membri che non hanno ancora ratificato".

In un documento elaborato dai giuristi della commissione istituzionale del Parlamento europeo si erano anche esaminati i possibili scenari che avrebbero potuto verificarsi dopo la ratifica del progetto: 1. tutti gli Stati membri aderiscono all'Unione, che dunque sostituisce le Comunità europee (scenario della sostituzione); 2. alcuni Stati membri aderiscono all'Unione mentre gli altri restano fedeli alla Comunità (scenario della coesistenza); 3. l'unione assume la responsabilità di nuovi settori in rapporto alla Comunità (scenario della complementarietà); 4. l'Unione assume ugualmente la responsabilità dei settori che sono di competenza della Comunità (scenario della concorrenza); 5. alcuni Stati membri aderiscono all'Unione e gli altri proclamano di comune accordo la dissoluzione della Comunità (scenario dell'associazione). Secondo l'opinione dei giuristi, il quinto scenario è quello più verosimile, perché non porrebbe problemi giuridici e perché l'associazione consente di dare la migliore risposta agli int

eressi di tutti gli Stati membri. I giuristi avevano attirato l'attenzione sul parallelismo esistente con la creazione dell'OCSE. In questo caso, soltanto una parte degli Stati membri dell'OECE aveva aderito all'OCSE e l'OECE si era dissolta al momento della creazione dell'OCSE.

Il progetto Spinelli prevedeva un'altra norma, di minore intensità politica rispetto all'articolo 82: l'applicazione differenziata della legge (articolo 35). Riprendendo implicitamente l'approccio a due velocità del rapporto Tindemans, il Parlamento europeo affermava che "la legge puo' subordinare a dei termini di tempo o accompagnare di misure di transizione differenziate secondo il destinatario, la messa in opera delle sue disposizioni quando l'uniformità d'applicazione si scontra con delle difficoltà particolari dovute alla situazione specifica di alcuni dei destinatari. Questi termini di tempo e queste misure devono tuttavia avere come obiettivo di facilitare l'applicazione ulteriore dell'insieme delle disposizioni della legge a tutti i destinatari". Un caso specifico di applicazione differenziata riguarda la politica della difesa (articolo 68 del progetto Spinelli), laddove uno o più stati membri dell'Unione possono essere autorizzati a derogare da essa, in casi eccezionali ma senza limiti di tempo.

Non si tratta dunque di un'Europa à la carte, ma dell'esecuzione - scadenzata nel tempo - di misure adottate in comune. L'idea di una differenziazione nell'applicazione delle norme comunitarie fu ripresa nel rapporto del Comitato istituito dal Consiglio europeo di Fontainebleau (il Comitato Dooge), a condizione che tale differenziazione fosse limitata nel tempo, fondata unicamente su considerazioni economiche e sociali e rispettosa del principio dell'unità del bilancio.

... l'Unione "entre ceux qui voudront" ...

La questione eminentemente politica del rapporto fra un gruppo di paesi deciso a proseguire sulla via dell'integrazione, ad una velocità maggiore di un altro gruppo di paesi, era evidentemente ben presente nelle riflessioni dei governi nazionali, in una fase della vicenda comunitaria - come quella del 1983-1984 - caratterizzata da una forte divergenza di vedute fra una maggioranza di paesi (sostanzialmente: Francia, Germania, Italia, Benelux, decisi a realizzare un'unione politica dotata delle dimensioni della difesa e della politica monetaria) ed una minoranza (Regno Unito, Grecia ed Irlanda). Fu la consapevolezza di tale questione che spinse il presidente della Repubblica francese (e presidente di turno del Consiglio europeo) Mitterrand a prendere posizione a favore del progetto Spinelli, affermando che l'Europa a più velocità o a geometria variabile traduceva una realtà "che si impone". "Ceux d'entre nous qui le voudront" fu cosi' la formula utilizzata da Mitterrand per indicare la volontà di andare avant

i con un nuovo trattato destinato a coprire settori non previsti dalla CEE ("l'educazione, la salute, la giustizia, la sicurezza, la lotta contro il terrorismo"), senza sostituirsi ad essa, ma prolungandola verso la realizzazione dell'Unione politica.

Nell'approccio di Mitterrand - la cui visione dell'Europa è stata costantemente marcata dalla contraddizione di fondo del mondo politico francese, diviso fra la convinzione europea di Monnet e la politica nazionalista di De Gaulle - vi era un'evidente ambiguità di fondo, perché la scelta dell' "Europa politica" non era accompagnata dall'indispensabile chiarimento sulla struttura istituzionale chiamata a "governarla", lasciando dunque aperta la porta ad una soluzione di tipo intergovernativo o à la carte, del resto sempre molto vicina alla cultura francese. E' in questo spirito infatti che si mosse negli stessi mesi l'iniziativa della Francia per contrapporre al progetto militare-tecnologico di Reagan dello "scudo stellare" ed alle proposte della Commissione europea in materia di ricerca scientifica e tecnologica un approccio à la carte, come quello che si concretizzo' poi nelle "assise della tecnologia europea" (EUREKA).

... l'Europa dei cerchi concentrici

Fino all'approvazione del progetto Spinelli, l'unione europea era considerata come un mito, "un serpente di mare o la fantasia dell'immaginario che puo' essere sprovvista di ogni legame con la realtà e la ragione, il 'mitos' che si oppone al 'logos'". Il progetto Spinelli corrispondeva al carattere mobilizzatore del mito evocato da Sorel ed esso poteva essere mobilizzatore a condizione di dare all'opinione pubblica un'immagine di cio' che sarebbe stata l'Unione. E' cosi' che il primo merito del progetto Spinelli è stato quello di "definire" l'Unione, mettendo l'accento su cio' che unisce gli europei e su un sistema istituzionale capace di mantenere e rafforzare la solidarietà fra i membri dell'Unione. Un altro merito del progetto Spinelli fu quello di aver rotto il tabu dell'immutabilità dei trattati sottoscritti a Parigi (la CECA) ed a Roma (la CEE e l'EURATOM). Soltanto un anno dopo l'approvazione a Stoccarda dell'inutile "Dichiarazione solenne" dei governi sull'Unione europea, il Parlamento europeo indica

va la via della riforma dei trattati per la realizzazione di un salto di qualità nel processo di integrazione.

La risposta dei governi e della Commissione - all'inizio dell'"era Delors" - fu, come è noto, parziale e insoddisfacente perché la riforma fu sostanzialmente limitata all'aspetto del mercato unico (l'Europa possibile al posto dell'Europa necessaria) e le modifiche del sistema istituzionale, adottate con l'Atto unico europeo del 1986, furono conformi alla realizzazione dell'obiettivo "1992". Il mercato unico ha messo tuttavia in moto un processo politico ed economico che ha imposto ai governi di accelerare i tempi dell'Unione economica e monetaria, avviando già nel 1988 il negoziato sulla moneta unica e la Banca centrale.

L'avvio del negoziato sull'UEM coincise tuttavia con i primi segnali del crollo del sistema imperiale sovietico all'Est dell'Europa e cio' obbligo' i governi a convocare, nel dicembre 1990 a Roma, una doppia conferenza intergovernativa sull'UEM e sull'Unione politica, conclusa nel dicembre 1991 con l'approvazione del trattato di Maastricht.

Ma il crollo dell'imperialismo sovietico ha spostato all'indietro di quarantacinque anni il calendario della storia europea, riproponendo la questione non risolta dell'unificazione democratica di tutto il continente. Accanto alla generica proposta di Mitterrand di una "confederazione europea", si colloco' l'idea di Jacques Delors di un'Europa a cerchi concentrici. "Quale sarà il risultato a termine di questo processo ?", si chiedeva Delors davanti al Parlamento europeo nel gennaio 1990. "Si tratterà, come l'ha suggerito François Mitterrand, di una grande confederazione europea ? E' una prospettiva entusiasmante per tutti quelli che credono nell'identità europea ed alle sue fondamenta comuni di valori e di tradizioni. La mia convinzione è quella che una tale confederazione non potrà nascere se non sarà prima realizzata l'Unione politica della Comunità". Il primo cerchio avrebbe dovuto essere dunque quello della Comunità-Unione, la cui struttura costituzionale doveva essere - secondo Delors - di tipo inequivoc

abilmente federale, il secondo cerchio lo spazio economico europeo fra i paesi della Comunità-Unione ed i paesi dell'Europa del Nord, il terzo cerchio un sistema integrato di cooperazione politica con i paesi dell'Europa centrale (gli accordi di associazione) e l'ultimo cerchio la confederazione di Mitterrand od un sistema confederale a geometria variabile comprendente il Consiglio d'Europa e la Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Dall'ordine bipolare al disordine continentale

Sia l'ipotesi di Mitterrand che le proposte Delors appaiono oggi superate dal rapido corso della storia europea. Il trattato di Maastricht, negoziato dai Dodici della Comunità solo per i Dodici, ha mostrato rapidamente la sua inadeguatezza sia dal punto di vista del consolidamento del processo di integrazione comunitaria sia dal punto di vista dell'ordine europeo destinato a sostituire l'equilibrio bi-polare instaurato dopo la fine della seconda guerra mondiale.

I paesi del nord dell'Europa hanno immediatamente compreso che il progetto dello spazio economico europeo - sottoscritto dai Dodici della Comunità europea e dai Sette dell'EFTA - non rispondeva ai loro interessi perché essi sarebbero stati costretti a conformarsi al sistema legislativo comunitario senza poter partecipare a pieno titolo alle procedure interne di elaborazione e di approvazione. Il trattato sullo spazio economico non era dunque ancora entrato in vigore e già il Consiglio europeo di Lisbona del giugno 1992 - rovesciando lo schema proposto da Delors: prima l'approfondimento dell'Unione e poi il suo allargamento - adottava un nuovo calendario, che fissava al gennaio 1995 l'ampliamento dell'Unione ai paesi candidati dell'EFTA (Austria, Finlandia, Norvegia e Svezia, poiché la Svizzera era stata costretta a congelare la sua domanda di adesione a causa del risultato negativo del referendum sullo spazio economico).

I paesi dell'Europa centrale ed in particolare gli Stati di Visegrad (Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria) - legati all'Unione da accordi bilaterali di associazione - hanno immediatamente compreso che solo la piena adesione avrebbe garantito loro solidarietà economica e sicurezza politica. Gli accordi di associazione (con la Polonia e l'Ungheria, gli altri essendo ancora in attesa delle ratifiche nazionali, fra le quali quella italiana) erano dunque appena entrati in vigore e già il Consiglio europeo di Corfù del giugno 1994 decideva di indicare per la fine del secolo la prospettiva della piena adesione di questi paesi all'Unione europea, insieme agli altri paesi già candidati (Cipro e Malta, poiché è volontà comune dei Dodici di rinviare il negoziato con la Turchia a data da destinarsi) e senza escludere la possibilità di negoziati con altri paesi dell'Europa centrale (i tre paesi del Baltico e la Slovenia).

Con le decisioni di Lisbona e di Corfù si è cosi' aperto un processo che condurrà verosimilmente l'Unione di Maastricht a raddoppiare i suoi membri -da dodici a ventiquattro - entro l'inizio del 2000 e la conferenza intergovernativa per la revisione di Maastricht nel 1996 diventerà non più l'occasione di un normale aggiornamento del Trattato ma l'ultima scadenza per la definizione di un nuovo ordine europeo. Da oggi al 2000, il continente europeo rischia di passare dall'ordine del sistema bi-polare al disordine di un insieme di sistemi difficilmente governabile. Se si osserva la cartina geopolitica dell'Europa ed i negoziati in corso, si scorgono infatti i lineamenti intersecati dell'Unione dei Dodici (Sedici, a partire dal prossimo gennaio); dell'EFTA; dello Spazio Economico Europeo; dell'UEO; degli accordi di associazione con i paesi dell'Europa centrale; del Consiglio d'Europa; del Patto di Stabilità in Europa; della CSCE; della NATO; del Consiglio di Cooperazione fra la NATO ed i paesi dell'Est (COCONA);

del Partenariato Est-Ovest; per non parlare del Benelux, del Consiglio Baltico; del Consiglio scandinavo, del Consiglio del Mar Nero ...

All'interno del cerchio più integrato (l'unione di Maastricht), le divergenze di opzioni in materia economica, sociale e politica, hanno poi costretto i governi - in mancanza di una volontà comune della maggioranza di proseguire sulla via dell'integrazione "a due velocità" - ad accettare consistenti deroghe (gli "opting out") ai britannici in tema di politica sociale e di unione economica e monetaria ed ai danesi in tema di cittadinanza europea, di cooperazione giudiziaria e di sicurezza.

Il nocciolo duro

In vista del 1996, i primi a muoversi con proposte e scaltre operazioni di seduzione politico-diplomatica sono stati i britannici. Il primo ministro inglese, John Major, ha pubblicato un lungo manifesto-appello a favore di una grande Europa della democrazia e del libero scambio nel settembre 1993 ed un gruppo di "saggi" sponsorizzato dal Foreign Office e nato da una costola del Gruppo thatcheriano di Bruges (lo "European Policy Forum", a cui aderisce anche il Centro Einaudi di Antonio Martino) ha elaborato un progetto di "Costituzione europea decentralizzata", una sorta di summa ideologico-istituzionale dell'Europa intergovernativa.

Poche settimane prima della pubblicazione del Manifesto di John Major era stato presentato il 23 agosto 1993, in una riunione a Berlino del comitato direttivo del gruppo parlamentare CDU-CSU il 23 agosto 1993, un documento sulla "responsabilità della Germania in politica estera ed i suoi interessi". Il documento ha avuto allora una circolazione quasi clandestina, nonostante lo spessore della sua analisi ed il fatto che il suo approccio europeo corrispondesse ad una visione largamente condivisa dal mondo politico tedesco.

"La Germania - afferma il documento parlamentare - si trova al centro del continente europeo che non è più fisicamente diviso, ma al contrario unito dall'idea della democrazia. L'Europa continua tuttavia ad essere divisa dalla differenza eclatante dei livelli di vita e dallo sfasamento politico-culturale degli sviluppi. La Germania si situa alla frontiera di questa divisione. La sua situazione le offre un'occasione particolare di contribuire alla definizione di un nuovo modello, ma anche il rischio di trovarsi al centro dei conflitti che potrebbero derivarne".

Il gruppo parlamentare della CDU sottolineava tuttavia che "la potenza della Germania in Europa è relativa ed è ancora più relativa la sua indipendenza: la sua posizione geografica e la densità dei suoi legami la rendono vulnerabile ad ogni incidente che si potrebbe verificare nel suo ambiente". L'avvenire della Germania - afferma più avanti il documento - puo' essere garantito solo in seno all'avvenire dell'Europa ed al centro dell'Europa si colloca l'Unione europea, "un ordine internazionale fondamentalmente nuovo che si è sostituito all'espressione violenta dei conflitti ed ai modelli di equilibrio della potenza".

Facendo leva sull'interesse essenziale della Germania, la parte orientale dell'Europa deve essere "integrata nel nuovo ordine istituito all'Ovest, perché la stabilità non potrebbe essere limitata all'Europa occidentale... ma un'autentica stabilità non è possibile senza lo sviluppo dell'integrazione. La soluzione di questo compito puo' venire solo dal nocciolo integratore già creato dall'Unione europea. Bisogna estenderlo ai paesi integrabili... ma l'estensione della Comunità non deve indebolire la densità integrativa del cuore attuale dell'Unione; essa deve al contrario rafforzare questa densità".

Cio' richiede per la CDU una riforma delle istituzioni dell'Unione ed in particolare la modifica del sistema di ponderazione dei voti nel Consiglio, la riduzione dei membri della Commissione, la nomina del presidente del Consiglio europeo a maggioranza, la fissazione di un limite all'aumento dei deputati europei e la modifica a maggioranza dei trattati comunitari. "Se non si giunge a realizzare una riforma fra i Dodici o fra i Sedici - avverte il documento parlamentare - la conseguenza necessaria dovrà essere l'estensione della geometria variabile e cioè una densità di integrazione variabile con la formazione di un nocciolo duro".

Nello stesso senso del documento della CDU si era mosso anche l'allora ministro degli esteri italiano, Beniamino Andreatta, secondo il quale il risultante rallentamento dell'approfondimento nel processo di integrazione doveva essere "compensato dalla creazione di un nocciolo duro federale nel cuore dell'Europa", ed un gruppo di esperti comunitari ("il Gruppo Ardenne") che aveva diffuso un "memorandum sulla ricostruzione dell'Unione europea".

Un anno dopo la riunione di Berlino ed in una situazione europea che ha raggiunto "uno stadio critico del suo sviluppo", si è di fatto avviata la discussione preparatoria sulla revisione di Maastricht nel 1996 ed al centro di questa discussione la ripresa politica europea dopo la pausa estiva ha visto da una parte un nuovo documento - ora ufficiale - della CDU-CSU e d'altra parte una serie di dichiarazioni alla stampa del primo ministro francese, Edouard Balladur.

Rispetto al documento dell'agosto 1993, le tesi ufficiali del gruppo parlamentare del settembre 1994 mettono in luce una più forte sottolineatura della crisi europea (sovra-estensione delle istituzioni; divergenza crescente degli interessi; differente percezione delle priorità esterne ed interne; profondo mutamento economico strutturale caratterizzato da una disoccupazione massiccia; rafforzamento del nazionalismo regressivo; debolezza dei governi e dei parlamenti nazionali; sfida lanciata dall'integrazione nell'Unione dei paesi dell'Europa centrale) ed una volontà netta di realizzare la stabilità del continente a partire da una modifica profonda del sistema degli Stati nazionali.

I democristiani tedeschi, percorrendo la via tracciata prima dal progetto Spinelli del 1984 e poi dalle differenti proposte elaborate dal Parlamento europeo nella terza legislatura (i progetti di costituzione "di tipo federale" elaborati da Emilio Colombo, Marcelino Oreja e Fernand Herman), prendono posizione per un documento "quasi-costituzionale", che delimiti chiaramente le competenze dell'Unione europea, dei suoi Stati membri e quelle delle regioni, definendo le idee fondamentali sulle quali deve essere basata l'Unione. "Questo documento deve ispirarsi al modello di costruzione di uno Stato federale e del principio di sussidiarietà non solo per quel che concerne la delimitazione delle competenze ma anche la questione dei compiti da attribuire ai poteri pubblici e quelli riservati alla società civile".

Riprendendo e precisando in senso più accentuatamente federalista le proposte istituzionali dell'agosto 1993, il documento afferma che "nonostante le difficoltà giuridiche e pratiche, l'idea di geometria variabile o di un'Europa a più velocità dovrebbe essere istituzionalizzata nel Trattato sull'Unione o nel documento quasi-costituzionale citato più sopra: in caso contrario, l'Unione resterà limitata alla cooperazione intergovernativa favorevole all'Europa à la carte". E' essenziale, aggiunge il documento, che "nessun paese possa opporre il suo veto e bloccare gli sforzi di altri paesi più decisi ad accrescere la loro cooperazione e integrazione".

E' in questo contesto che si colloca dunque l'idea del "rafforzamento del nocciolo duro dell'Unione europea" (o, secondo l'espressione usata successivamente dal capo-gruppo della CDU Schäuble, del "magnete europeo") che comprenderebbe "cinque o sei paesi" ma che "non deve essere chiuso e al contrario aperto ad ogni Stato membro". Il nocciolo duro - si precisa - ha per compito "di opporre un centro consolidato alle forze centrifughe dovute all'allargamento costante, per impedire uno sviluppo divergente fra un gruppo Sud-Ovest più incline al protezionismo e diretto in qualche modo dalla Francia ed un gruppo Nord-Est favorevole al libero scambio mondiale e diretto in qualche modo dalla Germania".

Fin qui il documento ufficiale della CDU-CSU si è mosso sulle linee di quanto elaborato nell'agosto 1993. La "lista" dei paesi (che la stampa ed una parte delle forze politiche sopratutto italiane hanno qualificato di serie "A") chiamati a far parte del primo nocciolo duro - e cioè l'asse franco-tedesco ed il Benelux - è evidentemente il frutto non solo di una scelta di carattere economico, ma anche di un'analisi sulla solidità e sull'affidabilità politica dei governi dei paesi membri dell'Unione europea.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto di aver compreso nel nocciolo duro limitato al settore monetario tutti i paesi del Benelux e quindi anche il Belgio - "paesi che si avvicinano più degli altri ai criteri di convergenza stipulati nel trattato di Maastricht" - e non l'Italia le cui condizioni di convergenza sono attualmente... meno divergenti di quelle del Belgio.

"Il gruppo del nocciolo duro - precisa tuttavia la CDU - deve convincere tutti i membri dell'Unione europea - in particolare l'Italia, membro fondatore, ma anche la Spagna ed evidentemente il Regno Unito - della loro volontà di integrarsi allorquando avranno risolto alcuni problemi attuali e nella misura in cui avranno la volontà di assumere gli impegni presi dai paesi del nocciolo duro".

Sono note le polemiche suscitate - sopratutto in Italia e in Francia - dalla apparizione del documento tedesco, polemiche che hanno diviso non solo la destra dalla sinistra, ma anche la destra al suo interno e la sinistra al suo interno. Attraverso la questione controversa del "nocciolo duro", la discussione sul nuovo ordine europeo è cosi' entrata all'interno delle forze politiche. E' necessario che essa mantenga il carattere di confronto aperto e pubblico e non si rinchiuda presto nell'ambito delle consuete trattative segrete delle diplomazie nazionali. In questo senso la questione di una procedura democratica per la revisione della "costituzione" europea sarà uno dei temi preliminari della preparazione del 1996 e sarà cosi' più forte l'interesse dei governi nazionali, favorevoli ad una maggiore integrazione politica, ad accogliere nel negoziato un ... diciottesimo attore (il Parlamento europeo insieme ai governi ed alla Commissione), riconoscendogli un diritto di "codecisione costituzionale".

(*) Pier Virgilio Dastoli è vicepresidente nazionale del Movimento Federalista Europeo e insegna storia dell'integrazione europea presso l'Università di Macerata nell'ambito dell'azione "Jean Monnet". Con il Mulino ha pubblicato "1992, Europa senza frontiere?" (1989) e, insieme a Giancarlo Vilella, "La nuova Europa, il difficile cammino verso l'Unione" (1992) ed ha curato i "Discorsi al Parlamento europeo" di Altiero Spinelli (1986).

Note

1. con l'eccezione della Spagna e del Portogallo, risparmiati dalle scelte neutraliste dei loro despoti.

2. v. in G.Mammarella "Imparare l'Europa", Il Mulino 1994.

3. nella rivista "Réalités" e successivamente in "Le pari européen", pubblicato nel 1968 insieme a Michel Drancourt, Armand parla più pomposamente di "federalismo à la carte".

4. v. in "Europa Archiv", 1975, pag. D33.

5. "E' impossibile - aveva scritto Tindemans - presentare un programma di azione credibile, se si considera assolutamente necessario che in tutti i casi tutte le tappe siano raggiunte da tutti gli Stati nello stesso momento. La divergenza obiettiva delle situazioni economiche e finanziarie è tale che, se questa esigenza è posta, il progresso diventa impossibile. Bisogna ammettere che, nel quadro comunitario di una concezione di insieme accettata dai Nove e sulla base di un programma d'azione stabilito da istituzioni comuni, gli Stati che sono in grado di progredire hanno il dovere di andare avanti mentre gli Stati che hanno dei motivi (che il Consiglio su proposta della Commissione riconosce come obiettivamente validi) per non progredire non lo fanno pur ricevendo dagli altri Stati l'aiuto e l'assistenza che è possibile dar loro perché siano in grado di raggiungere gli altri". Non si tratta - precisava Tindemans - "di un'Europa à la carte": l'accordo di tutti sull'obiettivo finale da raggiungere in comune vi

ncola ogni Stato membro, ma l'esecuzione dell'accordo è scadenzata nel tempo. Questo sistema che ammette in modo transitorio un grado di integrazione più avanzato fra taluni Stati membri ha un'analogia nella Comunità: l'articolo 233 CEE lo prevede espressamente nel caso del Benelux e dell'Unione economica belgo-lussemburghese".

6. v. per la cronaca di quelle vicende: PV. Dastoli "1992: Europa senza frontiere ?" Il Mulino 1989 e B. Olivi "L'Europa difficile", Il Mulino 1994.

7. è l'espressione usata da "Le Monde", 11 e 12 maggio 1980. 8. intervento riportato da "Le Monde", 10 maggio 1980. Nel testo del discorso distribuito al convegno, non vi era nessun riferimento di Delors alla "geometria variabile".

9. in "Le Monde", 22 e 23 giugno 1980.

10. Spinelli aveva proposto al Parlamento europeo un testo più radicale relativo all'entrata in vigore del trattato, secondo il quale esso entrava in vigore "fra gli Stati che lo hanno ratificato, sei mesi dopo la sua ratifica da parte di un numero di Stati membri della Comunità la cui popolazione forma i due terzi della popolazione globale della Comunità" (dunque sette su dodici). Se il trattato fosse entrato in vigore a maggioranza, l'Unione avrebbe dovuto negoziare con gli Stati membri della Comunità che non avessero ratificato la soluzione per regolare la nuova situazione. In un commento al suo testo, Spinelli scriveva che gli Stati decisi a realizzare l'unione "possono uscire unilateralmente dalle Comunità assumendo su di sé il patrimonio delle realizzazioni comunitarie. Uscendo dalle Comunità si perde ogni diritto che si aveva restandone membri, ma ci si libera anche di tutti gli obblighi nei suoi confronti. La contraddizione fra i diritti dei membri dell'Unione e quelli dei non-membri non puo' dunque

essere risolta che attraverso un negoziato fra l'Unione e gli Stati non-membri".

11. Al momento della redazione dell'articolo 68 si era parlato di "opting out", una terminologia successivamente utilizzata dal trattato di Maastricht per il Regno Unito e la Danimarca.

12. "Esprimendomi a nome della Francia - disse Mitterrand il 24 maggio 1984 dinanzi al Parlamento europeo - dichiaro di essere pronto ad esaminarlo e difenderlo poiché esso nella sua ispirazione corrisponde ai nostri interessi".

13. In quel periodo fu pubblicato in Germania (Engel Verlag, giugno 1984) il risultato di una ricerca condotta da Christoph Sasse e Eberhard Grabitzed intitolata "L'Europa a due velocità - una soluzione di ricambio al concetto di integrazione tradizionale ?" E' interessante notare come le tesi della CDU esposte nei due documenti dell'agosto 1993 e del settembre 1994 siano molto vicine all'analisi condotta nel 1984 da Grabitz e Sasse.

14. v. Jean-Paul Jacqué "Mito e realtà dell'Unione europea" in "La sfida europea", CEDAM 1984. 15. mentre l'Atto unico rinviava al 1993 il riesame delle norme relative alla c.d. dimensione monetaria, le pressioni del mondo dell'economia spinsero il Consiglio europeo di Hannover del giugno 1988 ad affidare ad un comitato presieduto da Jacques Delors il compito di preparare una Conferenza intergovernativa per l'approvazione di un nuovo trattato sull'Unione economica e monetaria (v. in "La nuova Europa" di Dastoli e Vilella, Il Mulino 1992).

16. tale proposta fu avanzata nel discorso di capodanno del 31 dicembre 1989 e fu definitivamente accantonata in occasione delle "Assise" sulla confederazione europea, convocata a Praga, nel giugno 1992, dallo stesso Mitterrand e dal presidente cecoslovacco Havel. Una proposta analoga di "sistema di cooperazione confederale in Europa" fu avanzata da Klaus Haensch - ora presidente del Parlamento europeo - nel suo rapporto sulla "concezione e strategia dell'Unione europea" del gennaio 1993.

17. discorso di Jacques Delors al Parlamento europeo il 17 gennaio 1990, ora pubblicato in "Le nouveau concert européen", Ed. Jacobs 1992.

18. in "The Economist", 25 settembre 1993.

19. "Una politica estera per l'Italia", in Il Mulino, settembre/ottobre 1993.

20. in "Agence Europe", 25 ottobre 1993.

21. è l'apertura del documento "riflessioni sulla politica europea", diffuso ufficialmente dal gruppo parlamentare CDU-CSU a Bonn il 1· settembre 1994.

22. in particolare quella rilasciata a "Le Figaro" il 30 agosto 1994.

23. secondo la CDU il Parlamento europeo deve avere il carattere di un organo legislativo a parità di diritti con il Consiglio, che deve divenire una seconda Camera mentre la Commissione deve esercitare i poteri di governo europeo.

24. per la sinistra italiana basterebbe citare gli interventi, nel dibattito svoltosi a Strasburgo il 28 settembre 1994, di due esponenti eletti nelle liste del PDS. Secondo Biagio De Giovanni "L'Europa unita non puo' nascere dall'interno dell'egemonia di un direttorio politico o di un imperialismo federativo. Si tratta di una forzatura politico-culturale che va contro il Trattato di Maastricht, si tratta dell'affermazione di un'Europa carolingia che registra i rapporti di forza e li stabilizza cosi' come sono, rafforzandoli anche per il futuro secondo una progressione geometrica". Secondo Andrea Manzela - che ha salutato con favore il fatto che il PE non abbia condannato l'ipotesi dolorosa ma necessaria dell'Europa a motore variabile - "impedire che il ritardo di un solo divenga il ritardo di tutti è l'altra faccia dello sforzo che gli europeisti fanno per impedire che il dissenso di uno solo sia veto per l'azione di tutti gli altri. La condanna è semmai per l'Europa à la carte. In questo modo e per una via

imprevista abbiamo in realtà iniziato il dibattito in vista della Conferenza del 1996 ... ed il documento della CDU si iscrive culturalmente tra i documenti rilevanti sull'integrazione europea".

 
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