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Diciotto volte Emma Bonino, fino alla fine

5 maggio 2006

di Luigi Castaldi

Per l’elezione del nuovo Capo dello Stato vorrei che dall’urna uscissero almeno diciotto schede recanti il nome di Emma Bonino, dal primo all’ultimo scrutinio. Vorrei che i diciotto parlamentari della Rosa nel Pugno rinunciassero a far confluire il loro voto su altri candidati, utile o no che fosse la loro quota all’elezione di questo o a quello. Fossi parte della dirigenza della Rosa nel Pugno, non lo annuncerei ufficialmente: mi limiterei a farlo e basta. Venissero a chiedere quei diciotto voti, risponderei che sono a disposizione solo per un nome più degno di Emma Bonino: si sforzassero a cercarlo, se possibile.

A partire da questo appuntamento che i fatti stanno rivelando essere più politico che istituzionale (nella ben nota tradizione del concepire l’istituto presidenziale come garante e tutore del raggiunto compromesso tra avverse cordate di oligarchie partitocratiche, per stallo o per resa di conti) – a partire da lunedì 8 maggio, e fino a quando le oligarchie partitocratiche avranno trovato stallo in un Giuliano Amato, o resa dei conti in un Massimo D’Alema (tutt’al più nel forsennato rilancio della posta in gioco per il compromesso, e allora si rifarà il nome di Ciampi, nonostante il suo gran rifiuto) – vorrei, dicevo, che la Rosa nel Pugno dimostrasse, e in questo modo, col nome di Emma Bonino, la sua indisponibilità alla logica che intenderebbe neutralizzare il suo specifico. Quale specifico? Si fa prima col dire quale sia la logica che potrebbe portare chi la incarna a chiedere quei diciotto voti: ne è la negativa. Questa logica è la cifra autoreferenziale del sistema che legittima l’oligarchia partitocratica, ne è la causa e l’effetto.

 

L’abbiamo letta chiaramente in una recente comparsata televisiva di Clemente Mastella. Si parlava del dicastero della Difesa, si congetturava su chi potesse esserne il titolare nel governo Prodi. Mastella era tranquillo, abbottonato nella splendida strafottenza di chi ben sa che per avere quel dicastero non ha alcuna importanza saper parlare inglese e arabo, non ha alcuna importanza aver maturato esperienze sul campo, non ha alcuna importanza la stima pressoché unanime raccolta per quelle pertinenze, e che dunque ben sa che non è tenuto a darne conto. Tranquillo, appena un poco infastidito del fatto che la questione si stesse discutendo in pubblico, come questione appunto. Del gioco che si gioca tra assegnato e assegnatario si sussurri eventualmente nella lingua dell’esplicito non-detto, sia data piena la libertà creativa ai retroscenisti, fioriscano le glosse a margine del diario cortigiano. La logica che piazza l’uomo sbagliato al posto sbagliato, perché altrettali piazzamenti si reggano l’un l’altro, continui a fondare su questo arbitrio demotivato di ragioni da rendere, di meriti da onorare, affinché si continui a fare strame di ragioni e di meriti.

Ragioni e meriti attengono al diritto, la logica di tutte le oligarchie le rigenera e le potenzia in eccezione al diritto: l’eccezione è data perché costituisca un precedente; la storia dei precedenti fonderà un diritto parallelo. Mastella non aveva alcun bisogno di legittimarsi a candidato per quel dicastero in forza di altri meriti se non quello di essere – ecco lo specifico, nel suo inverso – organico alla logica dell’oligarchia partitocratica, quella per la quale confrontare ragioni e meriti è volgare (del volgo, del demos – insomma, roba democratica, bleah!): vinca il diritto parallelo che ha chiuso l’elenco delle interscabiabili classi di assegnati e assegnatari.

E’ così che continuerà a vincere la versione ufficiale (scritta dagli assegnati, sotto dettatura degli assegnatari) secondo la quale chi chiede il rispetto della lettera legislativa è un molesto, e molesto e mezzo chi beve le proprie urine perché sia fatto pieno un plenum, o si permetta di segnalare che nelle carceri italiane – toh! – si muore.

Mastella ha dalla sua – e quella sera la sfoggiava col blasone dell’inconcludenza – la lunga fedeltà alla logica che porta all’incasso la cambiale nei punti sensibili dello stallo e della resa dei conti,  addirittura (e forse con più disinvolto sventolar di cambiale) nel rilancio della posta in gioco, indifferentemente. Mastella ha grazia di chi non sarà mai molesto troppo a lungo: un aggiustamento si troverà sempre. 

 

Diciotto volte Emma Bonino, fino all’ultimo scrutinio. Sarebbe l’immiserimento del già esiguo peso di contrattazione politica che la Rosa nel Pugno ha strappato alle urne del 9 aprile? Propongo forse la posizione velleitaria di chi isterilisce in mera testimonianza l’irriducibilità alle normali regole della contrattazione politica? Se questa (hic et nunc) è la normalità, sto proponendo la contenta fuga nell’irrilevanza politica? Tutt’altro, sarebbe la rottura di quella logica, sarebbe il granello di sabbia in quell’ingranaggio che ad ogni ruota fissa ne giustappone due o tre gregarie, interscambiabili.

Fuori dal Parlamento, i radicali non erano un problema per le oligarchie partitocratiche: bastava silenziarli, nasconderli, tutt’al più rinfacciando loro quel peccato originario di movimentismo (Dino Cofrancesco) che è la versione meno rozza e greve del rutto fatto in faccia a Marco Pannella da Oscar Luigi Scalfaro al Senato: “Si faccia eleggere!” (come se, a norma di legge, Pannella non fosse stato eletto per poi essere scippato del suo seggio per quei frattali di “porcate” che gemmano da leggi “porcate” – vengono dette “interpretazioni”, lavoretti che si appaltano ai magistrati amici).

Nel Parlamento, nella Rosa nel Pugno, nel dichiarato impegno a un programma di governo che è tutto nel nome di “questo Prodi” (del Prodi che a differenza di Berlusconi, almeno a parole, ha detto di non voler “sottovalutare” la questione radicale), i radicali possono (secondo me, dovrebbero) ribadire l’indole movimentista, spiegare al Paese con la loro ferma e cocciuta coerenza, che le ragioni del movimentismo sono di quel demos che pare volgare a Mastella. Possono (secondo me, dovrebbero) ribadire che senza ragioni e senza meriti (se non quelli che si maturano nella logica autoreferenziale dell’oligarchia partitocratica) non c’è politica, tutt’al più il regolamento del bordello che sta nella periferia della polis.

 

Capiranno, gli oligarchi del centrosinistra e del centrodestra? (Sì, questa coerenza parla anche a quelli del centrodestra: nulla di certo è sotto il nostro cielo.) Capiranno, capiranno. Capiranno i compagni dello Sdi? Capiranno, non possono non capire. Capiranno gli elettori che hanno votato Rosa nel Pugno? Se non hanno mandato quei diciotto alla Camera solo perché avevano qualche scrupolo a mandarci diciotto Mastella, si meritano di sentire dire forte per diciotto volte ad ogni scrutinio: Emma Bonino, Emma Bonino, Emma Bonino…



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