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Cosa Nostra senza un capo

• da La Repubblica del 6 novembre 2007, pag. 1

di Attilio Bolzoni

Chi è il capo della mafia? Il capo non c'è. E non ci sarà ancora per lungo tempo a Palermo e in tutta la Sicilia. Il capo non c'è perché al momen-ìto sul mercato mafioso non c'è un boss che abbia influenza per diventarlo, per fare il padrone degli altri. Non c'è nei pensieri degli uomini d'onore, divisi in fazioni e avvelenati da rancori antichi, l'idea di avere un capo di tutti. Non c'è nelle strategie di una Cosa Nostra che in que­sti mesi non ha strategie.

 

E’ troppo spezzettata oggi la mafia, lottizzata. Più che un capo, la mafia siciliana sta cercando di ritrovare se stes­sa. Sbandata dalla cattura di Bernardo Provenzano e fiaccata dalle contrapposizioni fra Corleonesi e Palermitani, per la prima volta rischia di perdere il suo più importante elemento di­stintivo: la struttura verticistica. Rischia di perdere la Cupola, il suo governo. In altre parole ri­schia di perdere per sempre la voglia di un capo.

 

E' cambiata Cosa Nostra, ve­locemente. «Si rovista dentro e sta provando a capire se resterà quella che è sempre stata o cosa potrà mai diventare», spiega il procuratore nazionale Pietro Grasso. Intanto è già meno "ver­ticale" e più  “orizzontale" di qualche anno fa. Molte "fami­glie" e molti signorotti.

 

Ci sono boss che comandano sui loro territori e lì soltanto. E non riescono mai a imporsi altrove. Come era Salvatore Lo Piccolo nella Piana dei Colli pa­lermitana e nei paesi che si incontrano andando verso Trapa­ni. Come è ancora il latitante Domenico Raccuglia a Partinico e ad Altofonte. Come è Matteo Messina Denaro nella pro­vincia trapanese e in qualche borgata orientale di Palermo. E' lo stesso Matteo Messina Dena­ro che in molti indicano da un decennio come il nuovo Padri­no, il boss di tutti.

 

Tutti e tre eterni "aspiranti". A guidare mandamenti, Lo Picco­lo e Messina Denaro addirittura a dirigere tutta l'organizzazio­ne. Si sono arrampicati su per i gradini della gerarchia mafiosa ma alla fine sono stati sempre fermi, al palo. C'è sempre stato qualcuno che non li ha voluti più in alto. Troppi veti incrocia­ti, troppe invidie, troppi tradi­menti, troppe paure. Sono ri­masti pretendenti perenni, can­didati a sostituire prima Totò Riina e poi Bernardo Provenza­no più nelle indiscrezioni rilan­ciate dalla stampa che nella realtà mafiosa.

 

Nel frattempo, dietro di loro, è cresciuto un altro esercito. Cin­quemilasettecento mafiosi. Nuove generazioni. Nuovi equilibri. Nuove mire. E nuove facce e nuovi nomi.

 

Avete mai sentito parlare di Filippo Annatelli? E di Enzo Ca­scino? Dei fratelli Badagliacca? Di Angelo Monti? Sono tutti uo­mini d'onore sconosciuti, boss che oggi dettano legge nella città di Palermo. C'è una nuova map­pa del potere mafioso che emer­ge da rapporti dei carabinieri, documenti di polizia e analisi della Dia, una "pianta" di Cosa Nostra che ha suddiviso Paler­mo in 8 zone, otto mandamenti. A loro volta sui mandamenti so­no distribuite 27 famiglie. E ciascuna di loro ha un nuovo "rap­presentante" e alcuni sottocapi.

 

Eccoli, uno per uno, i nomi dei nuovi boss di Palermo.

 

Cominciamo dal manda­mento di Pagliarelli, il più vicino ai Corleonesi "carcerati" come Totò Riina e Leoluca Bagarella.

 

Il "reggente" è Gianni Nicchi, che ha appena 26 anni ma ha già fatto l'"ambasciatore" di Cosa Nostra siciliana dall'altra parte dell'Atlantico per incontrare i trafficanti del New Jersey. Ha due vice che si chiamano Enzo Cascino e Michele Oliveri. Ci sono quattro "famiglie" sotto il controllo di Pagliarelli. Quella del Villaggio Santa Rosalia gui­data da Salvatore Sorrentino, quella di Borgo Molara guidata da Giuseppe Cappello, quelle di corso Calatafimi e Mezzomonreale guidate da Filippo Anna­telli e Pietro Badagliacca.

 

A Porta Nuova, dove una vol­ta comandavano boss storici come Pippo Calò, adesso ci sono Tommaso Lo Presti e Antonino Lauricella. Si chiama Salvatore Pispicia il capo di Palermo Centro, Angelo Monti quello del Borgo Vecchio. Ma quanto du­reranno questi nuovi e giovanis­simi capi? Quanto per esempio durerà Angelo Monti? Era co­gnato di Nicola Ingarao, il capo mandamento di Palermo cen­tro fino a quando nel giugno scorso lo uccisero per «fare la pace», per favorire il rientro in Sicilia degli Inzerillo e degli "americani" che erano fuggiti nella guerra di mafia degli Anni Ottanta.

 

E quanto durerà Giovanni Marciano, appena nominato capo di Passo di Rigano? Quan­to durerà se gli Inzerillo di Passo di Rigano decideranno di ri­prendersi un giorno o l'altro la loro borgata?

 

Alla Noce, dove dieci anni fa spadroneggiavano i Ganci, c'è Pieruccio Di Napoli. A Malaspina c'è Salvatore Gottuso. Ad Altarello di Baida c'è Francesco Picone. Un elenco in gran parte inedito.

 

Con spostamenti in massa di uomini d'onore da uno schiera­mento all'altro, con «famiglie» soppresse o accorpate ad altri mandamenti, con alleanze tan­to azzardate quanto incerte.

 

La mafia di Palermo sta cer­cando di riorganizzarsi, di ristrutturarsi e tornare ricca e po­tente come un tempo. Ci riu­scirà? Di sicuro è in una fase de­terminante per la sua stessa sopravvivenza. E decisiva sarà la posizione che prenderanno nei prossimi mesi quei "carcerati" — i Riina e i Bagarella, i Graviano e i Madonia — quelli sepolti dagli ergastoli nelle carceri speciali.

 

Avranno ancora il peso per dare ordini a quelli che stanno fuori? E quale «linea» suggeri­ranno, quale strada indicheranno dopo che per quasi due de­cenni hanno fatto sprofondare la loro Cosa Nostra nel delirio stragista? La partita è tutta aper­ta. Dopo la cattura di Salvatore Lo Piccolo è probabile che ci sa­ranno altri morti a Palermo. Operazioni militari per riasse­stare equilibri o veri e propri raid per far divampare una guerra già annunciata. Dipenderà da loro, dai «carcerati». E dagli altri, gli «americani». In una Palermo così irrequieta, come potrebbe­ro quei cinquemilasettecento uomini d'onore eleggere un so­lo capo?

 

Cosa Nostra formalmente non ce l'ha da 23 anni. L'ultimo, nominato dalla Commissione o Cupola, è stato Totò Riina.

 

Sulla carta è ancora lui il capo dei capi della mafia siciliana. Mai sostituito. Mai eletto un successore neanche dopo la sua cattura avvenuta nel gennaio del 1993. In realtà tre anni dopo però, nel 1996 (data ricavata dalla decifrazione dei suoi "pizzini" ritrovati), il comando è passato "naturalmente" a Ber­nardo Provenzano, l'altro boss di Corleone che poi ha governa­to fino ali'11 aprile dell'anno scorso.

 

Il resto è cronaca di questi me­si. Schermaglie, vendette, spia­te, qualche omicidio che gli investigatori hanno definito «operazioni chirurgiche». Cosa accadrà adesso, a Palermo nes­suno può dirlo. Si può solo az­zardare qualche ipotesi. E scor­gere da lontano — come raccon­tano negli uffici investigativi — la nuova "classe dirigente" ma­fiosa della Sicilia negli anni prossimi venturi.

 

Non un solo capo. Ma tanti capi.

 

C'è chi punta su una terna, giurano che saranno famosi. Tutti e tre insieme questi «bravi ragazzi» oggi non arrivano a 90 anni. Ilprimo è quel Gianni Nic­chi della «famiglia» di Pagliarelli, classe 1981, ricercato da quat­tordici mesi e già impegnato in missioni importanti come quel­la di tenere i contatti con l'Ame­rica. Il secondo è Pietro Tagliavia, classe 1978, rampollo della "famiglia" di Corso dei Mille. Il terzo è Salvo Riina, classe 1977, secondogenito dello zio Totò, arrestato sei anni fa e fra qual­che settimana in libertà. La Cas­sazione gli ha annullato la con­danna. Forse saranno proprio loro il futuro di Cosa Nostra.


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