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Caro Silvio Viale, vai avanti!

14 settembre 2005

di Luigi Castaldi

Sembra ieri, Giuliano Ferrara sosteneva che l’aborto è “una decisione tragica che di fatto appartiene alla donna”. Lo sosteneva nei suoi scritti, nei numerosi dibattiti pubblici di cui era ospite, nelle frequenti apparizioni televisive, lo sosteneva ai pellegrinaggi mariani, lo sosteneva pure in presenza di qualche monsignore che paternamente glissava sulla cosa per non essere costretto a fargli il cazziatone dottrinario. Nell’apprestarci a scrivere questo editoriale – se date un’occhiata al nostro retrobottega, la cosa non ci imbarazza, prego – avevamo a disposizione tra i materiali documentari un totale di ben 27 virgolettati relativi a questo concetto di legittima centralità della donna nella decisione di interrompere la gravidanza. Nell’arco di poche settimane, Giuliano Ferrara ha declinato questo concetto almeno 27 volte, dunque, e in forme variamente acconce all’occasione: l’interruzione di gravidanza era, così, “tragedia della maternità” nel confronto pubblico con Piero Fassino (conveniva il pie’ leggero, l’uditorio era molto pignolo sugli avverbi e sugli aggettivi), “scandalo moderno” tra gli scalmanati di Cl (il tifo adora precipitare nel visibilio) e “infanticidio” alla presentazione di un libercolo neoclericofascista (se lì non ci vai col sostantivo tosto, mormorano che sei finocchio). Nei 27 virgolettati a noi noti lo stile è spesso retorico e pomposo, sempre altisonante, con molto di quel notorio mestiere che mischia assieme il luogo comune e la massima dai vangeli, la citazione astrusa ad arte e l’arguzia che qui e lì fa perepè come una lingua di Menelicche. Ma in tutti parrebbe chiaro, a leggerli ora, che quella centralità non si doveva toccare, “autorizzare l’aborto significa sanare il passato”, sicché – questo era il punto: dichiarare intoccabile quella centralità, tranquillizzando chi temeva che, col fallimento del referendum sulla legge 40, il prossimo bersaglio sarebbe stato la legge 194, come s’è intanto si faceva scappare Maurizio Gasparri - “folleggiano gli spot propagandistici più beceri, come quello deviante tra questa legge e una inesistente cancellazione della 194” (Panorama, 16 giugno 2005).


Non è a caso se per l’incipit abbiamo voluto scegliere quello più sobrio tra i virgolettati, da un’intervista a Libero del 9 giugno: la “decisione tragica […] di fatto appartiene alla donna”. Sembra ieri, con Giuliano Ferrara sembra sempre ieri. Eccolo lì, è già oggi. Oggi (Il Foglio, 12 settembre 2005): “La decisione su vita e morte di un essere umano concepito richiederebbe altre procedure che non il consenso della maggioranza. Per esempio un potere affidato ai ‘saggi’, indipendente in modo rigoroso dalle pulsioni della politica di massa”. E’ ovvio, è lecito cambiare idea, soprattutto a chi preferisce “aver ragione piuttosto che essere coerente” chi vorrà mai rinfacciare di averlo fatto per mettersi dalla parte della ragione, quella di chi vince, non importa come, e solo una manciata di giorni dopo aver scritto “stavolta non m’importa vincere”? Via, non si tratta dello stesso irrequieto, perennemente assediato dalla noia, che roboante tuonava che “sul referendum i cattolici non devono astenersi, ma lottare” (Il Foglio, 9 maggio 2005) per farsi poi, voilà, più astensionista del cardinal Ruini? Il fatto è che, oggi, invocare “un potere affidato ai ‘saggi’, indipendente in modo rigoroso dalle pulsioni della politica di massa” non è semplicemente aver cambiato idea, è aver compiuto il grande salto nel campo dei nemici della democrazia.


Non si tratta più di godersi lo spettacolo dell’uomo che muta idea più spesso della biancheria; non si tratta più di stare a interrogarsi di quale vita viva la sua metafora (metafora?) della “donna, veicolo di vita”; nemmeno si tratta di farci due risate a sentir forte su Lungotevere Raffaello Sanzio il grido “fare figli, farne tanti, farli quando si è giovani” e intanto la Tiliacos bambini niente, la Benini nemmeno, il Meotti meno che meno (se non ti ascoltano i garzoni, chi vuoi che possa darti ascolto, fra’ Coso?). No, non è di questo che si tratta: nel leggere i deliri disseminati in questo violento e provocatorio attacco sferrato a Silvio Viale, alla libertà di ricerca scientifica, e soprattutto alla legge 194, non si sorride più, per quanto amaramente – si trasale. Donna, vuoi abortire, d’intanto che la decisione ti appartiene “di fatto”, prima che noi la sia affidi ai “saggi”, sottraendola alle “pulsioni della politica di massa”? Vorresti farlo senza anestesia, senza raschiamento, senza dolore, senza un seppur minimo memento di emorragia ed infezione? Ah, ma allora sei proprio una puttana e un’assassina? “Assassina”? Sì, “assassina”. E allora “ci rivediamo quando si sarà capito che la donna tedesca madre di quattro figli amorevolmente allevati, che ne aveva fatti e seppelliti altri nove, in buche con fiorellini nel giardino di casa sua, non è un’assassina seriale, ma una rigorosa abortista del nono mese”. Annusata, pare una minaccia. Qui non si tratta più di “guerre culturali”, queste sono intemperanze, è bullismo pseudoculturale, teppismo, squadrismo da tinello. Si badi bene, si tratta dello stesso Giuliano Ferrara che piagnucolava d’essere stato fatto bersaglio dell’eventuale folle istigato dalla campagna denigratoria e calunniatrice dell’Unità di Furio Colombo, che si sentiva nel mirino di una aggressione a mezzo stampa. Eccolo lì, ora: taglia e incolla le frasi da un’intervista di Repubblica a Silvio Viale e spara: “Complimenti. Ci rivediamo quando anche la cultura laicista e neosecolarista avrà capito che l’aborto legale nacque legittimamente solo per sottrarre le donne all’aborto clandestino, non per rendere più facile l’aborto”. Per il momento, aspettando il ciellino cui il cervello possa essere andato in gorgonzola, potrà bastare una pernacchia, Giuliano Ferrara voglia gradire. Ma tu, caro Silvio Viale, vai avanti. Senza paura, avanti.



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