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mar 23 apr. 2024
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Una denuncia clamorosa, un articolo-fantasma

Una denuncia clamorosa, un articolo-fantasma. Ma nessuno ne parla, meglio fingere di non sapere.

Nelle edicole attorno al Vaticano di mercoledì 7 settembre, le copie de “Il Manifesto” sono andate a ruba, fin dalle prime ore del mattino. E nelle rassegne stampa che portate sulle scrivanie che contano, a Città del Vaticano, quell’articolo compariva con evidenza. Qualcuno, ci ha assicurato chi per mestiere segue quel che accade in quei palazzi, ma non ne ha potuto scrivere, lo ha letto con una punta di malcelata soddisfazione, altri invece hanno represso a fatica fastidio e irritazione. Come sia, la consegna ferrea, è stata quella del silenzio, ed è stata rigorosamente osservata. L’articolo apparentemente non ha avuto conseguenze, come non fosse mai stato pubblicato; e tuttavia, c’è chi ha ragionato: “Da un male cerchiamo di ricavarne un bene”. Bene per chi, e quale, non sapremo dire; e neppure è detto che quando gli effetti di questo “bene” saranno evidenti, saranno collegabili a questo “male”. I tempi d’oltretevere non sono certo quelli della cronaca. Ci è sembrato comunque utile riproporre l’articolo che tanto silenzioso scalpore ha provocato. E’ stato stato scritto da Slavoj Zizek, che “Il Manifesto” presenta così: “Si è laureato in filosofia a Lubiana. Dopo la laurea, si è trasferito a Parigi dove ha frequentato i seminari di Lacan. Saggista prolifico come pochi altri, è uno dei mattatori di alcuni dei siti più “radicali” di Internet. Tra le sue opere tradotte in italiano: “Il grande Altro” (Feltrinelli), “Il soggetto scabroso»(Raffaello cortina), «Benvenuti nel deserto del reale” (Meltemi), “Il godimento come fattorepolitico” (Raffaello Cortina), “Tredici volte Lenin» (Feltrinelli), “L'isterico sublime” (Mimesis), “L'epidemia dell'immaginario” (Meltemi); “Irak. Il paiolo in prestito” (Milano);Distanza di sicurezza. Cronache del mondo rimosso” (Manifestolibri); “America oggi. Abu Ghraib e altre oscenità” (Ombre corte). Il prossimo libro di Zizek, pubblicato da Meltemi in ottobre si chiama “My name”.


Ed è un piccolo dossier, quello che offriamo oggi, crediamo interessante. Oltre all’articolo-fantasma di Slavoj Zizek, riportiamo una lunga intervista rilasciata da Maurizio Turco, animatore di Anticlericale.net a partire da un caso clamoroso di censura e rimozione: la messa in stato di accusa da parte di una corte di giustizia americana di Joseph Ratzinger per complicità con alcuni sacerdoti sotto processo per di abusi sessuali.

Segue un significativo brano di un libro recentemente pubblicato dalle edizioni Kaos, “Senza misericordia”, biografia spietata e che nulla concede all’attuale pontefice Benedetto XVI, il capitolo è significativamente intitolato. “Peccati di sesso, sessismi e sessuofobie”. Si parla, tra l’altro, del caso di padre Marcial Maciel Degollado, il fondatore dei Legionari di Cristo, accusato di abusi sessuali nei confronti di minorenni, una vicenda anch’essa insabbiata; e due articoli pubblicati dall’Espresso, uno nel 2002, l’altro quest’anno, che ricostruiscono la vicenda. Letture, crediamo, per quanto deprimenti, utili e istruttive.


L’immunità sull’altare del peccato

di Slavoj Zizek

da “Il Manifesto” 7 settembre, pag.10


La trasgressione come elemento rassicurante delle istituzioni ecclesiastiche
In Austria, Irlanda, Croazia, Italia e Stati uniti, la chiesa cattolica ha affrontato gli episodi accertati di abusi sessuali da parte di sacerdoti come il socialismo reale ha affrontato la corruzione di funzionari statali. Li ha rimossi dall'incarico per non sottoporli al giudizio della legge terrena. Ma la pedofilia documentata svela invece che per la chiesa i peccatori in abito talare sono un fattore indispensabile alla coesione interna

Sulla Chiesa cattolica in Croazia incombe uno scandalo imbarazzante: nell'orfanotrofio Alojzije Stepinac gestito dalla Caritas a Brezovica, vicino Zagabria, sono stati scoperti casi di gravi abusi sessuali. Le Organizzazioni non governative avevano cominciato a richiamare l'attenzione su di essi già nel 2002, quando al loro telefono amico giunsero telefonate disperate su pesanti e sistematici abusi verbali, fisici e sessuali su bambini. L'allora ministro del lavoro e del welfare, un membro dell'ex partito comunista che guidava la coalizione al governo, decise di bloccare gli interventi fornendo in seguito una spiegazione di deprimente sincerità: «Se avessi fatto qualcosa o avessi chiuso l'orfanotrofio, mi avrebbero crocifisso come il comunista cattivo che vuole sopprimere la Chiesa». Alla fine sono stati raccolti elementi sufficienti per l'incriminazione, la polizia ha cominciato a indagare, e sulla stampa si sono moltiplicati gli articoli. Com'era prevedibile, secondo i rappresentanti della chiesa lo scandalo sarebbe scoppiato perché i «media anticattolici» cercavano una notizia negativa da pubblicare per compensare l'informazione favorevole alla chiesa negli ultimi giorni di vita di Giovanni Paolo II. Jelena Brajsa, la direttrice dell'orfanotrofio, per molto tempo ha continuato a sostenere che nell'orfanotrofio si erano verificate alcune «situazioni sessuali», ma che erano «normali», proprio come picchiare i «bambini indisciplinati» sarebbe «un normale elemento del processo educativo».


La donna ha negato risolutamente che il suo staff avesse abusato sessualmente dei bambini. Protetta dalla Chiesa e dai responsabili della Caritas, ha assunto un atteggiamento tracotante e ha detto che «negli orfanotrofi cattolici lo stato non ha niente su cui indagare». A suo parere «le ispezioni negli orfanotrofi cattolici sono come la censura della messa da parte dei funzionari statali».

Alla fine non è stato più possibile seguire questa linea difensiva. Sono stati rinvenuti dei documenti comprovanti che Brajsa sapeva degli abusi ma ha cercato di coprire lo scandalo per proteggere la propria reputazione e quella della chiesa cattolica. Quando il procuratore della contea di Zagabria l'ha accusata di «intralcio alle indagini», la chiesa ha fatto ricorso a una soluzione «elegante»: Brajsa è stata sollevata dal suo incarico per ragioni di salute e ricoverata in ospedale. La solita storia che, a parte il sapore post-comunista, sarebbe potuta avvenire ovunque, negli Usa o in Irlanda, in Polonia o in Austria - con una differenza significativa: non abbiamo a che fare con il tipico caso dei preti pedofili, dei preti che abusano dei ragazzi loro affidati, ma con esponenti della chiesa che hanno fatto da intermediari fornendo (soprattutto) ragazze indifese a uomini più grandi, esterni al collegio (o quantomeno tollerando questo tipo di abuso). È cruciale non confondere questi due diversi tipi di abuso.

I preti (e, più spesso, le suore) come mediatori e fornitori di servizi sessuali sono un elemento importante della mitologia cattolica sotterranea, si pensi alla figura del prete (o della suora) come detentore ultimo della saggezza sessuale. Nel film diretto da Rober Wise Tutti insieme appassionatamente Maria, non riuscendo ad affrontare la sua attrazione sessuale verso il Barone von Trapp, scappa al monastero. In una scena memorabile, la Madre Superiora la convoca e le consiglia di tornare dalla famiglia von Trapp per cercare di chiarire la sua relazione con il Barone. Le dà questo messaggio in una strana canzone, «Scala ogni montagna!», il cui sorprendente leitmotiv è: «Fallo! Corri il rischio e prova tutto ciò che vuole il tuo cuore! Non permettere che considerazioni di poco conto ti sbarrino la strada!»

Il potere misterioso di questa scena risiede nella sua inattesa esibizione dello spettacolo del desiderio, che la rende letteralmente imbarazzante: la persona da cui ci aspetteremmo una predica sull'astinenza e la rinuncia si rivela una fautrice della fedeltà al desiderio. Significativamente, quando Tutti insieme appassionatamente uscì nella Jugoslavia (ancora socialista) della fine degli anni `60, questa scena - i tre minuti di questa canzone - fu l'unica parte del film ad essere tagliata. L'anonimo censore socialista mostrò così la sua profonda percezione del potere veramente pericoloso dell'ideologia cattolica: lungi dall'essere la religione del sacrificio, della rinuncia ai piaceri terreni, il cristianesimo offre un contorto stratagemma per indulgere nei nostri desideri senza doverne pagare il prezzo, per goderci la vita senza il timore che alla fine ci attendano la decadenza e il dolore. C'è dunque un elemento di verità nella storiella su qual è la preghiera ideale di una ragazza cristiana alla Vergine Maria: «O tu che hai concepito senza peccare, permettimi di peccare senza dover concepire!». Nel funzionamento perverso del cristianesimo, la religione è evocata con successo come un salvacondotto che ci consente di goderci impunemente la vita.

Qui abbiamo il sottofondo osceno dello scandalo di Brezovica: tollerare le trasgressioni sessuali, e persino istigare ad esse, come corruzione per chi si sottopone al rituale religioso. Questi fatti, comunque, non sono uguali alla pedofilia dei preti: quest'ultima è inscritta in modo molto più profondo nell'identità stessa della chiesa come istituzione. Ciò che rende questi casi di pedofilia così disturbanti è il fatto che essi non sono avvenuti solo negli ambiti religiosi, che costituiscono una parte integrante del fenomeno e vengono sfruttati direttamente quali strumenti di seduzione. Come ha osservato nella sua penetrante analisi Gary Wills, egli stesso un cattolico critico: «La tecnica seduttiva sfrutta la religione. Quasi sempre, come preliminare, viene usata una preghiera di qualche tipo. I luoghi stessi dove avviene la molestia sono carichi di religione: la sacrestia, il confessionale, la canonica, le scuole e le associazioni cattoliche con le immagini sacre sui muri. (...) Una combinazione della rigidissima educazione sessuale della Chiesa (ad esempio, sul fatto che la masturbazione è un peccato mortale di cui anche un singolo episodio, se non confessato, può spedire la persona all'inferno) e di una guida che può liberare la persona da un insegnamento inesplicabilmente oscuro grazie ad eccezioni inesplicabilmente sacre. (Il predatore) usa la religione per sancire ciò che intende fare, anche definendo il sesso come parte del suo ministero sacerdotale».

La religione non è semplicemente invocata per fornire il brivido del proibito, per accrescere il piacere facendo del sesso un atto trasgressivo. Al contrario, il sesso è presentato in termini religiosi, come cura religiosa del peccato (della masturbazione). I preti pedofili non sono dei liberal, non seducono i ragazzi pretendendo che la sessualità gay sia salutare e consentita. Essi sostengono dapprima che il peccato confessato dal ragazzo (la masturbazione) è davvero mortale e poi, come procedimento in grado di «guarire», propongono atti gay (ad esempio, la masturbazione reciproca): ciò che non può che sembrare un peccato ancora più grande. La chiave sta in questa misteriosa «transustanziazione», per mezzo della quale la stessa legge che ci fa sentire colpevoli quando commettiamo un peccato ordinario ci impone di commettere un peccato molto maggiore: l'unico modo di vincere il peccato è attraverso un peccato più grande.

La chiesa cattolica può contare su (almeno) due livelli di simili regole, non scritte e oscene. Per prima cosa c'è, naturalmente, l'infame Opus Dei, la «mafia bianca» della Chiesa, l'organizzazione (mezzo)segreta che incarna in un certo qual modo la pura legge al di là di ogni legalità positiva: la sua regola suprema è l'obbedienza incondizionata al Papa e la spietata determinazione a operare per la chiesa, mentre tutte le altre regole sono (potenzialmente) sospese. I suoi membri, il cui compito è penetrare nei circoli politici e finanziari ad alto livello, tengono segreta la loro identità di Opus Dei: essi sono effettivamente «opus dei», «opera di Dio».

Poi ci sono tutti i casi di molestie sessuali sui bambini da parte di preti, talmente diffusi dall'Austria e dall'Italia fino all'Irlanda e agli Usa che si può effettivamente parlare di un'articolata «controcultura» all'interno della chiesa, con il suo sistema di regole nascoste. (E c'è una chiara interconnessione tra i due livelli, dato che l'Opus Dei interviene regolarmente per mettere a tacere gli scandali sessuali dei preti.)

Che cosa, dunque, ci consente di concludere che queste oscenità, questi crimini sessuali fanno parte dell'identità stessa della chiesa come istituzione? Non gli atti in se stessi, ma il modo in cui la chiesa reagisce quando vengono scoperti, il suo atteggiamento difensivo, il suo lottare per ogni centimetro che le tocca concedere: il fatto che liquidi le accuse come scandalismo, come propaganda anticattolica; che faccia tutto il possibile per minimizzarli e isolarli; che offra ritrattazioni condizionali («se i crimini sono stati commessi davvero, allora, naturalmente, li condanniamo»); l'assurda pretesa che la chiesa debba essere lasciata libera di trattare i problemi a modo suo; le «eleganti» soluzioni burocratiche che non fanno male a nessuno (la responsabile sospesa per motivi di salute o nell'ambito della normale riorganizzazione amministrativa).

Quando insistono che questi casi, per quanto deplorevoli, sono un problema interno della chiesa, e mostrano grande riluttanza a collaborare con la polizia nelle indagini, i rappresentanti della chiesa hanno, in un certo qual modo, ragione: la pedofilia dei preti cattolici non riguarda meramente quelle persone che per ragioni accidentali di storia privata, senza relazione con la chiesa come istituzione, hanno scelto la professione di prete, ma è un fenomeno che riguarda la chiesa cattolica come tale, inscritto nel suo stesso funzionamento come istituzione socio-simbolica; non riguarda l'inconscio «privato» dei singoli individui, ma l'«inconscio» della istituzione stessa: non è qualcosa che accade perché l'istituzione deve adattarsi alle realtà patologiche della vita libidica per sopravvivere, ma qualcosa di cui l'istituzione stessa ha bisogno per riprodursi.

Possiamo ben immaginare un prete «retto» (non pedofilo) che, dopo anni di sacerdozio, sia coinvolto nella pedofilia perché la logica stessa dell'istituzione lo spinge a farlo. Tale inconscio istituzionale è una categoria chiave della critica dell'ideologia: designa il sottofondo osceno, disconosciuto che - proprio in quanto disconosciuto - sostiene l'istituzione pubblica. (Nell'esercito, questo sottofondo consiste nei rituali osceni e sessualizzati di attacco ai superiori ecc. che sostengono la solidarietà di gruppo). In altri termini, la chiesa non cerca di mettere a tacere gli imbarazzanti scandali sulla pedofilia per semplice conformismo. Difendendo se stessa essa difende il suo più recondito, osceno segreto. Per un prete cattolico, identificarsi con questo lato segreto è un elemento chiave della sua identità: denunciando seriamente (non solo retoricamente) questi scandali, si taglierebbe fuori dalla comunità ecclesiastica, non sarebbe più «uno di noi» (così come negli anni `20, nel sud degli Stati uniti, un cittadino che avesse denunciato il Ku Klux Klan alla polizia si sarebbe tagliato fuori dalla sua comunità, ossia ne avrebbe tradito il fondamentale legame di solidarietà).

Per lo stesso motivo, non è possibile spiegare questi scandali sessuali come una manipolazione di quanti si oppongono al celibato e vogliono dimostrare che le pulsioni sessuali dei preti, non trovando un'espressione legittima, sono destinate a esplodere in modo patologico. Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, essi non svolgerebbero il loro compito senza molestare i ragazzini, perché la pedofilia è generata dall'istituzione cattolica del sacerdozio come sua «trasgressione intrinseca», come sua oscena appendice segreta.

La risposta alla riluttanza della chiesa non deve limitarsi al fatto che siamo di fronte a dei reati e che, non collaborando appieno alle indagini, essa ne diventa complice. La chiesa come tale, come istituzione, deve anche essere indagata quanto al modo in cui crea sistematicamente le condizioni perché tali crimini avvengano. Sostenere che essa debba essere la sola a trattare i reati di pedofilia che si verificano tra i suoi ranghi è problematico non soltanto da un punto di vista puramente legale, dato che ciò implicherebbe una sorta di diritto extraterritoriale della chiesa anche per i reati comuni che ricadono sotto la legislazione penale (come se il fatto stesso che questi scandali siano scoppiati non fosse una prova che essa non è in grado di risolverli).

Se vuole davvero affrontare seriamente la questione della pedofilia, la chiesa dovrebbe non solo dare carta bianca alla polizia per interrogare i suoi ranghi e collaborare pienamente, ma anche affrontare seriamente la questione della sua responsabilità per questi crimini, in quanto istituzione. È questo il modo in cui la chiesa dovrebbe affrontare il problema.
(Traduzione Marina Impallomeni)


Vaticano: Ratzinger chiede l’immunità a Bush come capo di stato in un processo per pedofilia.

intervista a Maurizio Turco, a cura di Antonino D’Anna


Il papa Benedetto XVI è imputato per fatti legati allo scandalo dei preti pedofili, che hanno avuto luogo quando ricopriva l'incarico di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Il processo in corso negli Stati Uniti vede coinvolto Joseph Ratzinger in prima persona. Una notizia clamorosa, eppure in Italia quasi nessuno ne ha parlato o scritto. L’Associazione radicale “Anticlericale.net” ha organizzato, in coincidenza con la Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia, una conferenza stampa per fare il punto della situazione. Conferenza stampa in larga parte ignorata; eppure le notizie interessanti non mancavano.

In quanto "capo di stato in carica", papa Benedetto XVI, ha avanzato richiesta formale di immunità al presidente degli Stati Uniti, che non ha ancora reso nota la sua decisione.

Alla conferenza stampa hanno partecipato l'avvocato David Shea, avvocato di Houston che ha denunciato in sede civile il cardinale Joseph Ratzinger davanti alla Corte distrettuale del sud del Texas per la copertura data ai membri del clero responsabili di abusi sessuali soprattutto su minori, Maurizio Turco, segretario di “Anticlericale.net”, Daniele Capezzone, segretario di Radicali Italiani, Marco Cappato, segretario dell'Associazione Luca Coscioni e Rita Bernardini, Tesoriera di Radicali Italiani. Maurizio Turco ad “Affari” l’intervista che riteniamo utile riportare per le notizie e le informazioni che contiene.


D.:Dal Texas giunge notizia dell'iscrizione di Papa Ratzinger nel registro degli indagati in un processo per pedofilia. Come sono andati i fatti?

"Questo è un caso in sede civile in cui è stato denunciato Ratzinger per una lettera del 2001 nella quale ribadiva il contenuto della Instructio de modo procedendi in causis sollicitationis del 1962... (documento inviato a tutti i vescovi e desecretato di recente, in cui il Vaticano ordinava che un minore qualora avesse dichiarato al suo vescovo di un abuso sessuale da parte di un sacerdote avrebbe dovuto giurare il segreto perpetuo, sotto eventuale pena di scomunica. Ed eventuali documenti comprovanti scandali di questo genere commessi da sacerdoti avrebbero dovuto essere tenuto in un archivio segreto, N.d.R.)


D.: La “Instructio” è opera di Giovanni XXII, vero?


"Sì. Diciamo del Cardinale Ottaviani, per mettere le cose in chiaro, così come la lettera del 2001 (lettera confidenziale che l'allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, ribadiva il diritto della Chiesa non solo di rivendicare a sé la competenza giurisdizionale nei casi di abusi su minori da parte di esponenti religiosi, ma di svolgere le indagini e conservare le prove acquisite nel più assoluto segreto, fino al decorrere di dieci anni dal compimento della maggiore età della vittima. "Casi di questo tipo - conclude la lettera - sono soggetti al segreto pontificio", N.d.R.) non è di Giovanni Paolo II, ma di Ratzinger. A detta di Daniel Shea, l'avvocato che oltretutto è teologo, ex seminarista, e che ha conoscenze interne alla struttura, ritiene che Ratzinger in quel momento abbia agito al di fuori dei poteri propri del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede per innalzare i tempi della prescrizione. In questo modo ha impedito alla giurisdizione americana di intervenire in sede penale: difatti, tutti questi processi sono in sede civile perché sono andati in prescrizione i tempi dell'azione penale, e questa lettera del 2001, in pieno caos americano, ha spostato avanti - da 16 a 18 di due anni - l'età in cui per la Chiesa Cattolica si diventa maggiorenni anche negli Stati Uniti, e prolungato i termini per la prescrizione da 5 a 10 anni, guadagnando vantaggio sui termini della prescrizione in uso negli States. Per questo Ratzinger è stato denunciato come "individuo", non come Prefetto, ma come individuo per aver dato quelle disposizioni, e in quanto tale nel processo vi è rappresentato. C'è insomma un imputato che si chiama Joseph Ratzinger e che è presente davanti alla giustizia americana a titolo individuale".


D.: E quindi?

"Questa cosa non è stata contestata dal Vaticano, che ha solo dichiarato che avrebbe chiesto l'immunità diplomatica per il Papa in quanto Capo di Stato. Ma c'è da sottolineare che al momento in cui è stato commesso il reato Ratzinger non era capo di stato, c'è da sottolineare che è stato denunciato a titolo individuale, non come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, e comunque il giudice ha accettato questo stop chiesto dagli avvocati di Ratzinger per la richiesta dell'immunità, ma chiedendo loro un "rapporto" mensile sull'avanzamento dei lavori. Nel senso che l'immunità al capo di stato in America può essere concessa solo dal Presidente. E' Bush che deve dire al magistrato: 'Fermi tutti, il signor Ratzinger gode dell'immunità in quanto Capo di Stato'. Già per due volte - sono passati circa 75 giorni - Bush non ha risposto a questa richiesta. A fine Agosto ci sarà un'altra udienza nella quale gli avvocati di Ratzinger dovranno presentare il terzo rapporto mensile, e in quella sede l'avvocato Shea chiederà che si proceda comunque, visto che la pendenza del parere di Bush non è indispensabile, si può comunque procedere".


D.: Dunque si è fermi a livello procedurale?

"E' tutta una questione aperta, ma il dato di fatto è che nel silenzio, da sei mesi, Ratzinger si trova iscritto come, diciamo così, imputato in un processo civile negli Stati Uniti".


D.: Se il Papa dovesse essere condannato, che cosa accadrebbe?

"E' un processo civile, non è penale."


D.: E finora che richieste di risarcimento sono state avanzate?

"Su questo processo nessuna. Intanto è stato accertato e accettato dal giudice che ci possa essere richiesta di risarcimento nei suoi confronti. Ancora alla fase della richiesta dei risarcimenti non ci siamo arrivati, siamo nella fase della 'costituzione' dell'imputato per iniziare il processo. Che in quanto civile ha un altro significato, chiaramente: anche noi, dovendo chiedere qualcosa non chiederemmo di arrestare Ratzinger, questo è chiaro. Sicuramente, come cose urgentissime chiediamo il ritiro di queste disposizioni e la trasparenza su quello che è accaduto perché, ricordiamoci, quei 4.000 preti riconosciuti dalla Conferenza episcopale americana come colpevoli di aver commesso delle violenze sessuali soprattutto nei confronti di minorenni sono 4.000 che siedono sui banchi della giustizia civile".


D.: Cioè?

"In altre parole, non c'è stato un prete denunciato dalle autorità ecclesiastiche alla giustizia civile, hanno praticamente preso quello che è stato già accertato e l'hanno dato come buono senza dire però qual è stata l'attività a partire dal '62, tutti i dossier che loro hanno e che ancora non sono di dominio pubblico. Quindi noi vorremmo un po' di trasparenza su questo sapendo comunque che, a prescindere da questi documenti la causa prima delle deviazioni e sofferenze sessuali è la sessuofobia, la politica vaticana sul sesso".


D.: Quindi voi chiedete anche una revisione della morale sessuale cattolica?

"La denunciamo questa politica. Così come denunciamo la politica proibizionista perché arricchisce i narco-trafficanti, la politica sessuofobica è causa di disastri e non di felicità. Noi pensiamo che la risposta sia libertà sessuale e di coscienza, libertà dell'individuo".


Senza misericordia

di “Discepoli di verità”


Il libro si chiama “Senza misericordia”, sottotitolo: “Come il cardinale Joseph Ratzinger è diventato papa Benedetto XVI”. Libro per tanti versi scandaloso, e difficilmente vi accadrà di leggerle recensioni o segnalazioni sui giornali di larga e diffusa tiratura. Gli autori si firmano “Discepoli di verità”, pseudonimo dietro il quale si cela qualcuno (o un collettivo di persone) che dimostra di avere notevole dimestichezza con le cose riservate e segrete del Vaticano. C’è chi favoleggia si tratti addirittura di uomini di curia. “Discepoli di verità” ha già firmato, in passato due libri: “Bugie di sangue in Vaticano”: libro-inchiesta sulla strage che costò la vita al comandante della Guardia svizzera Alois Estermann, a sua moglie e al vice caporale Cédric Tornay, trovati cadaveri la sera del 4 maggio 1998 in Vaticano. “Scritto dall’interno della Curia romana”, si legge nella presentazione, “il libro contesta punto per punto la verità ufficiale confezionata dalla Santa Sede (il vice caporale quale supposto omicida-suicida) e rivela alcuni retroscena del triplice delitto…”.


L’altro libro è “All’ombra del papa infermo”: si racconta del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, tra quelle che vengono definite “le spire della nomenklatura vaticana. Le lotte di potere all’interno della Curia, e il radicamento dell’Opus Dei. La massoneria fra le Sacre mura, e la fine dell’Ostpolitik, la bancarotta IOR-Ambrosiano, e i finanziamenti segreti del Vaticano a Solidarnosc, la repressione dei “disordini” post-conciliari, e la restaurazione; gli attentati subiti dal pontefice, e la sua progressiva infermità”.


Ora è la volta di “Senza misericordia”. Viene presentato così: “I ricordi smemorati, censurati, mistificati di Joseph Ratzinger soldato della Wermacht nazista. La venerazione per il cardinale filo-hitleriano Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco durante il Terzo Reich. La metamorfosi giovanile di don Ratzinger: dal fronte progressista di “Concilium”, a quello conservatore di “Communio”…Quasi un quarto di secolo da prefetto della Congregazione per la dottrina della fede: fulmini sulla Teologia della liberazione, saette contro i teologi progressisti (Leonardo Boff, Edward Schillebeeckx, Charles E. Curran, Pedro Sasaldaliga, Raymond Hunthaysen, ecc.), e blandizie per gli scismatici ultrareazionari di monsignor Marcel Lefebvre. Diktat, censure, bavagli e il dogma omofonico del Panzerkardinal campione di doppiezza: caccia grossa allo stregone, monsignor Emmanuel Milingo: scandalo e perdono interessato. L’inchiesta per molestie sessuali a carico del fondatore dei Legionari di Cristo, insabbiata dal prefetto dottrinario. La ghigliottina e il sogno: il vicepapa Ratzinger diventa Benedetto XVI”.


Qualcuno potrà essere tentato di credere che si tratta di un libello calunnioso, un qualcosa di pecoreccio e scandalistico per far quattrini facendo leva sul voyeur che è in noi. Non siamo esperti di cose vaticane, ignoriamo chi si cela dietro lo pseudonimo di “Discepoli di verità”. Il libro però è informato, informatissimo; soprattutto si tratta di un lungo racconto (190 pagine) dove a parlare sono i documenti, i fatti. Le parole che vengono attribuite a Ratzinger, sono ricavate dai suoi documenti, dai suoi libri, dai suoi discorsi. Certo: non mancano commenti crudi, pesanti. Per esempio, a pag.143: “…Stordito dall’ebbrezza del potere al punto da considerarsi portavoce del Padreterno, il cardinale Ratzinger arrivò a insolentire la religione buddista definendola con sarcastico disprezzo “un autoerotismo spirituale”. Oppure, a pagina 137: “…Nonostante i modi soavi e l’apparenza gentile, Sua eminenza era un gelido inquisitore, un cinico uomo di potere…reazionario pupillo degli integralisti di Comunione e Liberazione e dell’Opus Dei, un vicepapa che, da successore di Giovanni Paolo II, avrebbe completato la missione di riportare la Chiesa nell’alveo della Tradizione seppellendo per sempre qualunque velleità progressista e riformatrice…”.


Affermazioni pesanti? E sia. Ma è ben vero che da cardinale Ratzinger (autunno 1991) ha denunciato la pillola, responsabile di “una rivoluzione culturale…così la sessualità è diventata una merce disponibile, utilizzabile in ogni momento senza pericolo. Le conseguenze sono la dissoluzione della fedeltà matrimoniale, la legalizzazione di certi comportamenti sessuali che ha portato all’esplosione dell’omosessualità. Se la sessualità può essere sganciata, in maniera sicura, dalla procreazione, diventando sempre di più una pura tecnica, allora il sesso ha a che fare con la morale come ce l’ha bere una tazza di caffè. Questo, per fare un esempio, ha fatto crollare in Africa i tradizionali concetti di morale, con il risultato di avere ora un intero continente devastato dall’Aids”.


E’ stato il cardinale Ratzinger ad affermare, nel maggio del 1989 a Laxenburg in Austria che il più grave problema dei cattolici nella odierna Europa consisteva nella riduzione dell’immagine biblica di Cristo a “un Gesù liberal-borghese o marxista-rivoluzionario”. In quell’occasione Ratzinger rivendicò anche l’autorità vaticana in fatto di nomine vescovili, e affermò che anche quelle contestate – si trattava di padre Hans Hermann Groer e di monsignor Kurt Krenn – “erano state molto ben ponderate”. Tanto bene che qualche anno dopo l’arcivescovo viennese cardinale Groer, travolto da uno scandalo sessuale, è costretto a lasciare la guida dell’arcidiocesi viennese.


Ieri il pericolo di un Cristo “liberal-borghese”. Oggi la denuncia di “una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie…”, come Ratzinger ebbe modo di dire durante la messa “Pro eligendo romano Pontefice” che precedeva il Conclave che poi l’avrebbe eletto papa. E a sugello le parole, pesantissime, di Hans Kung, teologo e tra i critici più severi di Ratzinger: “…Ha paura. E come il Grande Inquisitore di Dostoevskji, niente egli teme più della libertà. Ritorna la vecchia musica di Roma: a Ratzinger il potere curiale appare di nuovo un privilegio divino; la critica e l’opposizione non sono previste…Non si brucia più nessuno; ma, se è necessario, si è pronti ad annientare psichicamente e professionalmente..”. Oppure il lapidario commento del padre gesuita americano John J. McNeill, che definisce un documento ratzingeriano sull’omosessualità: “cattivo fino alla crudeltà”. Non meno pesanti i giudizi di un teologo tedesco, il redentorista Bernhard Haring, ogni parola una stilettata: “L’ex Sant’uffizio è un lago avvelenato”, nel quale non potevano vivere “pesci sani”, la congregazione ratzingeriana era un misto di ignoranza e arroganza, i teologi curiali erano dei “terroristi ecclesiatici”. E chiudiamo con le parole di una suora americana, Maureen Fiedler, impegnata da anni nell’assistenza ai malati di Aids (e che per questo ha avuto dalle gerarchie vaticane più di un fastidio): “L’ossessione vaticana per il sesso, etero e omo, sta peggiorando, ormai sta diventando una pulizia teologica”.


“Senza misericordia” è pubblicato da una casa editrice coraggiosa, “Kaos edizioni”, nel cui catalogo chi vuole può tra l’altro trovare numerosi libri di Ernesto Rossi: “Il Sillabo e dopo”; “I padroni del vapore”; “Il manganello e l’aspersorio”; “Un democratico ribelle”; “Nuove pagine anticlericali”; “Settimo non rubare”. E’ un libro coraggioso, da tenere sul comodino, la sera prima di addormentarsi se ne legge qualche pagina, magari alternandola a un libretto molto più esile, “Di nessuna chiesa”, di Giulio Giorello (Raffaello Cortina editore). E poi, pensando che tutto sommato non tutto è davvero perduto se ancora si pubblicano libri del genere, si può provare a dormire, pronti l’indomani a ricominciare a giocare la difficile scommessa che ci fa essere, contemporaneamente “fuori dalla Chiesa di Roma, fuori dalla Chiesa d’Inghilterra”, pur consapevoli che “non essere di alcuna chiesa è pericoloso”. (Gu.Ve.)


Peccati di sesso, sessismi e sessuofobie.

da “Senza misericordia”, di Discepoli di verità, Kaos editore


Nel maggio del 2001 il prefetto Ratzinger mandò a tutti i vescovi e ai capi di congregazioni religiose un documento papale contenente una disposizione precisa: nei casi di reati di abusi sessuali di sacerdoti a danno di minori si doveva inoltrare un rapporto alla Congregazione per la dottrina della fede, e il prefetto avrebbe stabilito se lasciare il caso al tribunale locale o se avocarlo in Vaticano. In pratica la scabrosissima materia, sulla quale fino a quel momento avevano avuto competenza w autorità ben sei diversi dicasteri vaticani, diventava di prioritaria pertinenza della Congregazione ratzingeriana.


Quella che sembrava una procedura per razionalizzare e rendere più efficiente la giustizia vaticana, in realtà poteva anche essere un espediente per “filtrare” e “frenare” le denunce. C’era del resto un illustre precedente: presso l’ex Sant’Uffizio, dall’ottobre 1998 giaceva insabbiata una denuncia per abusi sessuali contro il fondatore dei Legionari di Cristo, l’anziano sacerdote messicano Marcial Maciel Degollado; i denuncianti, otto ex legionari, sostenevano di essere stati vittime – da ragazzi, negli anni Cinquanta e Sessanta – di abusi sessuali da parte di padre Maciel, il quale poi li aveva illecitamente assolti in confessione. I Legionari erano una potenza di denaro, vocazioni e efficientismo, e padre Maciel era amico personale di Giovanni Paolo II e del segretario di Stato cardinale Angelo Sodano. Secondo indiscrezioni la denuncia contro il fondatore dei Legionari era stata insabbiata, e al vescovo messicano di Coatzacoalcos, monsignor Carlos Talavera Ramirez, il cardinale Ratznger nell’autunno 1999 aveva detto trattarsi di materia molto delicata, dato che padre Maciel aveva fatto molto per la Chiesa e in più era molto amico del papa…La Santa sede smentì l’indiscrezione riferita da monsignor Talavera Ramirez, così come padre Marcial Maciel aveva sempre negato gli abusi sessuali di cui lo accusavano gli otto ex legionari.


Tutta un’altra musica nel caso di don Franco Barbero, umile sacerdote di 64 anni attivo a Pinerolo (Torino) come animatore di una comunità di base, favorevole al matrimonio dei preti e dedito alla benedizione delle unioni gay in quanto “la comunità cristiana deve accogliere tutte le forme di amore…Siamo tutti etero e omo in mille modi diversi. Dio non fa un pezzo sbagliato. Lui non è la Fiat”. Il 25 gennaio 2003, senza che neppure gli fosse data la possibilità di spiegarsi e difendersi, don Barbero fu ridotto allo stato laicale e cacciato dalla Chiesa con un brutale decreto della Congregazione per la dottrina della fece: “Con suprema e inappellabile decisione senza alcuna facoltà di ricorso”, il decreto stabiliva “che al citato presbiterio venisse arrogata la pena delle dimissioni”, firmato il prefetto Joseph Ratzinger. Don Barbero reagì con un’invocazione: “Mia cara Chiesa, voglio dirti che ti amo tanto…Vattene dalla illusione di essere il centro del mondo. Vattene dalle menzogne che continui a raccontare secondo cui Gesù avrebbe vietato il ministero sacerdotale alle donne. Vattene dalle tue sessuofobie, per cui continui a tenere il piacere. Vattene dalla modale delle confessioni spettacolari in merito ad alcuni peccati del passato. Prendi la strada di Abramo e Dio camminerà dinanzi a te”.


All’inizio del 2003 la Congregazione ratzingeriana preda di un nuovo sussulto sessuofobico, si occupò di un problema infinitesimale: quello delle persone transessuali intenzione ad abbracciare la vita religiosa. Per il prefetto bavarese la soluzione del problema era netta, benché assai poco misericordiosa: a queste persone doveva essere preclusa la possibilità di farsi religiosi, e nel caso già lo fossero dovevano espulsi dall’ordine cui appartenevano. La competenza a decidere sui singoli casi era comunque dell’ex Sant’Uffizio. Infatti nel documento dedicato al problema, intitolato “Appunti circa i risvolti canonici del transessualismo in ordine alla vita consacrata, il cardinale Ratzinger affermava:


“Per ciò che attiene l’ammissione ad un Istituto di Vita consacrata, i Superiori e le Superiori competenti devono usare la massima prudenza. Negli Istituti di Vita consacrata, infatti, il candidato/a deve offrire a se stesso/a totalmente a Dio amato sopra ogni cosa, assumendo il titolo speciale della professione dei consigli evangelici mediante voti o altri sacrifici, che comprendono, oltre alla povertà e l’obbedienza, anche il voto o vincolo di castità. Questo appunto si configura, secondo le leggi della Chiesa, come dono di sé, in quanto assunto per il regno dei cieli, è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità nel cuore indiviso: esso comporta l’obbligo della perfetta continenza nel celibato. L’atteggiamento ambiguo e anomalo del transessuale non potrebbe essere una limpida testimonianza della castità consacrata (…). Quando da chiari atteggiamenti esterni e su testimonianza degli addetti alla formazione sorge il dubbio prudente circa la presenza del tansessualismo, il Superiore faccia effettuare una accurata visita medica e psichiatrica: nel caso che risulti una patologia grave e irreversibile di transessualismo, non può ammettere validamente all’Istituto o alla Società, mentre in caso dubbio non gli è lecito ammetterlo in quanto viene a mancare nel candidato una chiara idoneità. Ugualmente il fedele membro di un Istituto religioso o di una Società di Vita apostolica o di un Istituto secolare, che volontariamente si sottopone all’intervento di sesso, per il bene delle anime deve essere espulso dalla casa religiosa (…). Attesa la difficoltà nel districarsi in situazioni tanto varie e delicate, il Sommo Pontefice ha stabilito, fino a diversa disposizione, di domandare alla Congregazione per la dottrina della fede la soluzione dei casi più sopra considerati, constatato in particolare che il ricorso alla Sede apostolica per situazioni difficili sembra più ordinario che eccezionale, e che devono essere evitati scandali a motivo dell’applicazione di criteri di giudizio non coerenti e uniformi. Al riguardo, per i casi previsti, attese la complessità del problema e la necessità di distinguere esattamente casi di vero transessualismo da forme, concomitanti o meno, di inter-sessualità o di altre patologie psicologiche, si chiede ai Superiori competenti che, quando ricorrono a questo Dicastero, si premurino di trasmettere copia dell’intera cartella clinica o, almeno, i documenti attinenti le indagini psicologiche, unitamente agli accertamenti clinici circa l’identità cromosomica nonché la sentenza del tribunale, o di uffici equiparati, relativi alle persone interessate”.


Dopo le persone transessuali tocca a quelle omosessuali. Il 3 giugno 2003 il cardinale Ratzinger firmò un documento intitolato “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni con persone omosessuali”: sei pagine di spietata omofobia ratzingeriana, per dire no alla legittimazione socio-legale delle unioni gay, Anzitutto Panzerkardinal (ndr.:Ratzinger) definiva l’omosessualità “un fenomeno morale e sociale inquietante…più preoccupante nei paesi che hanno già concesso o intendono concedere un riconoscimento legale alle unioni omosessuali”. Quindi si ingegnava a spiegare: “Nessuna ideologia può cancellare dallo spirito umano la certezza secondo la quale esiste matrimonio soltanto tra due persone di sesso diverso…Non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia. Il matrimonio è santo, mentre le relazioni omosessuali contrastano con la legge morale naturale. Gli atti omosessuali, infatti, precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale. In nessun modo possono essere approvati. Nella Sacra Scrittura le relazioni omosessuali sono condannate come gravi depravazioni”. Ancora e peggio: “Le unioni omosessuali non svolgono neppure in senso analogico remoto i compiti per i quali il matrimonio e la famiglia meritano un riconoscimento specifico e qualificato. Ci sono invece buone ragioni per affermare che tali unioni sono nocive per il retto sviluppo della società umana, soprattutto se aumentasse la loro incidenza effettiva sul tessuto sociale”. La conclusione dell’omofobico editto ratzingeriano stabiliva quali dovessero essere i “comportamenti dei politici cattolici nei confronti di legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali”: essi avevano il “dovere morale” di dire pubblicamente no, di opporsi strenuamente, di votare contro, oppure di darsi da fare per abrogare leggi del genere eventualmente già approvate. Perché “la Chiesa insegna che il rispetto verso le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’approvazione del comportamento omosessuale”, e il fatto di riconoscere legalmente le unioni omosessuali “significherebbe non soltanto approvare un comportamento deviante, con la conseguenza di renderlo un modello nella società attuale, ma anche offuscare valori fondamentali che appartengono al patrimonio comune dell’umanità”.


Il documento omofonico della Congregazione ratzingeriana provocò polemiche roventi. Il filosofo Gianni Vattimo lo definì “inutile e razzista…Per la Chiesa, noi gay siamo i nuovi ebrei da ghettizzare e opprimere”. Protestarono vari gruppi di omosessuali credenti. Il movimento “Noi siamo la Chiesa” in un duro comunicato, affermò tra l’altro: “La Congregazione per la dottrina della fede non usa mai la stessa forza argomentativi dell’ordine naturale per obbligare moralmente i politici, cattolici e non, a eccepire o abrogare le infinite leggi lesive dell’ordine biologico, economico, sociale e politico. Non ci risulta che l’organo inquisitivo vaticano abbia mai ‘pubblicamente’ contrastato il comportamento di cattolici in materie riguardanti l’ordine sociale, come la mafia, la corruzione, il traffico delle armi, l’inquinamento della natura, l’arricchimento sproporzionato dei Ricchi Epuloni, il lavoro nero, le dittature”.

Della vicenda relativa a padre Marcial Maciel Degollado e dello scandalo insabbiato di cui è protagonista, si è occupato, in due articoli di Sandro Magister, il settimanale “l’Espresso”.


Un legionario nella bufera

di Sandro Magister
da “L’Espresso” del 31 gennaio 2002.

Il suo ultimo mea culpa, lo scorso 22 novembre, Giovanni Paolo II l’ha fatto con i popoli dell’Oceania. Ai quali ha chiesto perdono per «gli abusi sessuali compiuti da alcuni preti» e ha promesso «aperte e giuste procedure per rispondere alle accuse». Promessa confortata da fatti. Perché nelle passate settimane, a tutti i vescovi del mondo, il Vaticano ha recapitato una "Epistula" in latino con segnati i gravissimi delitti che sono stati avocati dalla Congregazione per la dottrina della fede, l´ex Sant’Uffizio, per essere sottoposti a più rapido e rigoroso processo. Tra questi delitti: gli abusi sessuali commessi da sacerdoti su minori di 18 anni, l’assoluzione di complici in peccati contro il sesto comandamento, l’incitamento a simili atti da parte dello stesso confessore.

Intanto, però, il Vaticano tiene bloccata da due anni una causa canonica contro un prete famosissimo e potentissimo, pluriaccusato proprio di questi ultimi peccati.

Il prete si chiama Marcial Maciel Degollado, è messicano, ha la stessa età di Giovanni Paolo II ed è il fondatore e capo dei Legionari di Cristo, un corpo scelto e superpreparato di sacerdoti e laici di tutto il mondo, in strabiliante espansione.

Le cifre parlano. Lo scorso anno, sessantesimo dalla fondazione, i Legionari contavano 477 sacerdoti e altri 2.500 prossimi a diventarlo. Pronti quindi a sorpassare persino l’Opus Dei con i suoi 1.763 preti.

Hanno 24 seminari in Europa, nelle Americhe e in Australia, col top a Roma nel modernissimo Ateneo pontificio Regina Apostolorum. Possiedono 9 università e 166 scuole e istituti superiori in numerosi paesi.

Ai sacerdoti si aggiungono inoltre 870 Legionari laici, attivi in 5.266 comunità sparse nelle aree povere dell’America latina. Più i 50 mila seguaci del movimento parallelo Regnum Christi.

In breve, i Legionari sono una vera potenza. Fiorentissimi di vocazioni. Devotissimi al papa e da lui ricambiati di benedizioni. Non fosse per quell’ombra che oscura il loro fondatore Maciel.

Un’ombra che lo accompagna fin da ragazzo, quando per due volte fu espulso da due seminari. Ma che in seguito è più volte pericolosamente ricaduta su di lui. Fino a materializzarsi, il 17 ottobre 1998, nella presentazione in Vaticano di una denuncia canonica a suo carico.

Il fascicolo con l'accusa, presso l’ex Sant´Uffizio, reca sulla copertina la dicitura latina "Absolutionis complicis (Arturo Jurado et alii - Rev. Marcial Maciel Degollado)". Tradotto: dell’assoluzione del complice.

Gli accusatori, infatti, tutti ex Legionari d’alto grado, denunciano sì padre Maciel d’aver abusato sessualmente di loro quand’erano minorenni, negli anni Cinquanta e Sessanta. Ma fosse stato solo per questo, la causa non sarebbe stata neppure accolta. Perché simili delitti cadono in prescrizione passati dieci anni dal compimento della maggiore età della vittima, stando alle norme canoniche.

Se le autorità dell’ex Sant´Uffizio hanno accolto la denuncia, è per altre accuse ancor più gravi, che toccano il sacramento della confessione e quindi, se comprovate, resterebbero sempre sotto giudizio.

Agli accusatori padre Maciel ha risposto pubblicamente una sola volta, il 28 febbraio 1997, con una lettera al quotidiano "The Hartford Courant", del Connecticut, quartier generale dei Legionari negli Stati Uniti. Dichiarando la sua piena innocenza.

Lo scorso 11 novembre, sul settimanale "National Catholic Register" di proprietà dei Legionari, è tornato a difendere l´innocenza di Maciel il direttore ed editore del giornale, padre Owen Kearns. È negli Stati Uniti, infatti, che il caso ha creato più rumore.

Ma il Vaticano? Fermo e muto. Al vescovo messicano di Coatzacoalcos, Carlos Talavera Ramírez, il capo supremo dell´ex Sant´Uffizio, cardinale Joseph Ratzinger, avrebbe detto nell´autunno del 1999 che la materia è delicata, che padre Maciel ha fatto tanto bene per la Chiesa suscitando così numerose vocazioni e che non sarebbe prudente sollevare un simile caso. L´ufficio stampa vaticano ha però smentito che Ratzinger abbia fatto simili affermazioni e Talavera non le ha più riconfermate.

Una Legione ha insomma fermato le «aperte e giuste procedure» promesse dal papa. Che pure non ha esitato a degradare tre anni fa per analoghe colpe comprovate nientemento che il cardinale di Vienna, Hans Hermann Groër.

Scheda: mezzo secolo di accuse

Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, è stato più volte sotto tiro. Le prime accuse sono del 1948. Sono trasmesse a Roma dai gesuiti di Comillas, in Spagna, dove Maciel aveva mandato i suoi discepoli a studiare. Ma il Vaticano le lascia cadere.

Secondo round nel 1956. Questa volta il Vaticano indaga, su nuove accuse ancor più pesanti. Maciel è sospeso per due anni dalle sue funzioni e esiliato da Roma. Ma nel febbraio del 1959 è reintegrato a capo dei Legionari.

Terzo. Nel 1978 è l’ex presidente dei Legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a papa Giovanni Paolo II, ad accusare Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand’era ragazzo. Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta.

L’ultima tornata inizia nel febbraio del 1997 con la denuncia pubblica, da parte di otto importanti ex Legionari, di abusi sessuali commessi da Maciel a loro danno negli anni Cinquanta e Sessanta.

Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall’avvocato Martha Wegan, incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel.

Il 31 luglio del 2000 Barba Martin, assieme all'avvocato Wegan, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma senza alcun risultato.

Legionari di Cristo. Sempre più vicino il processo a padre Maciel.

di Sandro Magister

da “l’Espresso” del 20 maggio 2005

Lo scorso 2 aprile, nello stesso istante in cui a Roma moriva Giovanni Paolo II, a New York il promotore di giustizia della congregazione vaticana per la dottrina della fede, Charles J. Scicluna, maltese, stava interrogando l’ex preside di una “Scuola di Fede” dei Legionari di Cristo, Paul Lennon, irlandese, oggi psicoterapeuta ad Alexandria, in Virginia, testimone d’accusa contro uno degli uomini più riveriti e potenti della Chiesa cattolica mondiale: padre Marcial Maciel Degollado, 85 anni, messicano, fondatore dei Legionari e pupilla di papa Karol Wojtyla.

Con 650 preti, 2500 studenti di teologia, 1000 laici consacrati, 30.000 membri attivi in venti nazioni, decine di scuole e università di alto livello – due delle quali a Roma, una di diritto pontificio inaugurata nel 2002, la Regina Apostolorum, e un’altra fresca di riconoscimento del governo italiano, l’Università Europea di Roma – i Legionari di Cristo sono una strabiliante storia di successo.

Lo scorso 30 novembre Giovanni Paolo II abbracciò in pubblico il loro fondatore Maciel, si felicitò con lui per i sessant’anni di ordinazione sacerdotale, nel tripudio dell’aula vaticana delle udienze gremita da migliaia di Legionari e di militanti del Regnum Christi, la loro associazione laicale parallela.

Quattro giorni prima, il 26, papa Wojtyla aveva dato in “cura e gestione” ai Legionari nientemeno che il Pontificio Istituto Notre Dame di Gerusalemme, un imponente centro d’ospitalità e d’incontri, di proprietà della Santa Sede, a pochi passi dal Santo Sepolcro.

Intanto però in un altro palazzo vaticano, quello dell’antico Sant’Uffizio, l’allora cardinale prefetto Joseph Ratzinger aveva appena ordinato al suo promotore di giustizia Scicluna di ripescare negli scaffali della congregazione tutti i processi in lista d’attesa e in pericolo di non esser mai celebrati. L’ordine era: “Ogni causa deve avere il suo corso regolare”.

Tra i fascicoli ce n’era uno vecchio di sei anni con scritto sopra in latino: “Absolutionis complicis. Arturo Jurado et alii – Rev. Marcial Maciel Degollado”. Ossia: l’indicazione del delitto, il nome del primo dei denuncianti e quello dell’accusato. Il delitto, l’assoluzione in confessione del complice, è uno dei più terribili per la Chiesa, al punto da non cadere mai in prescrizione.

Pochi giorni dopo, il 2 dicembre, Martha Wegan, austriaca residente a Roma, avvocato della Santa Sede per il foro canonico, chiese per lettera ad Arturo Jurado, José Barba Martin e Juan Vaca, tre degli otto accusatori di padre Maciel, se intendevano confermare la loro richiesta di processo canonico, da essi consegnata in Vaticano il 17 ottobre 1998 nelle mani dell’allora sottosegretario della congregazione per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti.

I tre risposero di sì. L’avvocato Wegan trasmise la loro risposta al promotore di giustizia Scicluna. E questi aprì l’indagine preliminare sulle denunce in suo possesso: anni e anni di abusi sessuali compiuti da padre Maciel sui suoi accusatori, tutti ex Legionari, quando essi erano in giovane età ed erano in seminario con lui come guida, a Roma, con l’aggravante che egli poi in confessione li assolveva.

Quando le denunce degli otto apparvero per la prima volta, il 23 febbbraio 1997, su un giornale del Connecticut, “The Hartford Courant”, in un servizio a firma di Jason Berry e Gerald Renner, negli Stati Uniti non era ancora scoppiato l’uragano degli abusi sessuali compiuti da preti su bambini e giovani. Ma questo ne fu il tuono premonitore.

A far colpo, oltre alla gravità delle accuse, erano le personalità dei denuncianti, ingegneri, avvocati, professori universitari affermati. Alcuni avevano ricoperto cariche di rilievo nell’organizzazione di padre Maciel. Uno di essi, Félix Alarcón, aveva aperto nel 1965 il primo avamposto della Legione negli Stati Uniti. Un altro, Vaca, era stato presidente dei Legionari negli Usa tra il 1971 e il 1976. E una prima volta nel 1978, una seconda nel 1989, aveva inviato due esposti riservati a Giovanni Paolo II, accusando Maciel d’aver abusato di lui quand’era ragazzo. In entrambi i casi non aveva avuto risposta. Anche per questo lui e gli altri sette decisero alla fine di mettere tutto in pubblico, e depositare la loro denuncia in Vaticano, nel 1998.

Fatto bersaglio di queste accuse infamanti, padre Maciel si è sempre difeso negandole in blocco. Ma anche contrattaccando. A discredito di chi lo accusa porta il fatto che assieme agli otto denuncianti ce n’era all’inizio un nono, Miguel Diaz Rivera, ex Legionario oggi professore a Oaxaca, che però poi ritrattò e asserì d’essere stato indotto dagli altri a dire il falso.

Anche altri tre ex Legionari, Armando Arias Sanchez, Valente Velázquez e Jorge Luis González Limón, sarebbero pronti a testimoniare d’aver ricevuto pressioni a sostenere accuse non vere.
Ma l’argomento principe su cui padre Maciel e i suoi fanno leva è l’esito di una precedente indagine del Vaticano contro di lui, dalla quale uscì assolto.

Correva l’anno 1956 e contro Maciel s’erano addensati diciotto capi d’accusa, compreso l’uso di stupefacenti. Il Sant’Uffizio lo esautorò da ogni carica, lo allontanò da Roma e interrogò a uno a uno tutti i suoi seguaci. Tra questi c’erano anche coloro che quarantadue anni dopo avrebbero denunciato Maciel per abusi sessuali compiuti su di loro in quegli stessi anni Cinquanta. Ma di ciò non dissero nulla.

L’indagine durò fino al febbraio del 1959 e si concluse con l’assoluzione e la reintegrazione dell’accusato. Di uno degli ispettori di allora, il vescovo cileno Cirilo Polidoro van Vlierberghe, oggi quasi centenario, i Legionari di Cristo esibiscono due lettere di pieno sostegno a padre Maciel. Veramente, circa il nuovo processo che incombe su Maciel dal 1998, non tutti i dirigenti della Legione sono sempre stati d’accordo su come fronteggiarlo. Secondo alcuni, il non averne sollecitata la celebrazione immediata è stato per la Legione non un vantaggio ma un danno. A fronte di accuse verbali su fatti molto lontani nel tempo, prive di riscontri oggettivi, scagliate da un gruppo di fuorusciti a loro volta accusati di “colpire padre Maciel per colpire la Chiesa e il papa”, la sentenza sarebbe stata di assoluzione certa.

Oggi però questa certezza non è più così salda. Lo scorso 23 gennaio, dal capitolo che ogni dodici anni nomina il direttore generale dei Legionari di Cristo è uscito eletto non padre Maciel, come sempre in precedenza, ma un altro di lui molto più giovane, Ãlvaro Corcuera Martínez del Rio, messicano, 47 anni. Lo stato maggiore dei Legionari nega che l’avvicendamento abbia un legame con il processo. Sta di fatto che dopo che questo s’è messo in moto per iniziativa di Ratzinger, Maciel non ricopre più alcuna carica nella Legione da lui fondata. E la sequenza degli ultimi fatti sembra volgere a suo sfavore. Il 25 marzo, Venerdì Santo, nelle meditazioni per la Via Crucis al Colosseo Ratzinger lamenta “quanta sporcizia c’è nella Chiesa proprio tra coloro che nel sacerdozio dovrebbero appartenere completamente a Cristo” e fa presagire una ripulitura energica. Negli stessi giorni il suo promotore di giustizia Scicluna è in partenza per l’America, a verificare le accuse contro Maciel. Il 2 aprile è a New York, dove interroga non solo Vaca, uno degli otto della denuncia canonica, ma anche un altro ex Legionario importante, Lennon, che convalida le accuse del primo con una sua testimonianza aggiuntiva relativa ad anni più recenti. Il 4 è a Città del Messico, dove prosegue gli interrogatori fino al 10 aprile. Ascolta più volte, da soli e assieme, per un totale di dodici ore, i due titolari formali della denuncia canonica, Jurado e Barba Martin. Interroga i rimanenti degli otto, tranne uno, Fernando Pérez Olvera, che però gli inoltra una memoria scritta. Ma soprattutto interroga numerosi altri nuovi testimoni, del Messico, degli Stati Uniti, dell’Irlanda, della Spagna, qualcuno rimasto tra i Legionari fino a pochissimi anni fa. E tutti arricchiscono l’indagine di nuove accuse, non solo contro Maciel, ma anche contro altri dirigenti della Legione più giovani, sempre per la stessa “sporcizia”.

Affianca Scicluna un prelato che gli fa da notario. Questi mette per iscritto ogni testimonianza e alla fine la fa controllare e approvare dall’interrogato. Quando a metà aprile i due rientrano in Vaticano, hanno sull’agenda i nomi di una ventina di altri ex Legionari che hanno chiesto di essere interrogati, in Spagna e in Irlanda. Scicluna potrebbe presto recarsi anche in questi due altri paesi. In ogni caso, come promotore di giustizia, alla fine della sua indagine preliminare redigerà un rapporto con delle proposte conclusive. In base ad esso, le autorità vaticane decideranno se aprire o no il processo canonico vero e proprio. Fosse per il cardinale segretario di stato Angelo Sodano, grande protettore di Maciel e dei Legionari di Cristo, questo processo non si dovrebbe mai fare. Intanto, però, Ratzinger è stato eletto papa e sarà lui a dire l’ultima parola.

Come nuovo prefetto della congregazione per la dottrina della fede, Benedetto XVI ha nominato l’arcivescovo di San Francisco, William J. Levada, uno dei responsabili negli Stati Uniti del nuovo corso contro gli abusi sessuali commessi da preti. Due giorni prima del conclave, il 16 aprile, Ratzinger incontrò il cardinale di Chicago, Francis George, suo grande elettore e sostenitore ancor più deciso di una linea rigorosa nel ripulire la Chiesa da questo flagello. Gli assicurò il suo appoggio. Appena eletto papa, a George che gli baciava la mano Benedetto XVI disse subito che avrebbe mantenuto la promessa.
__________

POST SCRIPTUM, 25 maggio 2005

Poche ore dopo l’uscita di questo servizio di www.chiesa, venerdì 20 maggio, la Congregazione dei Legionari di Cristo ha emesso un comunicato che così esordisce: “The Holy See has recently informed the Congregation of the Legionaries of Christ that at this time there is no canonical process underway regarding our Founder, Fr Marcial Maciel, LC, nor will one be initiated”.

Lo stesso giorno il Catholic News Service, l’agenzia della conferenza episcopale degli Stati Uniti, ha diffuso un dispaccio che comincia così: “The Vatican has confirmed that it plans no canonical process against the founder of the Legionaries of Christ”.
E ha precisato che “the confirmation was issued by Passionist Father Ciro Benedettini, a Vatican spokesman, after Catholic News Service asked him about the Legionaries’ statement”.

Domenica 22 maggio, in un servizio su “The New York Times”, Ian Fisher ha scritto di aver anch’egli interpellato per telefono Benedettini, il giorno precedente, e di aver avuto da lui l’assicurazione che “there is no investigation now, and it is not foreseeble in the future”.

Lunedì 23 maggio il sito web ReGAIN, che raggruppa ex Legionari, ha diffuso un comunicato nel quale riporta nuove dichiarazioni di Benedettini, interpellato per telefono dallo staff di ReGAIN la mattina dello stesso giorno.

proposito del comunicato del 20 maggio dei Legionari di Cristo, queste sono le parole di Benedettini riportate da ReGAIN: “That communiqué does not belong to the Holy See; it is a communiqué from the Legionaries of Christ.
They called me, the same as you are calling me, and they asked me if there is any communiqué about the investigation, or about a possible investigation, into Fr. Maciel. I told them that the Press Office [of the Holy See] had not received any communiqué about whether there is, was or will be any such investigation; that this issue does not concern the Press Office but directly concerns Monsignor Scicluna [the Congregation for the Doctrine of Faith’s Promoter of Justice]”.

Infine, mercoledì 25 maggio, il corrispondente da Roma del “National Catholic Reporter”, John L. Allen, ha accertato che all’origine delle precedenti dichiarazioni di Benedettini e dei Legionari c’era un fax del 20 maggio senza firma ma con un timbro della segreteria di stato, nel quale c’era scritto, in italiano: “Non vi è nessun procedimento canonico in corso né è previsto per il futuro nei confronti di p. Maciel”.

La formula “non è previsto per il futuro” è ricorrente in Vaticano per indicare atti che sono nelle sfera del possibile, ma sui quali non è stata presa una decisione. Nessun comunicato è stato emesso in questi stessi giorni dall’ufficio vaticano al quale spetta la decisione sul caso Maciel: la congregazione per la dottrina della fede. Insomma, anche da questo groviglio di parole e di silenzi risulta che le cose stanno al punto in cui le ha riferite il servizio di www.chiesa. C’è un’indagine preliminare in corso. E sulla base di questa indagine la congregazione per la dottrina della fede deciderà se aprire o no il processo canonico contro p. Maciel.



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