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Djogo Gojko, Oslobodenje - 6 gennaio 1995
Ex Jugoslavia

"O LA SERBIA SARA' GRANDE O NOI SCOMPARIREMO"

di Gojko Djogo (*)

SOMMARIO: "Pubblicato a partire dall'autunno del 1994, questo falso Oslobodenje (Liberazione) è - contrariamente al quotidiano multietnico di Sarajevo di cui porta il nome - la voce dell'ideologia nazionalista serba. Benché sulla sua testata appaia Sarajevo come luogo di pubblicazione, il settimanale sarebbe scritto per lo più a Pale, capitale della Repubblica autoproclamata dei serbi di Bosnia, e stampato a Belgrado." Articolo propagandistico che ribadisce le posizioni serbe con i metodi di sempre, servendosi cioè della storia serba per rivendicare un unico Stato serbo, accusando la comunità internazionale delle angherie a cui sottopone il popolo serbo, ... ricordando per altro che, nonostante l'embargo, la "madre Serbia" continua ad aiutare in ogni modo i "propri figli".

(da Internazionale, 11 febbraio 1995)

La Serbia è serba, serba è la Serbia! Ancora ieri risuonavano le parole del solenne giuramento serbo pronunciate all'unisono dai serbi fieri della propria nazionalità, sia che vivano a ovest che a est della Drina [il fiume lungo il quale passa la frontiera tra Serbia e Bosnia Erzegovina]. Ma oggi i fratelli di sangue si accusano a vicenda e si allontanano ogni giorno di più. Si sta verificando di nuovo quello stesso destino che ha sempre caratterizzato la storia dei serbi? Questo è l'interrogativo cruciale che preoccupa tutti i serbi. Dalla risposta che sarà data a questo interrogativo dipenderà il nostro avvenire. Nulla è più importante di questo, tutto il resto sono solo inutili chiacchiere. Cercare di ignorare questo argomento, come in questi giorni sta cercando di fare qualche "creatore di illusioni", sarebbe come asciugarsi il viso con uno straccio sporco. Così, ricordiamoci di quello che facevamo ieri e guardiamo all'avvenire.

L'inatteso voltafaccia che si è prodotto l'estate scorsa sulla scena politica serba [nell'agosto 1994, dopo il rifiuto dei serbi di Bosnia di accettare il piano di pace del Gruppo di contatto, Belgrado ha annunciato la chiusura della frontiera sulla Drina] ha reso drammatica non solo la situazione dei serbi che vivono fuori della Serbia, ma anche di tutti coloro che, benché nati in Serbia, non vi risiedono. Un tale provvedimento concerne - tenendo conto, come si deve fare, della seconda e della terza generazione - almeno la metà di tutti i serbi. Se anche questa volta non riusciremo a cambiare il corso della Storia, saremo di nuovo costretti a disperderci e a perdere la nostra patria. Siamo sempre stati convinti difensori dei diritti e dei supremi interessi nazionali dei serbi che si trovano al di fuori della Serbia. Il nostro orientamento potrebbe tradursi con il vecchio principio di scienze politiche che è alla base di tutti gli Stati-nazione: un popolo, un paese, un governo.

Per chi rischia di rimanere tagliato fuori dalla propria madrepatria non c'è giustificazione di carattere politico o strutturale che possa tenere. Questo spiega il fermo sostegno che tutti i serbi che si trovano a ovest della Drina hanno dato a quelle forze politiche che esprimono nei loro programmi la volontà di riunificare tutti i paesi serbi. Noi siamo quella parte sventurata del popolo serbo che non può e non vuole accettare che

il figlio viva in uno Stato e il padre in un altro. Non riusciamo a capire come le nostre terre, i nostri campi, le nostre foreste e le nostre montagne possano essere misurati in metri e percentuali per essere dati a chi non li ha mai posseduti [le regioni della

Croazia e della Bosnia abitate dai serbi e rivendicate dall'ideologia nazionalista serba non hanno mai fatto parte della Serbia]. Che tocchi a chi vuole accettare questi criteri,

questo piano o questa carta, di dare la sua proprietà, noi non daremo via quello che ci appartiene. Tutti i serbi sono nostri fratelli, ma quelli che vivono dall'altra parte della Drina lo sono più degli altri. Sono il nostro sangue. La nostra pena, la nostra inquietudine, le nostre lacrime sono con loro. Possiamo forse avere delle divergenze con loro, ma non potremmo mai tradirli. Il figlio non può alzare la mano contro il padre, né il fratello si deve scagliare contro il fratello.

"Una posizione umiliante"

Alcuni pensano che solo Belgrado e i suoi dintorni rappresentino la Grande Serbia e, quindi, non ci sia bisogno di una Serbia più grande. Questa visione angusta, senza una prospettiva storica, è all'origine della nostra posizione umiliante, della nostra inferiorità nei confronti dell'Occidente. E proprio questo senso di inferiorità, e non l'immutabilità della situazione o del potere, che nei momenti di crisi trasforma i signori in schiavi e gli uomini in nullità. E da questa malattia che, in quanto popolo, dobbiamo guarire. Non accettiamo la grande bugia mondiale né l'alternativa "o guerra o pace". Siamo favorevoli a una pace giusta e non a una guerra larvata. Un popolo che - per non parlare che di questo secolo - ha tanto sofferto, deve sapere perché la pace che gli offrono le grandi potenze è improponibile.

Solo colui che è ostile allo Stato di tutti i serbi può essere indifferente alle condizioni che ci offrono. Di fronte a coloro che pensano che un qualunque patto è sempre migliore della guerra, noi siamo invece convinti che la schiacciante maggioranza dei serbi, fedele alla propria sublime ed eroica tradizione, è favorevole alla lotta per il diritto e la giustizia. Restiamo fedeli all'ideale nazionale delle migliori generazioni serbe e a quell'idea politica che richiede il prezzo più alto, cioè all'unificazione nazionale. Siamo convinti che dopo due secoli di attesa sia arrivato il nostro momento. E i serbi non devono mancarlo. Alle armi! Per la Serbia, dalla Drina fino al mar Adriatico, per il bene di tutti i serbi e non solo dei serbi a ovest della Drina! Siamo convinti che il futuro ci darà ragione e che non abbiamo fatto altro che quello che fa qualunque popolo che si rispetti.

"Eravamo vicini alla meta"

A chi invece spera nella gradualità e nell'abilità diplomatica, bisogna ricordare la strategia politica seguita dalle grandi potenze al congresso di Berlino [in quella occasione, 1878, la Serbia ottenne l'indipendenza ma non tutti i territori che aveva richiesto]. A quell'epoca eravamo vicini alla meta, ma altri ci hanno tracciato una carta dalle terribili conseguenze. A quell'epoca i serbi rappresentavano la metà della popolazione della Bosnia Erzegovina; oggi solo un terzo. Se rimandiamo ancora la data dell'unificazione definitiva di tutti i serbi, questi serbi di Bosnia dovranno attraversare la Drina andando verso Est. Finalmente saremo uniti, ma direttamente in Serbia!

Recentemente la Serbia, oppressa dalle difficoltà, ha permesso ai mercenari stranieri di sorvegliare le frontiere lungo la Drina [secondo i termini previsti dell'accordo firmato con Belgrado, l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite sorveglia il rispetto dell'embargo posto dalla Serbia ai serbi di Bosnia]. Ma non possiamo certo immaginare che i padroni del mondo siano ingenui a tal punto da credere che questa frontiera e questa sorveglianza siano realmente efficaci. Siamo invece dell'idea che questi mercenari non siano altro che gli attori di uno spettacolo politico. Così, non senza amarezza, anche noi ci siamo messi a recitare in questo spettacolo di un regista ignoto. Ormai attraversiamo questa frontiera con indosso l'uniforme della Croce Rossa e aspettiamo che i riflettori si spengano e che si metta fine a questo spettacolo. Ma questo non significa certo che noi siamo disposti a riconoscere questa frontiera o che non la faremo scomparire. Una grave macchia ha segnato la nostra generazione.

I serbi del versante occidentale della Drina hanno il ruolo del Piemonte e combattono per l'insieme del popolo serbo. Noi siamo la prosecuzione armata di questo fronte e la sua base logistica. E ovvio che il nostro potere sarebbe molto limitato se non fossimo sostenuti dalla madre Serbia. Anche quando sgrida i propri figli, è sempre da lei che si torna, è lei il nostro punto di partenza e di arrivo. Sa perfettamente che il lampo delle armate serbe di Bosnia illumina anche il suo viso.

O la Serbia sarà grande o noi scompariremo! Questo è l'impegno solenne dei serbi all'ovest della Drina. Che Dio sia con noi!

(*) Gojko Djogo è un poeta serbo di origine bosniaca, residente a Belgrado. E' uno dei portavoce del nazionalismo serbo, è stato processato negli anni Ottanta per oltraggio al maresciallo Tito.

 
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