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VI Congresso di Radicali Italiani: la relazione della segretaria Rita Bernardini
Il Congresso si è svolto a Padova, dal 1° al 4 novembre 2007.

Padova, 1 novembre 2007

Voglio ringraziare uno per uno i presenti a questo congresso. Vi voglio ringraziare perch̩ siete qui essendovi pagati il viaggio e il soggiorno e Рsoprattutto - avendo deciso di investire nel lavoro di questi 4 giorni le speranze di crescita e cambiamento rinunciando alle ferie, al riposo e intaccando una parte significativa del bilancio personale e/o familiare.

Da parte mia, di Elisabetta, di Maria Antonietta, della Direzione e della Giunta c’è stato in questo anno lo sforzo di organizzare il tempo comune di lavoro, di riflessione e di decisione. Tra lacune e inadeguatezze che sicuramente ci sono state soprattutto da parte mia, a vedere i risultati di energie nuove scoperte, di antiche energie riscoperte e valorizzate e, soprattutto della comune propensione ad includere risorse umane che si avvicinano, penso che gli esiti e le prospettive non siano del tutto negative. Lo stesso Comitato Nazionale che si è riunito per sei volte ha avuto una profondità di dibattito e di confronto che ha notevolmente aiutato tutto il nostro movimento.

Ci sono state da parte di alcuni valutazioni negative sulla nostra conduzione del partito. Forse questi compagni l’avrebbero voluta più corrispondente a determinati canoni di professionismo politico. Forse ci si rimprovera di governare il partito e la politica come si fa con la cucina e con la casa in generale – un compito, purtroppo, che raramente i maschietti vogliono assolvere, ma che sarebbe bene riguardasse tutti indipendentemente dal sesso. Eppure significa riassettare, risistemare, impostare le cose affinché i luoghi e gli spazi della politica siano praticabili e accoglienti per altri che da fuori di noi arrivino. Significa inventarsi luoghi e occasioni con il poco o il quasi niente che si ha a disposizione; non è così facile farlo quando impiegati e lavoratori sono ridotti numericamente all’osso. Ve lo dirà Elisabetta nella sua relazione. Però, così operando, si creano ogni volta le condizioni per le quali possano arrivare, magari in 15 giorni, o all’improvviso, energie nuove e vitali come lo sono state (e sono) quelle di Luca Coscioni e Piergiorgio Welby.

Questo vuol dire che va tutto bene? Che noi stesse siamo soddisfatte? Figuriamoci! No, vuol dire semplicemente che forse abbiamo individuato e praticato un metodo … una strada … che conosciamo i molti limiti dei mezzi e delle attrezzature con le quali possiamo percorrerla così come siamo ben consce di tutti gli ostacoli, i trabocchetti, le insidie, le tagliole, i macigni che potremo incontrare e che sicuramente incontreremo.

A questi compagni mi sento di chiedere: siete poi così sicuri che quest’anno sia stato un anno di “pochissimo” rispetto a quelli che l’hanno preceduto? Non so come funzionino i 13 cantieri di decidere.net, quello che so è che, appena eletta, ho provato ad affidare a Daniele Capezzone la questione “Economia”, che mi rispose che nel giro di un mese avrebbe fatto una proposta, ma poi abbiamo letto dei volenterosi e di tutte le altre cose alle quali ci siamo immediatamente iscritti, sistematicamente ignorati. Già da allora, probabilmente, pensava ad altro, “oltre”, come insegna il compagno Turci.

Pacchetto economia: era il mese d’Agosto quando Marco Pannella prendeva l’iniziativa di mettere al lavoro un certo numero di persone per varare una serie di proposte su Economia e Welfare da mettere a disposizione dell’iniziativa parlamentare e nostra, di Radicali Italiani. Ne è scaturito un pacchetto di mozioni, interrogazioni, proposte di legge. Daniele Bertolini, Roberto Cicciomessere, Michele De Lucia, Piero Capone, Valeria Manieri, Alessandro Massari con Welfare to Work e l’Associazione Luca Coscioni con i parlamentari radicali davano vita in pochi giorni ad un vero e proprio pacchetto di riforme che via via si si arricchiva di strumenti parlamentari attraverso i quali presentarle. Proprio due giorni fa 5 mozioni sono state depositate sui temi del mercato del lavoro, della riforma delle pensioni e del sistema degli ammortizzatori sociali, del debito pubblico e della politica di bilancio. Qui torna utile ricordare il rapporto di Emma Bonino con il Governo Prodi quando già a metà luglio Emma chiese al Presidente del Consiglio se il suo mandato, il suo permanere al governo “fosse opportuno o comunque compatibile con le posizioni conservatrici, quando non reazionarie della sinistra comunista e sindacale". Prodi le rinnovò la fiducia ma questo interrogativo è stato sempre ribadito fino ad oggi. E quando in occasione di un vertice di maggioranza sulla finanziaria a fine settembre, Marco volantinò una lettera di Radicali Italiani, Associazione Coscioni e Welfare to Work a proposito del protocollo su welfare da noi considerato un “compromesso” di riduzione del danno rispetto alla scomparsa dello scalone… Se, invece – si sottolineava nella lettera il disegno di legge sul welfare vedrà spostarsi in altra direzione i precisi paletti stabiliti dal protocollo, comunichiamo sin d’ora che ci riserviamo di presentare emendamenti di ripristino integrale della riforma Maroni sulle pensioni e di votare emendamenti presentati in questa direzione anche da parte di parlamentari che non fanno parte della maggioranza.”

Ci sono altri punti di quella presa di posizione nei confronti del Governo che vanno rimarcati: la centralità della riduzione del debito pubblico e della riqualificazione della spesa pubblica ma anche – si tratta di qualcosa che Roberto Cicciomessere sottolinea da mesi – la richiesta di un’azione rivolta a “combattere la vera povertà, aggravata dalla riduzione del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni dei lavoratori dipendenti”, con la segnalazione che “le famiglie povere si concentrano in quella parte della popolazione che non possiede un’abitazione e paga una fetta importante del suo stipendio, anche più del 50%, per l’affitto di una casa, non per l’Ici.”

Ed è a questo punto che possiamo collocare la proposta che Marco fa al Congresso e al quale dobbiamo una risposta che se fosse come mi auguro positiva non può limitarsi – come spesso accade – in un “ok” senza conseguenze politiche di iniziativa e d’azione.

No al salto nel buio, salviamo la legislatura, difendiamo il parlamento. Sono mesi che Marco “va parlando” di questa cosa sostenendola con la proposta /provocazione al nostro soggetto politico di dare priorità alle riforme economico-sociali, liberali, liberiste piuttosto che alle questioni laiche.

Personalmente mi ha sempre convinto in ambito radicale il fatto che in determinati momenti ci si converte tutti sul fronte più urgente, più maturo, più scardinante il muro oligarchico e partitocratico che abbiamo di fronte. Questo non vuol dire abbandonare gli altri fronti anche perché sono così persuasa che se è vero che il virus della religiosità – come dice Marco - sta ormai agendo efficacemente persino nei confronti del Vaticano, temo che i colpi di coda possano essere così pericolosi da minacciare l’esistenza concreta e quotidiana di vite umane, qui ed oggi.

Prendete l’ultima presa di posizione di Ratzinger che invita i farmacisti a fare obiezione di coscienza nei confronti di prodotti ritenuti abortivi o eutanasia. Silvio Viale, dirigente radicale che soprattutto su questi temi ha caratterizzato da sempre la sua militanza politica, ha subito ringraziato il pontefice per avere così aperto i lavori del nostro congresso aggiungendo felicemente che “diritti civili e diritti economici, sono entrambi temi di libertà nei confronti dei quali le catene dell'ipocrisia vaticana sono sempre state in agguato”. C’è da fidarsi di Ratzinger: di capitali, banche e profitti il Vaticano se ne intende così tanto … da poter fare prediche contro il capitalismo (degli altri) come ha fatto urbi et orbi il 23 settembre scorso.

Certo, tornando a Marco e alla sua proposta – forse nemmeno gli ascoltatori di Radio Radicale se ne sono accorti – fa un po’ amarezza che lui che l’ha avanzata per primo e da mesi, si trovi nella singolare condizione di essere d’accordo con se stesso plaudendo ai recenti articoli di Barbara Spinelli ed Eugenio Scalfari.

Convegno Ambiente

Convegno: ENERGIA & AMBIENTE, Scenari e prospettive per l'Europa e per l'Italia. Un avvio che ha avuto successo con una partecipazione esterna non solo di addetti ai lavori ma di cittadini comuni felici che i radicali riprendevano le questioni ambientali. Per un paio di mesi c’è stato al nostro interno un dibattito serrato, a volte aspro fra i compagni di Rientro Dolce e altre posizioni: ma non è stato il confronto fra gli utopisti da una parte e i realisti e i pragmatici dall’altra, semmai Luca Pardi, Giovanni De Pascalis e Mario Marchitti da una parte e Igor Boni e Antonio Bacchi dall’altra, nel momento del convegno e dell’incontro con altri da noi che volentieri hanno accettato il confronto si sono misurati con le riforme possibili e non più rinviabili come quella di un Piano Energetico nazionale, anzi europeo, che porti Italia ed Europa a fare scelte strategiche in campo ambientale ed energetico. Ora, nel concreto, si tratta di scegliere due o tre cose specifiche da mettere in atto.

Anagrafe degli Eletti

E’ una delle più importanti riforme della e per la democrazia. Corregge le pecche del proporzionale, consente al cittadino di controllare quale sia la vita effettiva dell’eletto (maggioritario). Soprattutto ciò che fa, come vota nelle assemblee elettive, quali proposte presenta, quante ne porta a termine. Mai nella storia dell’umanità, con i mezzi che abbiamo, c’è stata questa possibilità così dal basso. Le possibilità di oggi avrebbero costituito la felicità di Ernesto Rossi che aveva visto nella possibilità di controllo l’essenza stessa della democrazia.

Ora deve essere fatta: è alla portata anche di un movimento come il nostro; va coinvolto il territorio che sia quello di un comune o quello virtuale ma fatto di presenze umane che è Internet.

Le proposte che Sergio D’Elia è riuscito a far passare all’ufficio di Presidenza della Camera sulla riduzione dei costi della Politica e sulla possibilità di controllo da parte dei cittadini dell’attività dei singoli deputati sono un primo punto di partenza. Ma questa è la classica proposta radicale che può e deve riguardare ogni livello istituzionale.

Divorzio Breve

La lega Italiana per il Divorzio Breve, nata il 22 maggio, subito dopo la manifestazione del Coraggio Laico di Piazza Navona, con l’assunzione di responsabilità di Alessandro Gerardi e Diego Sabatinelli ha l’obiettivo di abolire il termine triennale che deve oggi intercorrere dalla separazione legale dei coniugi al divorzio in modo da rendere più celere, rapido e snello il passaggio giudiziario per giungere alla cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ha già raccolto le adesioni di importanti docenti universitari e avvocati molti dei quali impegnati in campo professionale su questo fronte come il matrimonialista Cesare Rimini e Wanda Lops. Fra i testimonial Adele Parrillo, compagna del regista Stefano Rolla ucciso a Nassirya, ed esclusa e respinta dalla cerimonia ufficiale perché non sposata. Ora l’obiettivo deve essere raggiunto: la legge potrebbe essere varata da questo Parlamento. Perché no? Chi si dovrebbe opporre: Berlusconi? Casini? Fini? Con quale faccia?

Informazione

L’analisi politica radicale ha avuto da sempre come caratteristica peculiare, direi genetica, la consapevolezza che, in assenza di un effettivo diritto dei cittadini a conoscere per deliberare, nessuno spazio di competizione democratica è possibile .

Non ci sono altri partiti o movimenti politici, in Italia almeno, che abbiano operato quanto noi per assicurare all’opinione pubblica il massimo della conoscenza.

Non mi riferisco solo a Radio radicale, la nostra università popolare, che da 30nni veramente dà voce a tutte le voci. Penso invece alle centinaia di iniziative che in questi decenni abbiamo intrapreso per affermare la legalità, e quindi la conoscenza, nell’informazione televisiva.

Anche in questo modo, oltre che con le riforme sociali che troppo spesso ci vengono disconosciute, abbiamo governato lo sfascio cui la partitocrazia ha costretto il Paese.

Essere diversi ha però un costo.

Ce l’ha spiegato bene Bruno Vespa, che con l’aiuto di Diego Galli e Michele Lembo ha sponsorizzato suo malgrado il nostro congresso. Con i radicali, i padroni dell’informazione non riescono ad avere “un rapporto normale”. Che tipo di normalità? Quella che emerge dalla telefonata intercettata con Sottile e Fini, dove il buon Vespa si danna per “confezionare” la trasmissione addosso all’ospite di riguardo?

Noi radicali, effettivamente, siamo un problema: non accettiamo di cucire addosso ai telespettatori la camicia di forza che il regime RAISET confeziona per loro ogni giorno.

Quella descritta da Vespa, però, non è la nostra unica singolarità.

Siamo l’unico partito italiano che, da 15 anni almeno, non ha avuto neanche 1 minuto di approfondimento dedicato alla sua vita interna.

Lo si è dato a tutti, persino ai fantasmi: ricordo, erano le politiche del 2001, una puntata di Porta a Porta interamente dedicata alla nascita del partito di D’Antoni, -chi era costui?- mentre noi radicali, che ci presentavamo soli contro i due poli, non avevamo accesso da nessuna parte.

Siamo proprio sicuri che ai cittadini italiani non interessi conoscere la specificità della galassia radicale, capace di raccogliere milioni di firme su decine di referendum, di condurre battaglie di portata storica come la moratoria sulla pena di morte, il tribunale internazionale sui crimini di guerra, di non aver avuto in 50 anni neanche un sospetto di corruzione?

Agli italiani è vietato sapere tutto questo, capire come vive, in quali situazioni si trova il più antico partito italiano esistente. Quando lo hanno saputo, d’altronde, il regime ha avuto veramente paura: nel 1993, ad esempio, con i quasi 40 mila iscritti che ne sono seguiti; o nel 1999, quando però l’informazione ce la pagammo cara, mettendo in gioco il nostro patrimonio per una campagna di spot che ruppe il muro di silenzio (e che portò lor signori, pochi mesi dopo, a vietare del tutto gli spot: hai visto mai, infatti, che un outsider dovesse fare breccia nell’opinione pubblica!).

Neanche la Rosa nel Pugno, il fatto nuovo delle ultime elezioni, ha meritato un approfondimento da parte del servizio pubblico; la Costituente socialista, invece, poche settimane fa è stata oggetto di una bella presentazione nella terza Camera di Vespa.

Per non parlare del PRT, che con le sue decine di parlamentari di diversi partiti iscritti rappresenta un unicum nel panorama internazionale.

Gli italiani invece devono essere convocati a reti unificate per acclamare la nascita del Partito, il PD: da giugno ad 14 ottobre, i telegiornali Rai, insieme a quelli di La 7 e Sky, hanno fatto vivere artificialmente le sedicenti primarie, contrabbandate come un appuntamento storico di rilevanza istituzionale.

L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, tardivamente e su nostra denuncia, ha riconosciuto che dare spazio solo ai favorevoli alla nascita del PD, senza far esprimere anche chi si opponeva, chi criticava o era stato escluso da quel progetto, è più vicino alla propaganda che all’informazione.

Il nostro è un Paese in cui le 55 presenze a Porta a Porta in cinque anni, insieme alle 13 apparizioni a Ballaro’, hanno promosso Fausto Bertinotti alla Presidenza della Camera; così come le 65 presenze di Mastella a Porta a Porta e le 7 a Ballaro’ hanno permesso all’Udeur di trasformarsi da forza locale a soggetto politico nazionale.

Marco Pannella, al contrario, negli ultimi 6 anni ha avuto accesso a PaP 5 sole volte, peraltro più della metà per ordine del Garante. Floris, l’enfant prodige della tv ulivista, addirittura mai una volta da quando conduce Ballaro’.

Con il video, includendo od escludendo, si promuovono o si boicottano politici, e quindi politiche.

La circolazione delle informazioni, delle idee, continua ad essere impedita dal ferreo controllo che le oligarchie dominanti esercitano sull’agenda setting, ovvero sulla scelta dei temi su cui l’opinione pubblica è ammessa a discutere e dei soggetti politici a cui è consentito ad essa rivolgersi. Un controllo che si fonda sulla sistematica violazione delle regole.

Nei 18 mesi successivi alle elezioni politiche del 2006, i telegiornali e le trasmissioni di approfondimento, con rare eccezioni, hanno impedito all’opinione pubblica di conoscere le istanze e le iniziative politiche condotte dai soggetti radicali.

Ciò è avvenuto tramite la costante marginalizzazione nei telegiornali; l’esclusione dai principali dibattiti e dalle più seguite trasmissioni di approfondimento politico; l’ostinata espulsione di Marco Pannella dall’approfondimento politico, insieme alla sostanziale censura nei confronti dei Segretari di Radicali Italiani e dell’Associazione Luca Coscioni; la ghettizzazione del Ministro Bonino nella specificità del suo ministero; l’utilizzo del termine “sinistra radicale”.

I TG hanno riservato agli esponenti radicali, rispetto al tempo di parola concesso ai partiti, quantità irrisorie di informazione: il Tg1 l’1,3% del tempo, il Tg2 lo 0,8%, il Tg3 l’1,1%, il tg4 lo 0,4%, il tg5 l’1,1%. Le trasmissioni di approfondimento, nell’ultimo anno ci hanno praticamente ignorato: i radicali hanno avuto lo 0% a Matrix, lo 0% ad Anno Zero, lo 0,4% a Porta a Porta, l’1,6% a Ballaro’.

Le poche apparizioni che ci sono state concesse, poi, hanno riguardato iniziative specifiche quali la lotta nonviolenta di Piergiorgio Welby e la campagna per la moratoria sulla pena di morte, ovvero su quel di più che i radicali fanno rispetto al posizionamento politico degli altri partiti.

Quando si parla di economia, di governo, di costi della partitocrazia, di giustizia, di temi etici, i radicali non devono parlare. Tanto da ingenerare l’illusione ottica che “ci occupiamo solo di diritti civili”.

Quando nel 1998 il Presidente della Commissione parlamentare di vigilanza Rai denunciò il genocidio politico e culturale del movimento radicale, dimostrò di aver compreso come la sistematica limitazione della nostra possibilità di comunicare all’opinione pubblica avesse un carattere strutturale, antropologico, tale per cui ad essere espulsa – perché temuta- è una cultura, prima ancora che una parte politica: la cultura della democrazia, della legalità, della laicità e dello stato di diritto.

Dieci anni dopo quella la denuncia, gli effetti di un simile trattamento, sempre volto alla deformazione dell’identità politica radicale, rischiano di avere la meglio sulle nostre capacità di resistenza.

In queste settimane abbiamo raccolto in un dossier quanto vi ho descritto (una sintesi di questo lavoro è a disposizione dei congressisti, e se ne discuterà nella commissione legalità) ed abbiamo denunciato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il comportamento criminale delle emittenti televisive italiane.

Ritengo però urgente, e lo propongo al Congresso, portare a conoscenza del Presidente della Repubblica, quale garante della Costituzione, il livello di non democrazia, di non stato di diritto, che l’Italia ha raggiunto. Chiedergli udienza, affinché intervenga per imporre l'immediato ripristino della legalità e dei diritti fondamentali dei cittadini italiani, a cominciare dai radicali, ed assuma le iniziative straordinarie volte al rientro nella legalità costituzionale e delle carte fondamentali dei diritti umani.

Farmacisti

Lo Stato italiano ha il diritto di scegliere quali e quanti soggetti a suo nome siano incaricati di organizzare e realizzare la distribuzione del farmaco dispensato in regime di convenzione con il SSN. Lo Stato non può però - perché contrario ai principi di libertà e democrazia economica - impedire ad un laureato ed abilitato alla professione di farmacista di aprire un proprio esercizio e dispensare farmaci, la cui vendita prevede comunque l’obbligo di ricetta medica.

Ancora più ingiustificato è impedire la vendita nelle parafarmacie di farmaci della cosiddetta fascia C che, sebbene non siano coperti dal SSN, possono essere oggi venduti solo nella farmacie convenzionate.

Le principali associazioni dei farmacisti non titolari e dei titolari di “parafarmacie” sono pronte a depositare un pacchetto di quesiti referendari pro-liberalizzazioni. Per chiedere, tra l'altro, l'abolizione della pianta organica delle farmacie - il 'numero chiuso' - e l'abolizione del prezzo fisso per i farmaci di fascia C. La Federazione esercizi farmaceutici (Fef) e l'Associazione nazionale parafarmacie italiane (Anpi), i cui Presidenti insieme a molti associati si sono iscritti a Radicali Italiani, sono infatti decise a presentare i referendum qualora la commissione Industria del Senato decidesse di sopprimere o abrogare l'emendamento di Sergio D’Elia al decreto Bersani approvato alla Camera e che consentirebbe la vendita fuori dalle farmacie dei farmaci di fascia C con ricetta.

Anche Radicali Italiani sono pronti a sostenere la battaglia referendaria dei farmacisti non titolari. E’ già pronto un quesito referendario abrogativo del sistema feudale della pianta organica delle farmacie, che verrà depositato in Cassazione un minuto dopo l'affossamento al Senato dell'emendamento D'Elia.

Rimaniamo in tema: la Bonino e gli ordini professionali

Il ministro Bonino ha proposto molto semplicemente che dall'Italia tutte le associazioni rappresentative delle professioni potessero partecipare a questi tavoli. Qual è il problema, direte voi? E' normale che sia così, se si incontrano i rappresentanti degli avvocati europei vanno i rappresentanti degli avvocati, se si incontrano, che so, i rappresentanti degli informatici vanno, anche dall'Italia, i rappresentanti degli informatici. Ebbene non doveva essere così. Secondo i nostri Ordini professionali, i nostri famigerati Ordini professionali aggiungo io, non si doveva aggiungere un posto a tavola per le associazioni delle professioni che da noi non sono regolamentate, mentre lo sono magari in altri paesi europei. Sicché dei criteri eventuali di riconoscimento delle qualifiche professionali di medico o di notaio in Europa avrebbero potuto parlare italiani, cioé loro, mentre di quelli relativi alle qualifiche professionali di tributarista, di informatico e delle altre decine di professioni che, bontà loro, non hanno l'Ordine o l'Albo, l'Italia non avrebbe dovuto mandar nessuno, per non dispiacere gli Ordini, andando, tra l'altro, contro lo spirito stesso della Direttiva europea, che riconosce e sollecita sempre più il coinvolgimento delle organizzazioni e associazioni professionali e contesta qualsiasi difesa corporativa che possa ostacolare la libera circolazione dei professionisti.

Emma non c'è voluta stare, chiaramente, ed è iniziato un braccio di ferro anche all'interno del governo, poi nelle Commissioni parlamentari, che ha portato a quella che un giornale ha definito "una spallata agli ordini" e cioé al fatto che a quel tavolo le associazioni di professioni non regolamentate potranno sedervisi, e tante altre cosette annesse, con buona pace di un sistema ordinistico come il nostro che non ha uguali in Europa. Sono molto contenta di annunciarvi che alcuni dei rappresentanti delle associazioni non regolamentate saranno in congresso a portare il loro saluto; in particolare, ringrazio Arvedo Marinelli, Presidente Nazionale Ancot (Associazione Nazionale consulenti tributari)

Comitato Radicale per la Giustizia Piero Calamandrei

E’ ormai attivo, con Giuseppe Rossodivita, Giandomenico Caiazza, Deborah Cianfanelli, Alessandro Gerardi, Michele Capano, Marco Beltrandi e Daniele Bertolini; ha già preparato la proposta di legge riguardante “distacchi” di magistrati negli organici dei ministeri (in special modo il Ministero della Giustizia) fatto oggi in manifesta violazione del principio costituzionale della separazione dei poteri. La proposta verrà presentata nel convegno che si terrà fra pochi giorni a Roma, che ci auguriamo abbia lo stesso successo di quello su energia e Ambiente.

La Rosa nel Pugno

Abbiamo puntato molto sulla Rosa nel Pugno per costruire insieme ai compagni socialisti una forza riformatrice, capace di contrapporsi alla sinistra massimalista e ad una sinistra che, nella sua storia, è stata spesso riformista solo a parole e per questo perdente di volta in volta nel confronto scontro che ha dovuto affrontare con il fascismo, il clericalismo, il comunismo. E alla Rosa nel Pugno rimaniamo legati non solo perché è stata a lungo in anni passati il simbolo elettorale dei radicali italiani e perché le siamo riconoscenti di essere tornati grazie ad essa ad avere una rappresentanza nel Parlamento italiano, ma anche perché continuiamo a credere in quel progetto, nei 31 punti di Fiuggi, nella necessità di una unità di laici, liberali, socialisti, radicali.

Le ragioni della crisi di questo progetto vi sono note. Non ripercorrerò le tappe di un dialogo impossibile, nel quale ho avuto l’impressione che l’inevitabile sbocco fosse deciso e precostituito a freddo. Si è parlato di un insuccesso elettorale che avrebbe decretato, imposto il fallimento del progetto politico. Dire questo significa non avere l’umiltà di riconoscere la difficoltà in cui versavano sia lo SDI che i radicali alla vigilia delle elezioni e sottovalutare grandemente gli sforzi compiuti per contrastare politicamente l’azione di estromissione messa in atto dalle due coalizioni (anche da quella di cui facevamo parte) nella fase decisiva del confronto politico elettorale. Nonostante questo, per la lotta politica che siamo stati capaci di mettere in campo, abbiamo superato il quorum alla Camera, ottenuto un gruppo parlamentare e, se non fosse stata violata la legge, se non fosse stata calpestata la lettera della legge, avremmo avuto anche una significativa rappresentanza in Senato. E in ogni caso è stato grazie al contributo determinante della Rosa nel Pugno, e quindi grazie al nostro apporto (visto che lo SDI faceva già parte del centro sinistra) che si sono potuti strappare i voti che hanno consentito all’Unione di ottenere una risicata maggioranza nonostante la dissipazione che la sua classe dirigente era riuscita a produrre della abbondante superiorità numerica percentuale che solo un mese prima poteva vantare nei confronti della Casa della Libertà.

La crisi si è formalizzata su due punti, sui quali ci è stato imposto un sorta di inaccettabile “prendere o lasciare”: la proposta di statuto di un partito unitario centralistico e verticale, che sapeva di vecchio e guardava al passato e in cui si sarebbero dovute dissolvere le organizzazioni radicali da una parte e dall’altra la richiesta di concedere alle organizzazioni territoriali di un siffatto partito – e quindi di fatto alle organizzazioni dello SDI, che a differenza dei radicali sono tradizionalmente strutturate intorno alle rappresentanze amministrative - l’utilizzazione del simbolo della Rosa nel pugno nelle elezioni regionali, provinciali, comunali: un disegno anche questo miope e perdente in un periodo di crisi degli assetti politici e di giustificata sfiducia nei vecchi strumenti della politica che esigono la ricerca di risposte nuove.

In realtà i compagni dello SDI hanno preferito riprendere da soli il progetto di recupero degli sforzi di unità con le altre componenti socialiste, cui anche noi avevamo partecipato prima delle elezioni. Quell’unità noi l’avevamo cercata insieme allo SDI, senza successo, ma l’avevamo cercata nel quadro di un progetto aperto anche ad altre forze politiche che potessero riconoscersi nella scritta che circonda il simbolo della Rosa nel Pugno (laici, liberali, socialisti, radicali). Ed abbiamo dato sostanza a questa apertura allargando le liste ai candidati d’onore: ricercatori, scienziati, medici, intellettuali della Associazione Coscioni e assicurando l’elezione, beninteso esclusivamente a spese della nostra rappresentanza parlamentare, a candidati provenienti dai DS (Turci e Buglio). Oggi invece mi sembra che l’unità socialista venga ricercata da Boselli sulla base di una ricerca identitaria che mi sembra guardare più al PSI del passato anziché ricercare risposte da dare al presente e al futuro. E l’insistenza sui temi della laicità non può nascondere il fatto che il nuovo progetto di unità socialista tagli fuori proprio i radicali, cioè coloro che l’intero arco dello schieramento politico italiano da destra a sinistra – unito solo in questo – si mobilita per espellere dalla vita politica italiana, colpevoli di aver dato sostanza e di aver reso culturalmente vincenti le battaglie laiche. Mi sembra inoltre illusorio il disegno di puntare tutto, come hanno fatto anche Emanuele Macaluso e Il Riformista, in questa chiave identitaria, sulla mancata affiliazione del nuovo Partito Democratico all’Internazionale socialista. E una illusione è stata quella di sperare che le forze che rifiutavano di entrare nel PD si unissero al progetto di unità socialista anziché come è accaduto e non poteva non accadere aggregarsi al massimalismo dell’estrema sinistra.

Io credo al contrario che ciò che giustamente abbiamo fatto, come radicali, con la candidatura di Pannella e di Bonino alle primarie del PD avremmo dovuto farlo insieme, socialisti e radicali, con molta maggior forza come Rosa nel Pugno per rivendicare la presenza a pieno titolo delle componenti liberalsocialiste e liberaldemocratiche all’interno del nuovo partito. Quella candidatura non è stata una provocazione come qualcuno ha stupidamente creduto, è stata una proposta e una offerta. Il partito democratico può riuscire o fallire ma almeno a parole nasce come forza di governo a vocazione maggioritaria, con l’intenzione almeno a parole di unificare le forze riformiste del paese non solo laiche e cattoliche ma anche socialiste e liberali. Nella crisi politica e istituzionale che il paese attraversa era ed è interesse di tutti che il nuovo partito non nascesse schiacciato dalla persistenza degli apparati organizzativi, finanziari e di potere e che riuscisse ad affermarsi come una forza politica non escludente ma inclusiva come sono il partito democratico americano e alcune grandi socialdemocrazie in Europa occidentale: quella di Zapatero, quella del New Labour, quelle del Nord Europa e, nei periodi più felici, quella tedesca. Per ora i due apparati l’hanno spuntata, hanno chiuso la porta e non solo a noi. Questa chiusura non può non essere in contraddizione con la grande partecipazione di massa che si è registrata alle primarie, anche se favorita da una mobilitazione mediatica senza precedenti e con caratteristiche quasi di regime. Noi continuiamo a sperare e, nella limitatezza delle nostre forze, continueremo ad operare perché questa contraddizione possa rivelarsi fertile e produttiva di fatti nuovi anziché essere frettolosamente liquidata con operazioni di potere.

Noi siamo stati governati, sia negli equilibri consociativi della cosiddetta prima repubblica, sia nella falsa alternanza della seconda, da coalizioni di partiti che hanno continuato a produrre forse più di prima lottizzazione, illegalità, occupazione a tutti i livelli delle istituzioni repubblicane, degenerazione partitocratrica della democrazia. Continuiamo a batterci perché dalle coalizioni di partiti si passi invece a grandi partiti in cui siano presenti diverse componenti sociali, diverse esperienze associative e sui temi più difficili come quelli etici da diverse componenti ideali, la cui convivenza sia assicurata non da una irreggimentata disciplina di partito, non dal compromesso a tutti costi, non dalla politica dei veti e delle interdizioni ma dal libero confronto e dal funzionamento di regole democratiche realmente operanti. e dal rispetto su tali questioni della libertà di coscienza non invocata a senso unico.

Il partito che non c’è (ancora)

Oggi due giornalisti, Arturo Gismondi sul Giornale di Sicilia e Stefano Menichini su Europa, hanno scritto due editoriali all’insegna del “se”: “Se i radicali si avvicinano al PD” e “Se solo Pannella…”

Scrive Menichini: scioglietevi […] non è che avete molte alternative. Quelli che hanno molte alternative è perché si mettono in vendita, e questo dei radicali lo dicono solo i nemici è[…] Le idee devono vivere nel mondo reale.

Quello di scioglierci è il problema di sempre, vorrei dirlo a Stefano: ce lo siamo sempre posto.

Attualmente la galassia consente di dire che poche migliaia di iscritti continuano a produrre cose, fatti, che non producono i grandi partiti. Dobbiamo capirlo e comprenderlo anche noi quando pensiamo al partito dei 200/400.000 iscritti. Perché il Partito Democratico deve poter federare realtà e interessi diversi e, per quanto ci riguarda, sicuramente quelle realtà vitali del Paese che sono marginalizzate perché non facenti parte delle oligarchie di potere. Nuovi sindacati, nuove associazioni che si formino attorno ad interessi non garantiti; donne, giovani, ma anche professioni non organizzate in “ordini”, imprenditori. Piccoli segnali li abbiamo avuti, sono in questo congresso. Da qui può partire il nuovo organizzarsi.

Quando sento parlare dei milioni delle primarie o dei milioni di partecipanti alle manifestazioni, penso ai referendum e alla possibilità concreta che abbiamo dato ai cittadini di fare le riforme: il contrario dei plebisciti, il contrario dell’antidemocrazia.

Legalità, 8 senatori

Investire il Presidente della Repubblica del ruolo di garante. C’è uno sconto che non vogliamo e non possiamo fare a nessuno: è quello sulla legalità e la democrazia.

La politica non si fa con i se… Ma quanti “se”, non noi ma gli italiani, dovranno continuare a mettere in conto se non arriva il momento in cui dalle più alte istituzioni si riconosce che in molte e documentate occasioni della vita della nostra Repubblica, come nel caso del mancato riconoscimento degli 8 senatori regolarmente eletti, si è straziata la democrazia?



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