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Cicciomessere Roberto - 1 ottobre 1988
PREFAZIONE
di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Le minacce non militari - dalla sottovalutazione della minaccia rappresentata dai regimi totalitari a quella dell'olocausto umano e del disastro ecologico nel Terzo Mondo - rappresentano il vero pericolo del nostro tempo. Oggi, dunque, nel momento in cui le prospettive di disarmo appaiono più favorevoli, è necessario domandarsi per quale disarmo e per quale società batterci.

(Irdisp - Quale disarmo - Franco Angeli editore - Milano - ottobre 1988)

Si tratta d'intendersi sul significato di pace e di sicurezza. Il contenuto delle due parole cambia radicalmente se rapportato a Stati amici o avversari. Nel primo caso, pace è sinonimo di reciproca fiducia e le misure di sicurezza sono rivolte essenzialmente ai fenomeni di criminalità o agli interessi di tipo economico. Nel secondo, pace significa solo assenza temporanea di conflitto e la sicurezza è concepita per lo più come equilibrio delle reciproche capacità di arrecarsi danni insostenibili.

Il primo è un equilibrio stabile; il secondo invece non garantisce che la guerra, magari condotta in periferia, possa essere sempre impedita. Finché, infatti, non vengono sanate le ragioni dello scontro, una parte tenterà sempre di prevalere sull'altra o, non riuscendovi, di congelare lo status quo. Nel rapporto nord-sud e in quello est-ovest pace e sicurezza hanno quest'ultimo significato.

Paesi occidentali e paesi 'socialisti' sono avversari perché incompatibili e inconciliabili sono i due sistemi politici ed economici. Per i sistemi sovietici il pericolo è tutto politico ed è rappresentato dalla mera esistenza di regimi democratici. Questi ultimi, per quanto imperfetti siano, rischiano di contagiare i paesi socialisti, minacciando lo stesso meccanismo di potere su cui si regge il regime sovietico. Per assurdo sono proprio i nuovi minimi margini di democrazia concessi da Gorbaciov che consentono alla grande opposizione burocratica di colpirlo grazie alla propria forza e adesione di massa. Gorbaciov infatti vive pienamente la contraddizione della perestroika: non può neutralizzare i suoi nemici con i tradizionali sistemi violenti che da sempre hanno caratterizzato gli scontri di potere all'interno della nomenclatura e d'altra parte non può dispiegare in pieno le tutele democratiche tradizionali dei gruppi di potere delle democrazie.

Per i paesi occidentali invece il regime sovietico appare strutturalmente e storicamente espansionista, sostanzialmente inaffidabile a causa della sua struttura politica centralizzata e dell'assenza di contradditorietà nel processo decisionale.

Entrambi i blocchi hanno raggiunto la convinzione che è impossibile vincere una guerra convenzionale o nucleare, ma non rinunciano alla possibilità di acquisire una superiorità militare da far valere sul piano politico o di competere, direttamente o per conto terzi, per la tutela o la conquista di aree di reciproco controllo economico e politico.

Fra nord e sud vi è un contrasto ancor più strutturale che alimenta, nel sud, modelli culturali e regimi politici totalizzanti con una carica di pericolosità elevatissima. E' il contrasto fra un nord opulento che si sente accerchiato dalle moltitudini affamate del sud del mondo, incapace di concepire - perché il suo sistema di valori e la sua cultura politica non lo consentono - l'obiettiva interdipendenza fra i destini del sud e del nord del mondo in modo creativo ed aperto ma solo in termini di sfruttamento o di contenimento.

Quando si affronta il problema della pace e della sicurezza, dunque, è preventivamente necessario definire da che parte si sta. La neutralità in un conflitto non è mai concepibile, se non quando è 'graziosamente' concessa dalle due parti per propri interessi.

Nel conflitto est-ovest si tratta di scegliere, a livello teorico naturalmente, quale obiettivo perseguire: la conflittualità minima - con i compromessi indispensabili rispetto al sistema di valori democratici - per congelare o sperare di ridurre marginalmente le ragioni dello scontro; oppure la conflittualità massima, per tentare di superare le minacce profonde alla sicurezza e le stesse ragioni di separazione fra i due blocchi.

Fino ad oggi si sono perseguiti, a fasi alterne, entrambi gli obiettivi. Il fallimento della distensione sta infatti tutto in questa duplicità: accettazione reciproca dei propri regimi e interessi economici e politici, contestualmente al tentativo di far prevalere, con mezzi diversi, la propria supremazia.

Il dibattito, solo apparentemente moralistico, sulla categoria reaganiana dell'"impero del male", nasconde in effetti la difficoltà dell'amministrazione statunitense di scegliere fra la piena legittimazione della nuova Russia gorbacioviana e il mantenimento della conflittualità.

Se infatti l'Unione Sovietica - nonostante Gorbaciov - è e resta l'"impero del male", il processo di disarmo non può inibire il conflitto politico ed economico. Dal canto loro, le cosiddette 'colombe' spingono per una piena accettazione dello status quo, senza però riuscire a spiegare a che livello congelare la conflittualità - e con quali compromessi ideali - per garantire livelli accettabili di sicurezza. Ovvero divengono estremamente chiare quando, come alcuni Gruenen tedeschi teorizzano, affermano che di fronte al rischio di olocausto nucleare è preferibile cedere su tutta la linea dei contenuti ideali e politici della democrazia. L'ipotesi di un superamento della conflittualità storica e politica fra i due blocchi non viene presa neppure in considerazione, ritenendo i più che l'affermazione del sistema democratico su quello sovietico possa realizzarsi solo con la vittoria militare.

La ricerca che presentiamo in questo volume è in qualche modo propedeutica alla scelta di strategia prima indicata. Tenta infatti di dimostrare la marginalità della questione militare rispetto al conflitto fra i due blocchi e ai problemi della sicurezza.

La questione degli equilibri militari appartiene infatti in gran parte alla scienza economica, piuttosto che a quella militare. Le ragioni della scelta di una strategia e dei relativi sistemi d'arma è sempre più dettata, ad est come ad ovest, da interessi solo marginalmente collegati alla sicurezza. Per mistificarli ed occultarli all'opinione pubblica bisogna inventare le teorie degli scudi o della impenetrabilità dei propri sistemi difensivi. Salvo essere poi ridicolizzati dal primo giovane tedesco che, con il proprio Cessna, dimostra quello che la storia non è riuscita ad insegnare ai nostri generali: le linee Maginot, gli scudi spaziali o la concezione demenziale della "reciproca distruzione assicurata", sono delle parole magiche che nascondono delle vere e proprie truffe, utili solo per rassicurare e spremere il contribuente, ma che mai sono riuscite a scongiurare la guerra.

Con queste premesse è quindi concepibile pensare ad atti di disarmo unilaterale che, senza ridurre minimamente i margini di sicurezza militare - di per sé marginale rispetto alla sicurezza effettiva - consentano di condurre senza autolimitazioni e paure quel conflitto storico che oppone la democrazia politica alla concezione totalitaria dello Stato, i principi dello Stato di diritto e delle libertà politiche e civili a quelli della prevalenza degli interessi dello Stato sui diritti della persona.

Risulta d'altronde a qualcuno che i conflitti storici di Stati possano essere superati stabilmente se non attraverso la democrazia o la dittatura assoluta? L'Europa è una dimostrazione di tutto ciò. Per secoli i suoi popoli si sono combattuti nel modo più feroce. Fino a cinquant'anni fa sembrava semplicemente assurdo che tutto ciò potesse terminare nel corso di una manciata d'anni. Con un manifesto da Ventotene solo pochi uomini illuminati lo hanno saputo concepire e quindi prevedere. Oggi l'Europa democratica e unita è una realtà irreversibile.

Ad est solo la violenza ha avuto ragione dei conflitti nazionali. Solo la violenza può impedirne l'esplosione. Quando si aprono margini di maggiore libertà in un sistema profondamente illiberale e socialmente ingiusto il conflitto riesplode: in Armenia piuttosto che in Croazia.

Dunque sono le minacce non militari che, a mio avviso, rappresentano il vero pericolo del nostro tempo. Dalla sottovalutazione della minaccia rappresentata dai regimi totalitari a quella, tremenda, dell'olocausto umano e del disastro ecologico nel Terzo Mondo, nuove categorie politiche devono entrare nel dizionario della pace e della sicurezza. Su queste nuove frontiere si vinceranno le guerre. Non saranno gli eserciti a vincerle o perderle.

Proprio quando le prospettive di disarmo appaiono più favorevoli, è necessario domandarsi per quale disarmo Ed.De Angeli e per quale società batterci. Un disarmo capace solo di congelare il disordine attuale sarebbe precario e perfino controproducente perché pretenderebbe di congelare anche le legittime aspirazioni di democrazia e di giustizia sociale di immense moltitudini che oggi ne sono private.

Atti coraggiosi di disarmo militare unilaterale, accompagnati da politiche di riarmo politico e teorico sono proponibili sul piano militare ed essenziali sul piano strategico. Sono, come dimostrano le diverse voci raccolte in questo libro, ragionevolmente possibili.

 
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