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Conferenza Rivoluzione liberale
Arpa Pisa - 6 febbraio 1998
Manfisto di Ventotene

Il MANIFESTO di VENTOTENE -

Ventotene, agosto 1941

I - LA CRISI DELLA CIVILTA' MODERNA

La civilta' moderna ha posto come proprio fondamento il principio della liberta', secondo il quale l'uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si e' venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale che non lo rispettino:

1) Si e' affermato l'eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato nelle sue caratteristiche etniche geografiche linguistiche e storiche, doveva trovare nell'organismo statale, creato per proprio conto secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore ai suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L'ideologia dell'indipendenza nazionale e' stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di piu' vasta solidarieta' contro l'oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere, dentro il territorio di ciascun nuovo stato, alle popolazioni piu' arretrate, le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni piu' civili. Essa portava pero' in se' i germi del nazionalismo imperialista, che la nostra generazione ha visto ingigantire fino alla formazion

e degli Stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali. La nazione non e' piu' ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che, pervenuti, grazie ad un lungo processo, ad una maggiore uniformita' di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma piu' efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la societa' umana. E' invece divenuta un'entita' divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne. La sovranita' assoluta degli stati nazionali ha portato alla volonta' di dominio sugli altri e considera suo "spazio vitale" territori sempre piu' vasti che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza senza dipendere da alcuno. Questa volonta' di dominio non potrebbe acquietarsi che nell'egemonia dello stato piu' forte su tutti gli altri asserviti. In conseguenza lo stato, da tutelatore della liberta' dei

cittadini, si e' trasformato in padrone di sudditi, tenuti a servirlo con tutte le facolta' per rendere massima l'efficenza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volonta' dei ceti militari predomina ormai, in molti paesi, su quella dei ceti civili, rendendo sempre piu' difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi; la scuola, la scienza, la produzione, l'organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla piu' tenera eta' al mestiere delle armi e dell'odio per gli stranieri; le liberta' individuali si riducono a nulla dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestar servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l'impiego, g

li averi ed a sacrificare la vita stessa per obiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore, ed in poche giornate distruggono i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo. Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo piu' coerente la unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono percio' dimostrati gli organismi piu' adatti all'odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo piu' avanti verso un piu' accentuato totalitarismo, perche' sia seguita dalle altre nazioni, trascinate nello stesso solco dalla volonta' di sopravvivere.

2) Si e' affermato l'uguale diritto per i cittadini alla formazione della volonta' dello stato. Questa doveva cosi' risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere, o almeno di attenuare, molte delle piu' stridenti ingiustizie ereditarie dai regimi passati. Ma la liberta' di stampa e di associazione e la progressiva estensione del suffragio rendevano sempre piu' difficile la difesa dei vecchi privilegi mantenendo il sistema rappresentativo. I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi istrumenti per dare l'assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte speciali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, le esenzioni dei redditi minimi, e dei beni di prima necessita', la gratuita' della scuola pubblica, l'aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo del

le fabbriche, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro piu' fortificate cittadelle. Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all'uguaglianza dei diritti politici non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell'uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva liberta'. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo forte, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero le instaurazioni delle dittature che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari. D'altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un'unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica piu' rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta tra loro. Gli ordinamenti democratico liberali, di

venendo lo strumento di cui questi gruppi si valevano per meglio sfruttare l'intera collettivita', perdevano sempre piu' il loro prestigio, e cosi' si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo la liberta' popolare, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano piu' a contenere. Di fatto poi i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso, col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione dei dissenzienti, ogni possibilita' legale di correzione dello stato di cose vigente. Si e' cosi' assicurata l'esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti, e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo col tagliare le cedole dei loro titoli, dei ceti monopolistici e delle societa' a catena che sfruttano i consumatori e fanno volatilizzare

i denari dei piccoli risparmiatori, dei plutocrati, che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici, per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l'apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse dalle possibilita' di godere i frutti delle moderna cultura. E' salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le risorse materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri piu' futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi piu' alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle alternative ai pr

oletari resta cosi' ridotto che per vivere sono costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilita' d'impiego. Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e ad esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, e' sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.

3) Contro il dogmatismo autoritario si e' affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito doveva dare ragione di si' o scomparire. Alla metodicita' di questo spregiudicato atteggiamento sono dovute le maggiori conquiste della nostra societa' in ogni campo. Ma questa liberta' spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede o da accettare ipocritamente, si stanno accampando in tutte le scienze. Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza e le piu' elementari nozioni storiche ne facciano risultare l'assurdita', si esige dai fisiologi di credere di mostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perche' l'imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l'odio e l'orgoglio. I piu' evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatema per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferravecchi del mercantilismo, come stra

ordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civilta' moderna, e' tutto il globo; ma si e' creata la pseudo scienza della geopolitica che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dare veste teorica alla volonta' di sopraffazione dell'imperialismo. La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell'interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell'oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano. La stessa etica sociale della liberta' e dell'uguaglianza e' scalzata. Gli uomini non sono piu' considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato che stabilisce quali debbono essere i loro fini, e come volonta' dello stato viene senz'altro assunta

la volonta' di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono piu' soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri. Questa reazionaria civilta' totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si e' ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalita', degli egoismi, della stupidita' altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei - primo fra i quali l'Italia - alleandosi col Giappone che persegue fini identici in Asia essa si e' lanciata nell'opera di sopraffazione. La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate

per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa. La tradizionale arroganza e intransigenza dei ceti militari tedeschi puo' gia' darci un'idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi vittoriosi potrebbero anche permettersi una lustra di generosita' verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare cosi' soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalita' degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realta' sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell'umanita' in Spartiati ed Iloti. Anche una soluzione di compromesso tra le parti ora in lotta significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiche' tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania sarebbero costretti ad accett

are le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra. Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre piu' potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattivita' della Gran Bretagna, anche nel momento piu' critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto si che i Tedeschi siano andati a cozzare contro la strenua resistenza dell'esercito sovietico, ed ha dato tempo all'America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate forze produttive. E questa lotta contro l'imperialismo tedesco si e' strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l'imperialismo giapponese. Immense masse di uomini e di ricchezze sono gia' schierate contro le potenze totalitarie. Le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine e non possono oramai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece gia' superato il momento della massima dep

ressione e sono in ascesa. La guerra degli Nazioni Unite risveglia ogni giorno di piu' la volonta' di liberazione anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano come smarriti per il colpo ricevuto, E persino risveglia tale volonta' nei popoli delle potenze dell'Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni. Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano cosi' a consolidarlo, e' arrestato; si e' invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata, che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressiste; e, le parti piu' illuminate delle classi lavoratrici che si erano lasciate distogliere, dal terrore e dalle lusinghe, nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi piu' consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui e' sottoposta l'intelligenza; im

prenditori, che sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche, e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro, infine, che, per un senso innato di dignita', non sanno piegar la spina dorsale nella umiliazione della servitu'. A tutte queste forze e' oggi affidata la salvezza della nostra civilta'.

II - I COMPITI DEL DOPO GUERRA - L'UNITA' EUROPEA

La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell'Europa secondo il nostro ideale di civilta'. Nel breve intenso periodo di crisi generale, in cui gli stati nazionali giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose la parola nuova e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capace di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti, i ceti che piu' erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l'ondata dei sentimenti e delle passioni internazionalistiche, e si daranno ostinatamente a ricostruire i vecchi organismi statali. Ed e' probabile che i dirigenti inglesi, magari d'accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell'equilibrio delle potenze nell'apparente immediato interesse del loro impero. Le forze conservatrici, cioe' i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali:

i quadri superiori delle forze armate, culminanti la', dove ancora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche, che solo da una stabile societa' conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l'innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che son anche solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie, gia' fin da oggi, sentono che l'edificio scricchiola e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto fin'ora e le esporrebbe all'assalto delle forze progressiste. Ma essi hanno uomini e quadri abili ed adusati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati. Si proclameranno amanti della pace, della liberta', del benessere generale delle classi pi

u' povere. Gia' nel passato abbiamo visto come si siano insinuati dentro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza piu' pericolosa con cui si dovra' fare i conti. Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sara' la restaurazione dello stato nazionale. Potranno cosi' far presa sul sentimento popolare piu' diffuso, piu' offeso dai recenti movimenti, piu' facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di piu' facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l'unica esperienza politica finora acquisita e' quella svolgentesi entro l'ambito nazionale, ed e' percio' abbastanza facile convogliare, sia esse che i loro capi piu' miopi, sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera. Se raggiungessero questo scopo avrebbero vinto. Fossero pure questi stati in apparenza largamente democratici o socialisti, il ritorno del potere nelle

mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Loro compito precipuo tornerebbe ad essere, a piu' o meno breve scadenza, quello di convertire i loro popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti ad approfittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzerebbero in un nulla di fronte alla necessita' di prepararsi nuovamente alla guerra. Il problema che in primo luogo va risolto, e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non e' che apparenza, e' la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha gia' accomunato la sorte dei popoli europei, che o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con

la caduta di questo in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali. Gli spiriti sono giu' ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell'Europa. La dura esperienza ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale. Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si puo' mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti con la convivenza della Germania militarista a parita' di condizioni con gli altri paesi, ne' si puo' spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, e' apparso evidente che nessun paese d'Europa puo' restarsene da parte mentre gli altri si battono, a nulla valendo le dichiarazioni di neutralita' e di patti di non aggressione. E' ormai dimostrata la inutilita', anzi la dannosita' di organismi, tipo della Societa' delle Nazioni, che pretendano di garantire un diritto internazionale senza u

na forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranita' assoluta degli stati partecipanti. Assurdo e' risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente: tracciati dei confini a popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell'interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc., che troverebbero nella Federazione Europea la piu' semplice soluzione, come l'hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte delle piu' vaste unita' nazionali, quando hanno perso la loro acredine, trasformandosi in problemi di rapporti fra le diverse provincie. D'altra parte la fine del senso di sicure

zza nella inattaccabilita' della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la "splendid isolation", la dissoluzione dell'esercito e della stessa repubblica francese, al primo serio urto delle forze tedesche - risultato che e' da sperare abbia di molto smorzata la presunzione sciovinista della superiorita' gallica - e specialmente la coscienza della gravita' del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale che ponga fine all'attuale anarchia. Ed il fatto che l'Inghilterra abbia accettato il principio dell'indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta, tutto il suo impero, rendono piu' agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea dei problemi coloniali. A tutto cio' va infine aggiunta la scomparsa di alcune delle principali dinastie e la fragilita' delle basi di quelle che sostengono le dinastie superstiti. Va tenuto conto, infatti, che le dinastie, considera

ndo i diversi paesi come tradizionale appannaggio proprio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui erano l'appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d'Europa, il quale non possono poggiare che sulla costituzioni repubblicane di tutti i paesi federati. E quando, superando l'orizzonte del vecchio continente, si abbracci in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l'umanita', bisogna pur riconoscere che la federazione europea e' l'unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un piu' lontano avvenire, in cui diventi possibile l'unita' politica dell'intero globo. La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade percio' ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale de

lla lotta quello antico, cioe' la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdita', e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l'unita' internazionale. Con la propaganda e con l'azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d'ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sara' la creazione piu' grandiosa e piu' innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una f

orza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l'autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. Se ci sara' nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno cio', la vittoria sara' in breve nelle loro mani, perche' la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze gia' tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell'ultimo ventennio. Poiche' sara' l'ora di opere nuove, sara' anche l'ora di uomini nuovi, del movimento per l'Europa libera e unita!

III - I COMPITI DEL DOPO GUERRA LA RIFORMA DELLA SOCIETA'

Un'Europa libera e unita e' premessa necessaria del potenziamento della civilta' moderna, di cui l'era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era sara' riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l'attuazione, saranno crollanti o crollate, e questa loro crisi dovra' essere sfruttata con coraggio e decisione. La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovra' essere socialista, cioe' dovra' proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione per esse di condizioni piu' umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione, non puo' essere pero' il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprieta' privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita, e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell'econ

omia e' stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione del giogo capitalista, ma, una volta realizzata a pieno, non porta allo scopo sognato, bensi' alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione e' asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia, come e' avvenuto in Russia. Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non e' stato che una affrettata ed erronea deduzione, e' quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma - come avviene per forze naturali - essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo piu' razionale, affinche' le grandi masse non ne siano vittime. Le gigantesche forze di progresso, che scaturiscono dall'interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica "routiniere" per trovarsi poi di fronte all'insolubile problema di resuscitare lo spirito d'iniziativa con le differenziazioni dei salari,

e con gli altri provvedimenti del genere dello stachenovismo dell'U.R.S.S., col solo risultato di uno sgobbamento piu' diligente. Quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore possibilita' di sviluppo ed impiego, e contemporaneamente vanno perfezionati e consolidati gli argini che le convogliano verso gli obiettivi di maggiore utilita' per tutta la collettivita'. La proprieta' privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa, caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo e del burocraticismo nazionali. In essa possono trovare la loro liberazione tanto i lavoratori dei paesi capitalistici oppressi dal dominio dei ceti padronali, quanto i lavoratori dei paesi comunisti oppressi dalla tirannide burocratica. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in m

odo piu' particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalita' di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto oramai indispensabile dell'unita' europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti: a) non si possono piu' lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un'attivita' necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori (ad esempio le industrie elettriche); le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo, ma che per reggersi hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore, ecc. (l'esempio piu' notevole di questo tipo di industrie sono in Italia ora le industrie siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l'importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato imponendo la politica per loro piu' vantaggiosa (es. industrie minerarie, grandi isti

tuti bancari, industrie degli armamenti). E' questo il campo in cui si dovra' procedere senz'altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti; b) le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprieta' e il diritto di successione hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converra' distribuire, durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gl'istrumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioe' ad una riforma agraria che, passando la terra a chi coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprieta' dei lavoratori, nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l'azionariato operaio, ecc.; c) i giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze f

ra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovra' dare la possibilita' effettiva di perseguire gli studi fino ai gradi superiori ai piu' idonei, invece che ai piu' ricchi; e dovra' preparare, in ogni branca di studi per l'avviamento ai diversi mestieri e alla diverse attivita' liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi pressappoco eguali, per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze tra le rimunerazioni nell'interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacita' individuali; d) la potenzialita' quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessita' con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l'alloggio e il vestiario col minimo di conforto necessario per conservare la dignita' umana. La solidarieta' sociale verso coloro che riescono socco

mbenti nella lotta economica dovra' percio' manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Cosi' nessuno sara' piu' costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori; e) la liberazione delle classi lavoratrici puo' aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere nella politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici specialmente del grande capitale. I lavoratori debbono tornare a essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni a cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovra' dare i mezzi giuridici per garantire l'osservanza dei patti conclusivi

; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che saranno realizzate quelle trasformazioni sociali. Questi sono i cambiamenti necessari per creare, intorno al nuovo ordine, un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento e per dare alla vita politica una consolidata impronta di liberta', impregnata di un forte senso di solidarieta' sociale. Su queste basi le liberta' politiche potranno veramente avere un contenuto concreto e non solo formale per tutti, in quanto la massa dei cittadini avra' una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante. Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarci, poiche', non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quello che tutti gia' sanno sulla necessita' di organi rappresentativi per la formazione delle leggi, dell'indipendenza della magistratura - che prendera' il posto dell'attua

le - per l'applicazione imparziale delle leggi emanate, della liberta' di stampa e di associazione, per illuminare l'opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilita' di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni e' necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento nel nostro paese, sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica: a) la Chiesa cattolica continua inflessibilmente a considerarsi unica societa' perfetta, a cui lo stato dovrebbe sottomettersi, fornendole le armi temporali per imporre il rispetto della sua ortodossia. Si presenta come naturale alleata di tutti i regimi reazionari, di cui cerca approfittare per ottenere esenzioni e privilegi, per ricostruire il suo patrimonio, per stendere di nuovo i suoi tentacoli sulla scuola e sull'ordinamento della famiglia. Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l'alleanza col fascismo andra' senz'altro abolito, per affermare

il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere ugualmente rispettate, ma lo stato non dovra' piu' avere un bilancio dei culti, e dovra' riprendere la sua opera educatrice per lo sviluppo dello spirito critico; b) la baracca di cartapesta che il fascismo ha costruito con l'ordinamento corporativo cadra' in frantumi, insieme alle altre parti dello stato totalitario. C'e' chi ritiene che da questi rottami si potra' domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Nello stato totalitario le Camere corporative sono la beffa, che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche pero' le Camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e nelle questioni piu' propriam

ente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente piu' potenti.Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali, incaricati di risolvere i problemi che piu' direttamente li riguardano, ma e' senz'altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiche' risulterebbe un'anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo potranno e dovranno essere attratti all'opera di rinnovamento, ma occorrera' che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non puo' avere vita concreta che nella forma assunta degli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllano ogni mossa nell'interesse della classe governante.

IV - LA SITUAZIONE RIVOLUZIONARIA: VECCHIE E NUOVE CORRENTI

La caduta dei regimi totalitari significhera' per interi popoli l'avvento della "liberta'" sara' scomparso ogni freno ed automaticamente regneranno amplissime liberta' di parola e di associazione. Sara' il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature che vanno da un liberalismo molto conservatore, fino al socialismo e all'anarchia. Credono nella "generazione spontanea" degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bonta' assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla "storia" al "popolo" al "proletariato" o come altro chiamano il loro dio. Auspicano la fine delle dittature immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni e' un'assemblea costituente eletta col piu' esteso suffragio e col piu' scrupoloso rispetto degli elettori, la quale decida che costituzione il popolo debba darsi. Se il popolo e' immaturo se ne dara' una cattiva, ma correggerla si potra' solo mediante una

costante opera di convinzione. I democratici non rifuggono per principio dalla violenza, ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilita', cioe' propriamente quando non e' piu' altro che un pressoche' superfluo puntino da mettere sulla i. Sono percio' dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo e' nel suo complesso convinto della bonta' delle istituzioni fondamentali, che debbono essere ritoccate solo in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono gia' essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nelle rivoluzioni russa, tedesca, spagnola, sono tre dei piu' recenti esempi. In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, con le sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianza di vecchia legalita' o sprezzandola, una quantita' di assemblee e rappresentanze popolari in cui c

onvergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha si' alcuni bisogni fondamentali da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie, con i suoi milioni di teste non riesce a raccapezzarsi, e si disgrega in una quantita' di tendenze in lotta tra loro. Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillita'; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non gia' la volonta' di

rinnovamento, ma le confuse volonta' regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sara' un peso morto nella crisi rivoluzionaria. Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarita' di assertori della liberta', mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pretotalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi. Il principio secondo il quale la lotta di classe e' il termine cui van ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale, specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finche' non erano in questione le istituzioni fondamentali della societa'. Ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessita' di trasformare l'i

ntera organizzazione della societa'. Gli operai educati classisticamente non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o di categoria, senza curarsi di come connetterle con gli interessi degli altri ceti, oppure aspirano alla unilaterale dittatura delle loro classe, per realizzare l'utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato fuorche' sugli operai, i quali cosi' privano le altre forze progressive del loro sostegno, e le lasciano cadere in balia della reazione, che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario. Delle varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell'ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuto la difficolta' di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per cio' si sono - a differenza degli altri partiti popolari - trasfor

mati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta quel che residua del mito russo per organizzare gli operai, ma non prende leggi da essi, e li utilizza nelle piu' disparate manovre. Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, piu' efficienti dei democratici; ma tenendo essi distinte quanto piu' possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie - col predicare che la loro "vera" rivoluzione e' ancora da venire - costituiscono nei momento decisivi un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre la loro assidua dipendenza allo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati senza scrupoli per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di perseguire una politica con un minimo di continuita'. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi fatalmente in rovina dietro i fantocci democratici adoperati, poiche' il potere si consegue e si mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacita' di rispo

ndere in modo organico e vitale alle necessita' della societa' moderna. La loro scarsa consistenza si palesa invece senza possibilita' di equivoci quando, venendo a mancare il camuffamento, fanno regolarmente mostra di un puro verbalismo estremista. Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti gia' cosi' profondamente pianificato le proprie rispettive economie che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioe' quale classe, dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa tra classi e categorie economiche. Con le maggiori probabilita' i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto. Ma anche i comunisti, nonostante le loro deficenze, potrebbero avere il loro quarto d'ora, convogliare le masse stanche, deluse, assumere il potere ed adoperarlo per realizza

re, come in Russia, il dispotismo burocratico su tutta la vita economica, politica e spirituale del paese. Una situazione dove i comunisti contassero come forza politica dominante significherebbe non uno sviluppo non in senso rivoluzionario, ma gia' il fallimento del rinnovamento europeo. Larghissime masse restano ancora influenzate o influenzabili dalle vecchie tendenze democratiche e comuniste, perche' non scorgono nessuna prospettiva di metodi e di obiettivi nuovi. Tali tendenze sono pero' formazioni politiche del passato; da tutti gli sviluppi storici recenti nulla hanno appreso, nulla dimenticato; incanalano le forze progressiste lungo strade che non possono serbare che delusioni e sconfitte; di fronte alle esigenze piu' profonde del domani costituiscono un ostacolo e debbono o radicalmente modificarsi o sparire. Un vero movimento rivoluzionario dovra' sorgere da coloro che hanno saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovra' sapere collaborare con le forze democratiche, con quelle comunist

e, ed in genere con quanti cooperano alla disgregazione del totalitarismo, ma senza lasciarsi irretire dalla loro prassi politica. Il partito rivoluzionario non puo' essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d'azione. Esso non deve rappresentare una coalizione eterogenea di tendenze, riunite solo transitoriamente e negativamente, cioe' per il loro passato antifascista e nella semplice del disgregamento del totalitarismo, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada una volta raggiunta quella caduta. Il partito rivoluzionario deve sapere invece che solo allora comincera' veramente la sua opera e deve percio' essere costituito di uomini che si trovino d'accordo sui principali problemi del futuro. Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque ci siano degli oppressi dell'attuale regime, e, prendendo come punto di partenza quello volta volta senti

to come il piu' doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connetta con altri problemi e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla schiera sempre crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell'organizzazione del partito solo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita, che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il lavoro necessario, provvedano oculatamente alla sicurezza, continua ed efficacia di esso, anche nella situazione di piu' dura illegalita', e costituiscano cosi' la solida rete che dia consistenza alla piu' labile sfera dei simpatizzanti. Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosita' in primissimo luogo a quegli ambienti che sono i piu' importanti come centri di diffusione di idee e come centri di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali piu' sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di do

mani, vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima e' quella che meno si e' sottomessa alla ferula totalitaria, che sara' la piu' pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i piu' giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale. Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze e' condannato alla sterilita', poiche', se a' movimento di soli intellettuali, sara' privo di quella forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sara' diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, sara' proclive a scivolare, di fronte alle difficolta', sul terreno della reazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioe' verso una restaurazione. Se poggera' solo sulla classe operaia sara' privo di quella chiarezza di pensiero che non puo' venire che dagli

intellettuali, e che e' necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarra' prigioniero del vecchio classismo, vedra' nemici dappertutto, e sdrucciolera' sulla dottrinaria soluzione comunista. Durante la crisi rivoluzionaria spetta a questo partito organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le forze rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto, non da una preventiva consacrazione da parte della ancora inesistente volonta' popolare, ma nella sua coscienza di rappresentare le esigenze profonde della societa' moderna. Da' in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle nuove masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato e attorno ad esso la nuova democrazia. Non e' da temere che un tale regime rivoluzionario

debba necessariamente sbocciare in un nuovo dispotismo. Vi sbocca se e' venuto modellando un tipo di societa' servile. Ma se il partito rivoluzionario andra' creando con polso fermo fin dai primissimi passi le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano veramente partecipare alla vita dello stato, la sua evoluzione sara', anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e percio' nel senso di una crescente possibilita' di funzionamento di istituzioni politiche libere. Oggi e' il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge cosi' diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell'attuale crisi della civilta' europea, e che percio' r

accolgono l'eredita' di tutti i movimenti di elevazione dell'umanita', naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo. La via da percorrere non e' facile ne' sicura, ma deve essere percorsa e lo sara'.

--- WinMMMR v2.10unr * uh, che messaggio intelligente!

 
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