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Mellini Mauro - 15 febbraio 1972
LO SCIOGLIMENTO ANTICIPATO DELLE CAMERE
di Mauro Mellini

SOMMARIO: L'ormai scontato scioglimento anticipato delle Camere è la denuncia del fallimento della politica neoconcordataria dei partiti laici in ordine a materie quali divorzio e abolizione del concordato - tema sul quale, per altro, la maggioranza sottovalutando le sentenze della Corte costituzionale, aveva votato un mandato al Governo per trattare con la Santa Sede. La questione del referendum sul divorzio è passata di nuovo in prima linea, nonostante il fatto che con lo scioglimento delle Camere si tenti di ricreare un Governo di destra con il quale il Vaticano preferisce trattare.

(NOTIZIE RADICALI N. 149, 15 FEBBRAIO 1972)

Lo scioglimento anticipato delle Camere, ormai scontato, segna il fallimento della politica neoconcordataria dei partiti laici tradizionali. Un fallimento ritardato artificiosamente negli ultimi mesi con espedienti e mistificazioni vili e truffaldine, che fanno della sconfitta di una linea politica una vera e propria bancarotta fraudolenta.

La volontà di trovare una soluzione neoconcordataria nei rapporti tra Stato e Chiesa, tra le forze politiche democristiane e apparato clericale di potere, si era mostrata chiara all'indomani del voto della legge Fortuna, il 1· dicembre 1970. Essa si era espressa in tutta la durezza del suo cinismo nel voto della camera del 7 aprile dello scorso anno, quando, mettendosi sotto i piedi le sentenze della Corte Costituzionale che avevano rilevato la violazione di fondamentali e indisponibili principi di libertà dei cittadini contenuti nei Patti Lateranensi, le forze politiche laiche avevano, pressoché all'unanimità, votato un mandato in bianco al Governo per trattare e disporre di questi diritti con la Santa Sede.

Ma già in quel momento la linea neoconcordataria appariva falsamente sicura di sé, artificiosa e, in buona sostanza già sconfitta.

Mentre la Camera votava la restaurazione dei Patti Lateranensi, ferveva la raccolta di firme contro il divorzio nelle parrocchie e negli ospizi tenuti dai preti. Dal quel momento la questione del referendum sul divorzio passava in prima linea e, con tutta la buona volontà di un Enrico Berlinguer, (che faceva scrivere sull'Unità che occorreva trovare un accordo con i cattolici per modificare la legge sul divorzio) era chiaro che, qualunque dovesse essere il risultato del referendum o delle contrattazioni per evitarlo, non si sarebbe trattato di una operazione concordataria ma di una prova di forza dell'apparato clericale.

Da parecchi mesi nessuno ha più inteso parlare della revisione del Concordato, scavalcata almeno per ora dalle trattative sul referendum. Certo la Chiesa di Paolo VI non ha rinunciato a vedere cristallizzati in un rinnovato contratto di mezzadria con la repubblica tutti i suoi privilegi. Ma preferisce trattare con un governo ancor più a destra, che esca dalle nuove elezioni, dopo che il suo braccio secolare, la DC - e gli ascari fascisti e i servi sciocchi laici - abbiano provveduto a togliere di mezzo almeno neutralizzare la spina del divorzio, inserendo inoltre, in una qualche legge Carettoni, la conferma della giurisdizione dei tribunali ecclesiastici, e magari l'obbligo dei giudici civili di fare da procacciatori di affari alla Sacra Rota.

L'ombra di un nuovo concordato non è affatto quindi dissolta. Ma la politica neoconcordataria di Enrico Berlinguer e di Francesco De Martino è andata a farsi benedire. A ottobre ogni uomo politico "serio" aveva le sue buone informazioni sui termini esatti degli accordi tra il PCI e il Vaticano. I comunisti erano riusciti ad ottenere solidarietà e coperture da tutto l'arco politico laico, facendo intendere di avere già in tasca i loro bravi impegni dei più autorevoli monsignori e minacciando scavalcamenti ed imbarazzanti isolamenti. Poi è venuta l'elezione del Presidente della Repubblica e, malgrado la lezione, i laici hanno continuato ad accalcarsi sulla bocca della trappola per paura di non fare in tempo ad entrarci. Ora la trappola è scattata ed invece di uno storico incontro con i cattolici i grandi strateghi laici si trovano con il classico pugno di mosche in mano, rappresentato da una scomoda elezione elettorale, con il divorzio per dopo elezioni, con il ricatto non solo del referendum ma con l'alleanza

con i fascisti, con una DC e un vaticano che agli storici incontri mostrano preferire intrallazzi spiccioli su due fronti, per suscitare a chi cede di più tra i loro variopinti interlocutori.

Dopo aver gettato alle ortiche la laicità dello Stato, e più semplicemente la laicità come un vecchio armamentario ottocentesco, sostituendole con la prospettiva di uno storico incontro con i cattolici, gli ex laici non hanno più oggi uno stato in nome del quale incontrarsi con il Vaticano né un'idea con la quale incontrarsi con i clericali, ai quali intanto hanno regalato la rappresentanza in esclusiva dei cattolici, proprio nel momento in cui larga parte di essi comincia a rifiutare la sudditanza politica per motivi religiosi.

Se la presidenza di Leone non è bastata, se non è bastata l'umiliazione di aver proposto l'abolizione della legge Fortuna per non ottenere nemmeno una mezza promessa di rinuncia al referendum, se non basta il monocolore e l'utilizzazione della questione del referendum per giungere alle elezioni anticipate, se dovremo sentire ancora comunisti, socialisti, liberali, repubblicani e socialdemocratici declamare sulla necessità di evitare lo scontro tra laici e cattolici, tra clericali e anticlericali, vorrà dire che l'insipienza politica cede ormai senza ritegno alla malafede, e gli elettori fanno bene a mettere da parte ogni preoccupazione di non indebolire quelle forze per evitare il peggio. Peggio di così non si può.

 
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