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Il mio sampietrino contro Lama

• da La Stampa.it del 12 gennaio 2007

di Lucia Annunziata

Il pianto, il fumo e le grida funzionavano come un ipnotizzante - l’adrenalina e la confusione erano inarrestabili dentro e fuori del corpo. Sulla mano pesava un sampietrino - uno di quei cubi di pietra scura, con una faccia liscia e tre appena sbozzate, usati per pavimentare le strade e lasciati spesso in giro nei lavori in corso. Un possente pezzo di materia inerte, dall’innocente aria di giocattolo, che piega il polso. Nell’aria volava di tutto, lanciai il mio, che fece un percorso breve e andò ad atterrare chissà dove - svanì, andò su un albero, su un braccio, su una testa? Si unì a quei punti neri uguali che passavano nel cielo sbiancato dalla nuvola di schiuma tracciando curve isolate... Dove finissero non era importante perché tutto sembrava irreale, salvo quel gesto di appartenenza. Nel momento in cui si staccò dalla mano mi riafferrò una grande calma, il biglietto era stato pagato, avevo fatto anche io omaggio al dio della rivolta.

Lama fuggì. Circondato dallo stesso stuolo di tute blu che lo rendeva quasi invisibile, come all’arrivo. Il gruppo era sudato, scomposto, affrettato. Tornai al giornale con quella stessa sensazione di leggerezza, il cervello che si muoveva rapido come i miei piedi. La stanza della redazione del manifesto è proprio davanti alla porta d’ingresso, e a quell’ora del mattino era già piena di fumo. Più difficile la situazione, più si fumava. Come i bambini, ormai riconoscevamo i segnali degli adulti. Cercai un posto a sedere stringendomi sulla sedia di qualcun altro, tirai fuori dalla tracolla un altro sampietrino e lo mostrai con orgoglio in giro. Mani si allungarono a toccarlo, sorrisetti complici lo salutarono. Rossana Rossanda si voltò di colpo e ingiunse: «Mettilo via». Lo rimisi in borsa di scatto, sorpresa della sua contrarietà. Ma nel depositarlo sul fondo della borsa, ne accarezzai il lato liscio. Ero molto orgogliosa di quella pietra. Aveva avuto il coraggio di volare contro quelli del Pci. Era un bel coraggio, a mio parere. Il giorno dopo mio padre, l’operaio comunista Raffaele, mi investì al telefono molto presto. Non osando criticare la mia partecipazione, criticò il mio articolo: «Di tutti i pezzi scelti per la giornata, il più stupido l’hai scritto tu!» «Non vi siete resi conto di quello che avete fatto...» In effetti forse pochi quel giorno capirono bene fino a che punto quell’episodio sarebbe stato decisivo. Al momento, però, quello che mio padre, Rossanda e gli altri non capivano era che a me, di Luciano Lama, non fregava assolutamente nulla.


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