Con la relazione «La politica monetaria del Governatore Baffi», Mario Draghi è intervenuto ieri all'Università Bocconi di Milano. Il Governatore della Banca d'Italia ha ripreso, con il suo intervento, la tradizione delle «Testimonianze di politica monetaria e finanziaria», appuntamento che si era interrotto da un decennio. L'iniziativa è promossa dal Centro di Economia monetaria e finanziaria della Bocconi. Pubblichiamo un ampio stralcio della relazione.
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Nell'estate del 1975, quando Paolo BafÂfi subentrò a Carli, l'economia era caÂduta nella recessione più acuta dal dopoguerra, innescata dallo shock petroliÂfero e dalla stretta creditizia concordata con l'Fmi per contrastare lo squilibrio nei conti con l'estero, l'impennata dell'inflazioÂne, il deprezzamento della lira.
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Lo shock colpì l'Italia nel pieno di un ciÂclo espansivo, in un momento di estrema debolezza del governo dell'economia. I saÂlari, con tassi di crescita annui che superaÂvano il 20%, avevano smarrito ogni riferiÂmento alla produttività ; la spirale svalutaÂzione-inflazione, anche a causa della perÂversa indicizzazione, appariva indomabile. I disavanzi del Tesoro, sospinti da aumenti della spesa pubblica fuori controllo, avevaÂno superato i valori compatibili con un fiÂnanziamento non inflazionistico: la Banca centrale, inascoltata, assisteva spettatrice. Nel contesto internazionale, l'opinione prevalente sul ruolo della politica monetaÂria stava cambiando: dal '74 la Bundesbank annunciava obiettivi per la quantità di moÂneta, la Federai Reserve, sotto la guida di Paul Volcker, avrebbe adottato obiettivi quantitativi monetari nel '79.
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Nelle sue prime Considerazioni Finali (lette il 31 maggio 1976) Baffi riteneva, riÂchiamando analoghe opinioni di Einaudi e Carli in momenti drammatici, che i pesanti condizionamenti posti dal contesto istituÂzionale non permettessero alla Banca cenÂtrale libertà di comportamento; sottolineaÂva come, in presenza di dissesto finanziaÂrio e di inflazione salariale, «il controllo della massa monetaria debba essere abbanÂdonato, per evitare, almeno nell'immediaÂto, mali maggiori».
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Obiettivo stabilitÃ
Ma non rinunciava a perseguire l'obiettiÂvo fondamentale: traghettare il Paese verÂso un assetto istituzionale in materia moÂnetaria che garantisse la stabilità monetaÂria nel più lungo periodo. Per l'avvio effetÂtivo di questo processo bisognerà aspettaÂre l'inizio degli anni 80, con il "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro promosso da Andreatta e da Ciampi; Baffi, riella fase storica che attraversò come GovernatoÂre, aprì una vera "battaglia della persuaÂsione", che doveva investire l'opinione pubblica e le forze politiche.
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Era sua convinzione che la politica moÂnetaria, per avere successo, dovesse appogÂgiarsi sul consenso da parte di tutta la socieÂtà intorno agli obiettivi da conseguire, tra questi la stabilità dei prezzi. L'Italia era anÂcora lontana da questa situazione: nel deÂterminare le decisioni di finanza pubblica e la dinamica salariale, prevaleva secondo Baffi un'alleanza tra diverse forze politiÂche e sociali che alimentava l'inflazione.
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Nella visione del Governatore, una riÂforma della costituzione monetaria richieÂdeva in primo luogo che il principio della tutela della stabilità della moneta divenÂtasse il cardine della gestione della politiÂca monetaria. Baffi considerava però un insormontabile ostacolo la mancanza, nel quadro giuridico italiano, di una disposiÂzione di legge che, come in Germania, affiÂdasse espressamente alla Banca centrale il compito di difendere la moneta.
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Sistematica fu la ricerca di appigli a soÂstegno dell'attribuzione alla Banca di un'autonoma responsabilità nel fissare e perseguire obiettivi di base monetaria: nel corso di riunioni interne si ipotizzò a più riprese di sollecitare l'assunzione di impegni a tal proposito da parte del GoÂverno o di utilizzare indicazioni in tal senso da parte delle istituzioni internaÂzionali, come la Cee o l'Fmi.
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Come ha ricordato un suo autorevole colÂlaboratore, egli si rivolse ai legali della BanÂca perché «frugassero in ogni meandro legiÂslativo alla ricerca del precetto desideraÂto». L'assenza di un quadro istituzionale ben definito costringeva a non semplici esercizi logici per affermare le ragioni della difesa monetaria: per Baffi il principio no taxation without representation, violato dall'inflazione in quanto pone in essere una redistribuzione arbitraria, era quello a cui appellarsi per investire l'istituto di emissioÂne del compito di difendere la moneta.
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In questa "battaglia della persuasione", Baffi discuteva frequentemente sulla stamÂpa le scelte di politica monetaria. Riteneva che annunciare obiettivi monetari fosse un elemento di trasparenza che avrebbe modiÂficato stabilmente il modus operandi delle banche centrali. Come avrebbe detto in seÂguito, «le azioni delle banche centrali sono uscite dal silenzio, forse per non più ritorÂnarvi: se quel silenzio è stato in passato perÂcepito come garanzia di indipendenza, ogÂgi l'indipendenza si realizza nel rendere conto esplicito della propria azione».(...)
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L'eredità del Governatore
Se, nel corso del mandato di Baffi, i risultati della lotta contro l'inflazione furono solo parziali, i successi che furono poi conseguiÂti nel corso degli anni 80 e 90 si devono anÂche al seme da lui gettato con il suo impeÂgno per una nuova costituzione monetaria.
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Durante il suo mandato fu posta la queÂstione della separazione di responsabilità fra Governo e Banca centrale; il processo messo successivamente in moto ha visto la cessazione, e poi il divieto, dei finanziaÂmenti monetari al Tesoro, l'attribuzione alla Banca del potere di manovra del tasÂso di sconto, il riconoscimento formale della sua indipendenza e, infine, l'assegnaÂzione ad essa, nell'ambito del Sistema euÂropeo di banche centrali, dell'obiettivo di stabilità dei prezzi.
Il compimento dell'autonomia ha tuttaÂvia richiesto un altro quindicennio, rileÂvanti riforme legislative e, da ultimo, un Trattato internazionale. Nel corso degli anni 80 e nei primi anni 90, con un'azione di riforma iniziata e stimolata anche dalla Banca d'Italia, sono stati creati mercati monetari e dei titoli pubblici ampi ed effiÂcienti; l'efficacia degli strumenti indiretti di controllo monetario è aumentata.
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La figura di Paolo Baffi Governatore può essere icasticamente rappresentata come quella di un traghettatore di idee, con tutta la fatica che questa espressione comporta. Il suo patrimonio culturale era liberale, conteneva più fermenti di moderÂnità di quanti ve ne fossero nella cultura politica ed economica del momento. Ma le durezze di quel tempo ne imprigionarono l'azione. Stiamo parlando di anni di proÂfonda divisione sociale, anni di terroriÂsmo, non dimentichiamolo.
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La percezione del dramma sociale era in Baffi dolorosamente acuta; ben lo sanno coÂloro che gli furono vicini in quegli anni e poterono raccogliere quelle tracce che il suo temperamento gli consentì di far filtraÂre. Gli avvenimenti successivi, nel nostro Paese e in Europa, e i conseguenti sviluppi della teoria economica, hanno confermato che l'efficacia della manovra monetaria dipende soprattutto dall'esistenza di un adeÂguato assetto istituzionale e dalla capacità di incidere sulle aspettative e sui comportamenti del pubblico; che, a sua volta, un adeÂguato assetto istituzionale non è indipenÂdente dal consenso politico e sociale.
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Esso comprende l'insieme di regole, scritte e non scritte, che guidano il comporÂtamento della Banca centrale, il riconosciÂmento formale dei suoi obiettivi e della sua indipendenza e un appropriato disegno degli strumenti, che garantisca efficaÂcia senza interferire con il funzionamento di un'economia di mercato.
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A noi Baffi, l'antitesi del politico, ha laÂsciato la convinzione che la politica econoÂmica trae la sua forza dal rigore dei comporÂtamenti, dall'essere condivisa dalla società nella quale esprime i suoi effetti.
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