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Il "vuoto" liberale

1 settembre 2005

di Luigi Castaldi

Nel corso della Conversazione settimanale con Marco Pannella andata in onda su Radioradicale domenica 28 agosto, Massimo Bordin ha fatto un’osservazione estremamente interessante su un passaggio dell’intervista a Roger Scruton pubblicata appena due giorni prima dal Foglio (26.8.2005 – pagg. II-III). Scrittore, filosofo, giornalista e blogger, Roger Scruton è il rappresentante d’una delle posizioni più reazionarie e illiberali del conservatorismo inglese, una grattata di pecorino sui rigatoni del neoclericofascismo nostrano. Rilassatevi, non era indispensabile sapere chi fosse Scruton. Sì, è vero, il Foglio lo ha presentato come “l’anima culturale della Thatcher Revolution”, con un virgolettato che avrebbe potuto farvi credere che quel titolo gli fosse universalmente riconosciuto di qua e di là della Manica. Non è così: quella definizione gli è stata data, e appena qualche mese fa, a Thatcher già defunta, dalla rivista Tempi di Luigi Amicone, e dunque vale quanto l’Onorificenza dell’Ordine dello Scolapasta; nessun altro s’è mai sognato di riprenderla, né prima né dopo, se non appunto, ora, il Foglio; e nel modo che s’è detto, con quel virgolettato che per poco non vi faceva venire i sensi di colpa (“come, signora mia, non conosce il Roger?”). Individuando in alcuni passi di quest’intervista a Roger Scruton la dominante armonica di uno dei leitmotiv propagandistici che ultimamente gli organi di stampa del centrodestra propongono come  pressante suggestione, Massimo Bordin ha detto: “Questo filosofo inglese […] parla del ‘vuoto liberale’: del nichilismo. Però, lo chiama ‘vuoto liberale’ e il termine ‘liberale’ – non più solo ‘liberista’ – è ormai invalso […] in accezione negativa anche sui giornali del centrodestra”.

Ecco, per discutere della deriva culturale di questo centrodestra che l’altrieri voleva fare la “rivoluzione liberale”, converrà partire proprio da colui che il Foglio ci ha presentato come “il grande inquisitore della decadenza” e, addirittura, come “uno dei pochi pensatori viventi in grado di lacerare tabù e scomporre veli” (qui, probabilmente, si mirava al brivido). In realtà, nel caso di Roger Scruton, siamo di fronte al dandy un po’ bislacco o poco più, di fronte all’ennesimo intellettuale apocalittico e spocchiosetto che, non avendo avuto dalla Modernità tutto quello che pensava di meritare, s’è prontamente rifugiato nella Tradizione (nella sua personale idea di Tradizione), e da quei merli eburnei scaglia frecce intinte nel disgusto per il marcio che – sapete? – è intrinseco all’uomo dalla notte dei tempi, e che la Modernità ha portato a putrefazione. Siamo alla sostanza-base d’ogni moralismo di stampo elitario ed antidemocratico: è la mistura di luogo comune (“chi lascia la via vecchia per prender quella nuova…”) e di logore categorie giusnaturalistiche visitate da Dio (dal Dio che Roger Scruton ha creato dal fango, poi dandogli il suo alito). Non è la prima volta: sempre più spesso, ormai, il Foglio prende un caso clinico e ce lo presenta come grande pensatore. Sono inciampato in un eccesso, dicendo “caso clinico”? Vi proporrei uno stralcio autobiografico del nostro: “Anche quando sono inserito in una determinata cerchia, o in un determinato contesto sociale, faccio sempre le cose sbagliate che destano immediatamente l’ostilità nei miei confronti. Questo potrebbe esser dovuto al peso che sulla mia esistenza ha avuto la disapprovazione paterna, enorme, e a quanto questo possa aver avuto influenza nella formazione della mia sensibilità”. Bisognoso di cure, in Italia trova il curatore.

Il Foglio, pudicamente, ha taciuto sulle tante indecenze scritte in passato da Scruton, perché quel fesso del lettore del centrodestra potrebbe poi non essere del tutto fesso, e così ha riportato solo quelle poco oltre il decente, perché c’è un’oscenità che ha un suo fascino se sa giocare bene il “vedo e non vedo”. Basta andarle a leggere dai libri e dagli articoli di Scruton, queste perle. Neanche ieri, “questo lanciatore di aghi cinesi” (sic!) ha scritto che “senza religione, la legge e la moralità perdono la loro autorità”. Ancora digeribile? Aspettate, questo è soltanto lo stuzzichino prima dell’antipasto. Perché, certo, scrive Scruton, da questo deriverebbe il “danno principale arrecato dal liberalismo alla società” moderna, cioè quello di aver inferto un colpo micidiale alla “credenza religiosa”, ma, in fondo, anche “coloro che mirano a una rinascita religiosa” (i conservatori europei) non si salvano: in genere, accusa il nostro, hanno il difetto “di non farsi galvanizzare dalle immagini dei crociati, dell’Inquisizione, degli eretici che bruciano”. Mammole, non sanno che si perdono a farsi galvanizzare a quel modo. Mentre invece “i conservatori americani […] stanno cominciando a riconoscere il danno fatto al loro paese dal pregiudizio liberale sulla vita e sui così detti ‘diritti’. Ormai sanno che il crimine, le droghe, il divorzio, tutto proviene da una sola causa: l’incapacità di saper dare il dovuto riconoscimento a quei doveri che sono più forti del desiderio”. Ah, quelli sì che sono uomini veri.

Il Foglio ovviamente non poteva fare a Scruton un ritratto a 360 gradi. Da un certo punto di vista il soggetto è davvero male utilizzabile come testimonial delle battaglie culturali di Ferrara; ad esempio,  uno che ha scritto che “il bambino è un ponte fra l’animale e la persona; è la prova che, qualunque sia la nostra condizione finale, noi cominciamo la vita come animali e diventiamo persone soltanto attraverso un processo lento che affatto elimina, ma tutt’al più ‘reprime’, la nostra natura essenziale” – puoi portartelo dietro come testimonial nel tuo tour “Fratello embrione, sorella verità”? Per essere digeribile lo stravagante professorino inglese doveva essere “cucinato”, e il Foglio indubbiamente lo ha “cucinato” ad arte: “chiosatore inattuale”, “sa usare l’eleganza come pudore”, “un romantico attardato salvato dal cinismo”, “stilista rarissimo”, “un corrosivo armato di disincanto”… Mi fermo, sennò vi viene voglia di fidanzarvici. Va bene, mi si dirà, ma almeno concedi al Foglio di averci fatto conoscere un pensatore a suo modo originale, contribuendo in modo forse provocatorio, ma intelligente, al dibattito su temi che oggi sono sul tappeto. Ecco, lo sapevo, vi siete fatti prendere per il culo un’altra volta dal vostro Giulianone.

Punto primo, Roger Scruton non è una scoperta: prim’ancora che Tempi, Il Sole 24 Ore ne ha abbondantemente parlato nel 2000 e nel 2002. E, senza pompargli tanto fumo intorno, Mario Ricciardi scriveva: “L’idea di fondo di Scruton è che sociali­smo e liberalismo dipendono entrambi per la loro plausibilità da un resoconto inadeguato della natura umana, e in particolare dal man­cato riconoscimento dell'importanza del lega­me sociale per una vita dotata di significato.  Conservatori e liberali sono alleati solo conti­genti, perché entrambi si oppongono alle uto­pie totalitarie.  Ma quando l’enfasi liberale sulla libertà di scelta degli individui come valore fondamentale li porta a sostenere politiche che minacciano i presupposti stessi della vita comune, le strade devono dividersi”. Onesto e compendioso, senza riempire due enormi paginoni. Nei quali, per giunta, si fa imperdonabile reticenza sulla più eroica delle gesta scrutoniane. Il Foglio ce l’ha presentata a questo modo: “Se ne andrà in Virginia il prossimo anno, ha chiuso con la campagna inglese che ha bandito la caccia alla volpe”. Messa così, sapreste dire di che si tratta? Vi risparmio la fatica: Roger Scruton ha fatto disobbedienza civile perché in Inghilterra venisse conservata la cavalleresca usanza della caccia alla volpe, salvo poi presentare al giudice la questione in questo modo: “Una volpe? Pensavo fosse un topo”. Ohi, liberali, non è un’allegoria: è accaduto veramente (Corriere della Sera, 18.2.2005).

Punto secondo, non si mette in dubbio che il Foglio abbia davvero intervistato Roger Scruton, ma evidentemente quel mattacchione ha risposto alle domande del povero Meotti ripetendogli interi spezzoni del suo “Why I became a conservative” (The New Criterion, vol. 21, n. 6, febbraio 2003). Grazie al Foglio per la traduzione dalla lingua originale, per quanto certi rabbrividenti aggettivi della lingua madre siano stati pietosamente edulcorati in un italiano da oratorio parrocchiale. Non si mirava al brivido?

Bravo Bordin: “Questo filosofo inglese […] parla del ‘vuoto liberale’: del nichilismo. Però lo chiama ‘vuoto liberale’ e il termine ‘liberale’ – non solo ‘liberista’ – è ormai invalso […] in accezione negativa anche sui giornali del centrodestra. Che ne pensi?”. La domanda era posta a Marco Pannella, ma in realtà dovrebbe essere posta a quei liberali che ancora s’illudono di poter tessere la loro esile ragnatela in qualche angoletto buio della Cdl o intrattenendosi a chiacchierare del più e del meno con Giuliano Ferrara. Potremmo qui riformularla in un altro modo. E’ quello che al prossimo Comitato Nazionale dei Radicali Italiani faccio conto di domandare ad uno per tutti di quegli amici radicali che ancora s’attardano a cercare un punto saldo nel friabile di una sponda ormai marcia, per credersi pontieri. Chiederò: caro Benedetto Della Vedova, ma dove t’arrischi a metter piede, col “vuoto liberale” che ti porti dentro?



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