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Schola Scholae

19 luglio 2006

di Luigi Castaldi

Nell’omelia in occasione della Festa del Redentore (anticipata in ampli stralci sull’Avvenire, domenica 16 luglio, col titolo Liberi educare per rafforzare la democrazia) il cardinal Angelo Scola – non vedo una terza ipotesi – tenta di confonderci senza riuscirci o riesce a dimostrare che è confuso. Fin dall’inizio, lì dove si prepara ad illustrare l’opzione politica della Chiesa cattolica sul comparto educativo dello Stato italiano (come se il Dalai Lama suggerisse la riforma del sistema scolastico al governo canadese), questo lungo testo mostra il suo limite esiziale nel fondare il da venire sull’indimostrabile – che però è dato per dimostrato dalla pacifica evidenza. Se non è confuso il cardinale, o se non vuole confonderci, la questione può stare solo in questi termini: il cardinale cerca di fotterci, ma finisce col fottersi.

L’educazione è, in sintesi, la capacitĂ  di mettere consapevolmente in relazione la persona con la realtĂ ”. Ok, basta mettersi d’accordo su cosa stiano a significare termini come relazione, persona e realtĂ . Ma saltiamo a pie’ pari ‘sti preliminari sennò ci infrattiamo e non ne usciamo piĂą: diciamo che, sì, quella di Sua Eminenza può essere una decente definizione di educazione. Ma, appena messo il punto, cosa mi attacca, Sua Eminenza? “L’Eucaristia è evento paradigmatico di educazione”.

Ma, allora, dobbiamo infrattarci per forza? Tacitamente abbiamo convenuto che non ci mettevamo a spaccare il pelo in quattro su relazione, persona e realtĂ  – e adesso? Adesso, in automatico, Sua Eminenza vuol farmi passare ben tre equivalenze: relazione = eucaristia; persona = credente; realtĂ  = Cristo. Mi pare un po’ troppo. Infatti, solo a farne passare una (persona = credente) passano le altre due: per un credente, Cristo è reale; per un credente, nell’ostia, ci sono davvero il suo sangue e il suo corpo. E per chi non crede? Che paradigmaticitĂ  di educazione può avere questo assunto? Su cosa fonderebbe l’evidenza pacifica che dovrei bermi dalla mescita di Sua Eminenza? Su un passo di San Paolo? Mi pare esagerato – come se il Dalai Lama prendesse un versetto da La Trentina della Suprema per dimostrare che la reincarnazione non è mica una bubbola. Eppoi, che dice, San Paolo?

Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso” (1Cor 11, 23) – e Sua Eminenza insiste: “una definizione perfetta, e non solo per i cristiani, della dinamica educativa”.

Come, “non solo per i cristiani”? Prendiamo il Dalai Lama: può essere trasmesso a lui quello che San Paolo ha preso dal Signore, aspettandosi che l’accetti come pacifica evidenza? Io sarei portato a dire: no. E sarei portato a dire: non si può certo fargliene una colpa. Sarei portato anche a dire: perchĂ© a lui no, e a noi sì?

In altri termini: Sua Eminenza afferma che “ogni comunicazione di sapere”, “con il contributo della intera comunitĂ  di appartenenza”, “deve tendere” a “una traditio aperta all’ad-ventura (al futuro), poggiata sulla testimonianza, tesa a che la libertĂ  dell’educando vada incontro al reale con umile curiositas, ne assapori la pienezza, non si blocchi di fronte alla contraddizione e al male suo e degli altri”; ora, questo schema va benissimo per un ragazzetto che deve entrare in seminario (potrĂ  andar bene anche per il bimbo tolto alla famiglia naturale, per essere chiuso in un convento, perchĂ© è la reincarnazione numero tot del Dalai Lama) – ma può andar bene per “ogni” forma educativa? Nelle culture che distinguono tra chierici e laici i ruoli della trasmissione di un dogma fino alla sua riduzione a “pacifica evidenza”, sì. In quel caso, la “testimonianza” è essa stessa la sostanza della traditio – se “ne [può] assapor[are] la pienezza” solo dando per scontato che il “reale” = Cristo. E mettendoci una curiositas quanto piĂą possibile “umile”, sennò il “reale” cede. Insomma: se le materie d’insegnamento sono Catechismo e Magistero, il paradigma dell’educazione può ben esser questo di cui Sua Eminenza ci fa l’elogio – sennò? Sennò, niente – Sua Eminenza, questo, non lo prende in considerazione.

Sua Eminenza, invece, argomentando per 4000 e piĂą battute, arriva a una seconda affermazione, altrettanto impegnativa e altrettanto prescrittivi (“altrettanto” vuol dire proprio “altrettanto”): “Lasciarci alle spalle il modello della scuola unica per scegliere fino in fondo la strada dell’attuazione del pieno diritto alla libertĂ  di educazione riconosciuta ai soggetti che ne sono detentori”.

Chi sono, costoro? “In primis […]i genitori e […]le famiglie”. Molto bene. E se i genitori e le famiglie non sanno come usare questo diritto? Cioè: se mamma e papĂ  non sanno una mazza di biologia, a chi dovranno delegare l’insegnamento della materia ai propri figli? Ecco il punto: questa “libertĂ  di educazione” è innanzitutto libertĂ  di educare i propri figli – è una libertĂ  dei genitori – ed è una libertĂ  che spesso dovrĂ  servirsi di una delega. Come, e quando, è anche “libertĂ  educativa” dei figli? Probabilmente, quando invece di trasmettere una traditio (e vorrei attirare l’attenzione sul fatto che anche una è in corsivo) si trasmettono gli strumenti, i metodi e le tecniche di apprendimento, e quando il materiale che si trasmette è sottoposto al saggio critico. Sua Eminenza chiede: “non si blocchi di fronte alla contraddizione e al male suo e degli altri”.

Non ci siamo: è una condizione che pone il conflitto la libertĂ  educativa dei genitori rispetto a quella dei figli – rende gli uni e gli altri pezzi di una macchina che trasmette, catena nella quale i singoli anelli devono essere legati sennò lo svolgimento della traditio ha un’interruzione. In questo paradigma che tanto piace a Sua Eminenza lo scopo è la realtĂ  da trasmettere – e dando per scontato che realtĂ  = Cristo – non le persone (se non in quanto credenti, in quanto Ecclesia, in quanto parti della trasmissione di una realtĂ  (Cristo) che si identifica con gli stessi strumenti della trasmissione. Insomma, il paradigma del cardinal Angelo Scola – per quanto possa suggestionare qualche pischello liberale che voglia vederci la possibile liberazione dell’individuo dall’Etica di Stato – è il paradigma della trasmissione culturale monastica, di cifra benedettina. Si tratta di un mondo offeso, aggredito, minacciato – che si rinserra, copia manualmente (spesso strafalcioni), si rinsalda, si prepara (come e quando, si vedrĂ , perchĂ© il se è dato per certo dalle profezie) all’universalizzazione del messaggio. Se il messaggio è la venuta di Cristo, nessun altro termine traduce meglio “universalizzazione” che il catĂ  òlos del cattolicesimo.

Non è liberale, Sua Eminenza, figurarsi. Cita autori anglosassoni, mostra d’aver sfogliato qualche paginetta profana – ma è il solito volpone clericale che cerca di fondare il monopolio – se non riconosciuto da una Costituzione, prima albertina e poi fascista, almeno de facto – di un’educazione che si autoproclami perfetta e incriticabile se mamma e papĂ  la delegano alla Chiesa e al suo potente braccio pedagogico. Solo che Sua Eminenza, come ogni buon volpone clericale, vuole i soldi dallo Stato, quando non li chiede direttamente all’individuo, dopo avergli detto che lui non è “individuo”, ma “persona”, anello che vale qualcosa solo se nella catena. Vuoi tu dissolvere questa catena?

L’unitĂ  del soggetto del sapere poggia su due principi che possono essere accettati da una societĂ  che si vuole autenticamente laica e plurale come quella italiana di oggi. Il principio della conoscibilitĂ  del reale e quello della capacitĂ  dell’umana ragione di ospitarlo”.

Vi siete fatti sviare da quell’“autenticamente laica e plurale”? Sua Eminenza l’ha messo lì apposta: perchĂ© vi scivolasse meglio che “l’unitĂ  del soggetto del sapere” (che fa a cazzotti con qualsivoglia aspetto del “plurale”) e possibile solo se sia fatto salvo il “principio della conoscibilitĂ  del reale” (chiedete a Sua Eminenza se realtĂ  = Cristo o no) e l’“umana ragione” si “capaciti” ad “ospitarlo”. Questo è quello che Sua Eminenza intende per “libertĂ ”, non altro: che la “capacitĂ ” sia l’ampiezza del recepire la realtĂ  – la sua realtĂ . Se l’individuo, pardon, la persona – cioè “il figlio di…”, “il padre di…”, “il battezzato del tal diocesi” – è “capace” di trasmettere la traditio, tutto bene. Sennò? Sennò, cosa? Vorreste mica capacitarvi d’altro che della traditio?



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