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L’ex terrorista Sandalo: “Vi racconto cosa so sull’onorevole D’Elia

• da Il Giornale del 5 giugno 2006, pag. 1

di Stefano Zurlo

“Ho fatto un giuramento. E non ho mai svelato quel segreto. Ma ora, ventisette anni dopo, è giunta l’ora di dire la veritĂ ”. Roberto Sandalo, un nome storico dell’eversione italiana, militante di Prima Linea e poi pentito, viene subito al dunque: “C’è una rapina, una rapina finita nel sangue, che è sempre sfuggita alla contabilitĂ  delle azioni terroristiche attribuite a Prima Linea”.

 

Di che episodio parla?

“Un colpo in banca per autofinanziare l’organizzazione”.

 

Dove?

“In Toscana, fra il 1978 e il 1979. Morì una guardia giurata”.

 

At. PerchĂ© tirare fuori quell’episodio proprio oggi?

Sandalo è nel salotto di casa sua, a Torino. E’ un uomo libero, si è sposato e, come si dice in questi casi, si è rifatto una vita. Ma il passato, con il suo carico di dolore, brucia ancora: “PerchĂ© in questi giorni è esploso il caso D’Elia. Si fa un gran parlare di quella sciagurata stagione e lo stesso D’Elia fa mille distinguo. Farebbe bene a raccontare tutta la storia di quegli anni e ad assumersi le proprie responsabilitĂ ”.

 

Che cosa manca a quella storia?

“Almeno quella rapina”.

 

Lei faceva parte di quel commando?

“No”.

 

Allora il suo racconto è indiretto?

“Esatto. Ma un compagno di Prima Linea di Torino nel 1979 mi raccontò come erano andate le cose”.

 

Che cosa le disse?

“Dunque, qualche mese prima il gruppo toscano aveva messo gli occhi su quella banca. Sembrava un colpo facile, in un paesino. Si stimava un bottino possibile intorno ai cento milioni”.

 

Proceda.

“Prima Linea per chi non lo sapesse disponeva di una struttura militare. C’era una catena di comando precisa: le cose non avvenivano per caso”.

 

Che vuol dire?

“Il gruppo toscano, ai cui vertici c’era D’Elia, non agì da solo”.

 

I toscani chiesero aiuto?

“Si formò un gruppo di fuoco reclutato su base nazionale”.  

 

Lei sa chi partecipò alla rapina?

“C’era Marco Donat Cattin, arrivato da Milano. Poi c’era un compagno torinese. Poi c’erano due toscani. Quattro in tutto”.

 

Che accadde?

“La formazione entrò in azione, ma proprio all’ingresso ecco l’imprevisto”.

 

La guardia giurata?

“Purtroppo sì. Qualcuno, presumibilmente il mio compagno torinese, fece fuoco. Quel poveraccio morì in nome di una rivoluzione assurda”.

 

I soldi furono preci?

“Non so il seguito. So che un giorno, nel 1979 quel giovane mi disse: c’è stato un omicidio, speriamo che non venga mai fuori. E mi descrisse il fatto”.

 

Lei?”Giurai di tenere tutto per me”.

 

E’ stato di parola.

“Sì. Nel 1980 dopo l’arresto, ho raccontato tutto, ho detto perfino che nell’ambiente di Lotta Continua, da cui proveniva buona parte del gruppo torinese di Prima Linea, si dava per scontato che l’omicidio Calabresi fosse maturato in casa. Ma ho taciuto su quella rapina per rispetto a quell’amico. Anzi, a quel giuramento”.

 

Qualche magistrato avrĂ  pure indagato su quella morte?

“Che io sappia fu archiviata come opera di ignoti. Certo io non ho mai fatto cenno e non ne hanno mai parlato neanche i dissociati di Prima Linea. Ma, sicuramente, in quell’azione c’era un ruolo del gruppo toscano capeggiato da D’Elia”.

 

Che successe al presunto rapinatore torinese?

“Fu arrestato, è rimasto in carcere per otto anni, oggi è perfettamente reinserito nella societĂ . Non mi chieda il suo nome, non mi sento di divulgarlo in un’intervista”.

 

L’ha piĂą sentito?

“No. Ma è giunto il momento di dire tutto. Proprio tutto. Non accetto i ragionamenti contorti di D’Elia che si sfila da quel passato. Lui era il numero uno del gruppo toscano, un gruppo importante, un gruppo che arrivò a un pelo dall’uccidere anche il giudice Pier Luigi Vigna. D’Elia dica tutta la veritĂ : io me lo ricordo a Milano, nell’aprile 1979, nella base di via Vincenzo Monti, armato con un revolver Smith & Wesson 28 special che si era portato da Firenze. Io la veritĂ  la devo ai morti: da una parte e dall’altra. La devo al vigile urbano Bartolomeo Mana, che il 13 luglio 1979 morì in una colluttazione con me. E la devo ai due militanti Natteo Caggegi e Lucio Di Giacomo che io reclutai e che persero la loro giovane vita in due conflitti a fuoco con le forze dell’ordine a Torino e a Monteroni d’Arbia, fra Siena e Firenze. Sognando una rivoluzione che non è mai arrivata. Io per quelle esistenze andate allo sbaraglio provo ancora un grande rimorso”.



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