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Dopo Rocca, Ferrara manda Bellasio

21 aprile 2006

di Luigi Castaldi

L’articolo di Daniele Bellasio sul Foglio di giovedì 20 aprile (Visto che non ci hanno scelto, beh, sciogliamoci) dà forza ad un sospetto che mi era sorto fin dalla lettura – sempre sul Foglio, sabato 25 marzo – di un articolo di Christian Rocca. Il giorno prima, Giuliano Ferrara aveva tolto il tappo alla sua sguaiataggine e aveva scagliato l’epiteto di “bastardi” ai radicali, nella specie di “progressisti bolsi, cultori del presente e banditori asini e inconsapevoli del nichilismo da salotto”; il giorno dopo, Christian Rocca ci metteva un “cialtroni”, che indubbiamente suona meno forte di “bastardi”, ma è che Christian Rocca è un radicale. Sì, vota Forza Italia, adesso non sto a spiegarvi il perché, è una faccenda complicata e poi neppure lui è stato capace di spiegarla in modo decente, però una volta ha dato cento euro a un tavolo dove i radicali raccoglievano le firme, dunque è radicale, passiamo oltre.

Il sospetto – permettete, vorrei ancora tacerlo per il momento – prendeva un po’ di consistenza alla lettura di un altro articolo di Christian Rocca (sempre sul Foglio, mercoledì 12 aprile); qui, partendo dal fatto che “il fallimento elettorale della Rosa nel Pugno è clamoroso e ampiamente meritato”, si suggeriva “un congresso per eleggere Della Vedova segretario”. Al quale replicava Daniele Capezzone (giovedì 13 aprile); controbiettava Benedetto Della Vedova (venerdì 14 aprile); interveniva Massimo Bordin (sabato 15 aprile), però sollecitato dalla redazione del Foglio; e, poi (martedì 18 aprile), Federico Punzi, che figurarsi se ha bisogno di sollecitazioni; il giorno dopo (mercoledì 19 aprile), è la volta di Luca Tentellini, un altro liberale di quelli che hanno votato Forza Italia “malgrado Silvio Berlusconi sia il responsabile principe della mortificazione dei liberali nel centrodestra” (C. Rocca, Il Foglio 12.4.2206); nella stessa pagina, sotto ciò che il Foglio ha ormai tutto il diritto di rubricare come Dibattito radicale, un intervento di Valter Vecellio. Si arriva al 20 aprile, giovedì, con l’articolo di Bellasio che, in coda a questa bella sequenza, fa del mio sospetto una mezza certezza. Lo espongo in formula dubitativa, per delicatezza: ma non è che Giuliano Ferrara sta usando ancora i radicali, come ai tempi del referendum sulla legge 40? Non è che, ancora una volta, come per la reciproca ospitalità che Radio Radicale e il Foglio si scambiarono (con netto tornaconto del secondo sulla prima), Ferrara tenti di usare il dialogo coi radicali come piede di porco? E soprattutto: possono permetterselo, ora, i radicali, in una fase così delicata come quella costituente del nuovo soggetto politico della RnP, nella quale il confronto tra radicali deve as-so-lu-ta-men-te marginalizzare le posizioni provocatorie e disfattiste – insomma, quelle che Ferrara e i suoi garzoni stranoradicali stanno rifilando tra le lucidissime analisi di Bordin, Vecellio e Punzi, che più onesta attenzione riceverebbero in più appropriata sede?

E’ un sospetto odioso, mi rendo conto, e forse nasce da una delle mie tante carie del carattere: la permalosità. Io, per intenderci, e so che forse sbaglio, a uno che dà del “bastardo”, del “cialtrone”, del “bolso” o dell’“asino” a me, o a uno dei miei amici, non chiedo ospitalità: lo mando a fare in culo. Peraltro, nello specifico, un Dibattito radicale non posso organizzarmelo altrove? Volendo proprio cedere a quella fame di attenzione che è dei radicali, come di chiunque abbia troppo a lungo gridato nel deserto, vado a chiedere attenzione al Foglio? Alla più schifosa delle officine di mistificazione che la deriva clericofascista del centrodestra abbia saputo reclutare? Al giornale dove quei due o tre poveretti che si dicono radicali sono tutto l’anno in ostaggio della linea editoriale decisa dal signor direttore, per essere esibiti, due giorni prima delle elezioni, nell’apposito articoletto con le dichiarazioni di voto della redazione, come bella garanzia di pluralismo? I radicali, insomma, se ne sono accorti che il Foglio non è più il Foglio di tre anni fa, ma una centrale di propaganda clericofascista sotto la copertura di un giornalino mezzo freak e mezzo dandy, da 8.000 copie al giorno (finanziamento pubblico permettendo)?

Dicevo: non è che Giuliano Ferrara sta usando ancora i radicali? Mi è d’obbligo la specifica alla causale. Continuo con la forma aperta dell’interrogazione: che differenza c’è tra Giuliano Ferrara e Carlo Giovanardi, o Alfredo Mantovano? Una sola differenza: quando a Ferrara non salta il tappo di cui sopra, coi radicali fa il carino, sgancia la battutina amicale, rifila il complimentuccio. Giovanardi e Mantovano no, vivaddio. Personalmente li preferisco: non mi fanno mistero di cosa siano. Fossero direttori di un giornale – sono certo – non userebbero un Bandinelli, un Teodori e un Vincino per speziare la più che frolla carogna del culturame neoguelfo. A loro modo, Giovanardi e Mantovano sono dei galantuomini, e almeno a me strappano due grammi di rispetto. Ferrara no, Ferrara è molto peggio dei padroni che di volta in volta serve. E di quel peggio mena pure vanto, è stato in grado di cucirselo addosso come una livrea. E’ l’esatto contrario di ciò che è radicale e liberale, sarà per questo forse che talvolta scappa l’inconsapevole e reciproca fascinazione. Ma nella maniera e nella misura nella quale usa i radicali, come chiunque possa essergli utile, è pericoloso, dovrebbe essere evitato. Peraltro, è mai stata fausta mascotte di qualcuno?

 

 

A posteriori

 

Ieri, esprimevo con qualche riserva un dubbio: il Foglio gioca sporco con i radicali della RnP? Oggi, alla luce di quanto (e come) argomentato in uno degli editoriali di pag. 3, sciolgo la riserva: mi pare di poter dire che non c’è più alcun dubbio, il Foglio gioca sporco. Se si trattasse di un qualsiasi altro giornale, trarrei da questa conclusione un motivo di soddisfazione prossimo all’orgoglio. Ma si tratta del Foglio, che non è un giornale, ma un’agenzia che ha metodo e fine analoghi a quelli della Op di Mino Pecorelli, con un pericolo in più per chi è degnato dalle sue attenzioni: Pecorelli – dicono le carte dei magistrati – disinformava per ricattare, Ferrara disinforma per stabilizzare o destabilizzare (sia pure piccoli, ma strategici) momenti di elaborazione politica. Per “elaborazione” intendo: il nucleo sensibile dei conflitti dialettici, le spesso sotterranee linee di fratture e ricomposizione dei piani motivazionali che articolano la politica. E’ teppismo, quello di Ferrara è teppismo puro: si tratta del tipico mascalzone, del fetente matricolato che il potere delle conventicole parassitarie ha assoldato per spostare quei (sia pure piccoli, ma strategici) pesi che fanno o disfano gli equilibri. Ogni fine è sempre secondo o terzo: sicché la difesa dell’embrione non c’entra un cazzo con l’embrione, l’Occidente è un fondale di cartapesta, la ricerca del senso è fumiganza per stordire i tordi. Do una traccia: l’uso dell’ironia. L’ironia del Foglio è un modo per spargere la calunnia in forma di esercizio polemico; e la rivendicazione dell’ironia, quando la calunnia rimane scoperta dall’esercizio fallito, lamenta un diritto negato, il diritto al teppismo per filiazione al potere. E si tratta di lamento “alto”, trofeo di preda, una qual certa specie di “nobiltà” che fonda sul pregiudizio. Dove sia la linea di affondamento di questo pregiudizio è fin troppo chiaro: l’Italietta degli anni ’50, il fertile pattume dove ogni verme aveva un senso se utile (se utilizzabile).

Ferrara, oggi, mette sullo stesso piano la richiesta di riconteggio delle schede contestate dalla Cdl e la battaglia di legalità che la RnP ha ingaggiato con quelle oligarchie che sono il fertile pattume dell’Italietta d’oggi, che prima sgravano una “porcata” di legge e poi non sanno neanche rispettarla alla lettera. Alla larga da Ferrara, amici della RnP, alla larga dal Foglio. 

 

 



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