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Capriccio

30 novembre 1999

di Luigi Castaldi

Ultimamente, il termine “capriccio” è sulle labbra di chi è nemico giurato del liberalismo. Di chi lo è sempre stato, non ne ha mai fatto mistero e oggi, come sempre, nel liberalismo individua il cancro che divora l’occidente. Ma anche sulle labbra di chi, con qualche pudore nel dichiararlo espressamente, è nemico del liberalismo per un generico quanto irriducibile scetticismo sulla natura umana e pensa che le libertà possano essere elargite alla plebe solo da un’illuminata oligarchia, parsimoniosamente. E’ perfino sulle labbra di alcuni che, non si capisce se per amor del paradosso o faccia tosta, si dicono liberali e, al pari, col termine “capriccio”, intenderebbero insinuare la suggestione che, in fin dei conti, via, la libertà di pensiero altro non è che il malsano esercizio dell’idea balorda; che i diritti dell’individuo, tolto quello alla vita e lo stretto corollario, altro non sono che l’elenco di velleità inzuppate in passioni basse e devastanti, desideri strambi, stravaganti sfizi; che l’autodeterminazione dell’individuo è anarchia, se non di fatto, in potenza. Da un dizionario qualsiasi: “Voglia o idea, che ha del fantastico o dell’irragionevole, e per lo più nasce in modo subitaneo, per leggerezza di natura o per poca riflessione”. Non sono queste le sue prime fortune: il termine “capriccio” è già stato calcato a forza, come sinonimo, su “libertà” e “diritto”.

Andando per encicliche: “Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino, per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri” (Gregorio XVI, Mirari Vos, 15 agosto 1832). La “forsennata mania di opinare a capriccio” non deve permettersi di lambire la dottrina, il magistero e la gerarchia. Certe questioni, poi, non tollerano alcun “capriccio”: “Essendo del tutto manifesto che si devono ammettere molte verità di ordine soprannaturale che vincono di molto l’acutezza di qualsiasi ingegno, la ragione, conscia della propria debolezza, non ardisca aspirare a cose superiori a sé, né osi negare le stesse verità, né misurarle con la propria forza, né interpretarle a capriccio; ma piuttosto le accolga con umile e totale fede, ed abbia in conto di sommo onore che le sia permesso di servire alle dottrine celesti quale ancella” (Leone XIII, Aeterni Patris, 4 agosto 1879). “Né del resto si potrebbe onestamente definire libertà quella che consiste nel seguire e nello spargere opinioni secondo l’arbitrio e il capriccio, ma al contrario soltanto licenza dissoluta, scienza menzognera e fallace, disonore e schiavitù dell’animo” (Leone XIII, Officio Sanctissimo, 22 dicembre 1887).

Epperò, c’è “capriccio” e “capriccio”: “Se accada talvolta che la pubblica potestà venga dai Principi esercitata a capriccio ed oltre misura, la dottrina della Chiesa Cattolica non consente ai privati d’insorgere a proprio talento contro di essi, affinché non sia vieppiù sconvolta la tranquillità dell’ordine, e non derivi perciò maggior detrimento alla società. E quando le cose siano giunte a tal punto che non sorrida alcun’altra speranza di salvezza, vuole che si raggiunga il rimedio coi meriti della pazienza cristiana e con insistenti preghiere al Signore” (Leone XIII, Quod Apostolici Muneris, 28 dicembre 1878). Se il Principe si scapriccia a vessare il suddito, pazienza e preghiera. Non si vorrà mica sconvolgere “la tranquillità dell’ordine” con la ribellione? L’ordine, in sé stesso, è cosa sempre buona. Il “capriccio”, invece, manco a dire: Ogni volta che la libertà, volendo emanciparsi da qualsiasi tradizione e autorità, si chiude persino alle evidenze primarie di una verità oggettiva e comune, fondamento della vita personale e sociale, la persona finisce con l’assumere come unico e indiscutibile riferimento per le proprie scelte non più la verità sul bene e sul male, ma solo la sua soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo egoistico interesse e il suo capriccio” (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 25 marzo 1995). Per la Chiesa esiste una sola libertà: la libertà di fare il bene. Quanto più si fa il bene, tanto più si è liberi. Ma cos’è il bene? Che domande stupide: te lo indica lei. Sicché attenta alla sua propria libertà, povero fesso, chi in preda ad un “capriccio” ne mette in discussione l’autorità.

Si prenda la libera impresa, ad esempio: “I facili guadagni, che l’anarchia del mercato apre a tutti, allettano moltissimi allo scambio e alla vendita, e costoro unicamente agognando di fare guadagni pronti e con minima fatica, con la sfrenata speculazione fanno salire e abbassare i prezzi secondo il capriccio e l’avidità loro, con tanta frequenza, che mandano fallite tutte le sagge previsioni dei produttori” (Pio XI, Quadragesimo Anno, 15 maggio 1931). Il “capriccio”, qui, copula con l’“avidità”. Ma altrove s’intrattiene con l’inverecondia, e in luoghi dove uno nemmeno immaginerebbe: “Tanta strage di anime di giovani e di fanciulli, […] tante innocenze […] si perdono proprio nelle sale cinematografiche […] Le immagini cinematografiche sono […] mostrate a gente che sta seduta in una sala oscura, ed ha le facoltà fisiche e spirituali per lo più rilassate […] Le vicende raffigurate nel cinema sono svolte da uomini e donne particolarmente scelti e per le loro doti naturali e per l’uso di espedienti tali, che possono anche divenire strumento di seduzione, soprattutto per la gioventù. Il cinema vuole per di più, a suo servizio, il lusso delle scenografie, la piacevolezza della musica, il realismo inverecondo, ed ogni forma di capriccio nello stravagante” (Pio XII, Vigilanti Cura, 29 giugno 1936). Eccolo lì, il “capriccio” – par faccia da esca ovunque l’uomo abbocca al male.

Alla parola della Chiesa, che non è mai stata tenera con il liberalismo, fa eco quella di un sedicente liberale: “Oggi il rischio è che solo perché una cosa è tecnicamente e scientificamente possibile si decide di farla. Magari per un capriccio si decide che un proprio desiderio è un diritto e poi addirittura un principio assoluto. Ciò conduce a fare molte scelte con molta spensieratezza. Direi ai laici di non avere fretta nel convertire i desideri in diritti, e i diritti in principi sacrosanti” (Marcello Pera, Conferenza presso la Pontificia Università Lateranense, 14 dicembre 2004). “I matrimoni gay? Un capriccio. E’ falso che si tratti di conquiste civili o di misure contro le discriminazioni odi estensione dell' uguaglianza; si tratta piuttosto del trionfo di quel laicismo che pretende di trasformare i desideri, e talvolta anche i capricci, in diritti umani” (Marcello Pera, Corriere della Sera, 4 luglio 2005). C’è da spezzare il santo vincolo che stringe sessualità e riproduzione? Volere un figlio ricorrendo alla fecondazione assistita? “Voi che volete i bambini fabbricati a vostro capriccio…” sbraitava un altro, di pasta più o meno eguale, poco fa.



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