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Paolo Baffi, il traghettatore

• da Il Sole 24 Ore del 16 marzo 2007, pag. 13

di Mario Draghi

Con la relazione «La politica monetaria del Governatore Baffi», Mario Draghi è intervenuto ieri all'Università Bocconi di Milano. Il Governatore della Banca d'Italia ha ripreso, con il suo intervento, la tradizione delle «Testimonianze di politica monetaria e finanziaria», appuntamento che si era interrotto da un decennio. L'iniziativa è promossa dal Centro di Economia monetaria e finanziaria della Bocconi. Pubblichiamo un ampio stralcio della relazione.

 

Nell'estate del 1975, quando Paolo Baf­fi subentrò a Carli, l'economia era ca­duta nella recessione più acuta dal dopoguerra, innescata dallo shock petroli­fero e dalla stretta creditizia concordata con l'Fmi per contrastare lo squilibrio nei conti con l'estero, l'impennata dell'inflazio­ne, il deprezzamento della lira.

 

Lo shock colpì l'Italia nel pieno di un ci­clo espansivo, in un momento di estrema debolezza del governo dell'economia. I sa­lari, con tassi di crescita annui che supera­vano il 20%, avevano smarrito ogni riferi­mento alla produttività; la spirale svaluta­zione-inflazione, anche a causa della per­versa indicizzazione, appariva indomabile. I disavanzi del Tesoro, sospinti da aumenti della spesa pubblica fuori controllo, aveva­no superato i valori compatibili con un fi­nanziamento non inflazionistico: la Banca centrale, inascoltata, assisteva spettatrice. Nel contesto internazionale, l'opinione prevalente sul ruolo della politica moneta­ria stava cambiando: dal '74 la Bundesbank annunciava obiettivi per la quantità di mo­neta, la Federai Reserve, sotto la guida di Paul Volcker, avrebbe adottato obiettivi quantitativi monetari nel '79.

 

Nelle sue prime Considerazioni Finali (lette il 31 maggio 1976) Baffi riteneva, ri­chiamando analoghe opinioni di Einaudi e Carli in momenti drammatici, che i pesanti condizionamenti posti dal contesto istitu­zionale non permettessero alla Banca cen­trale libertà di comportamento; sottolinea­va come, in presenza di dissesto finanzia­rio e di inflazione salariale, «il controllo della massa monetaria debba essere abban­donato, per evitare, almeno nell'immedia­to, mali maggiori».

 

Obiettivo stabilità

Ma non rinunciava a perseguire l'obietti­vo fondamentale: traghettare il Paese ver­so un assetto istituzionale in materia mo­netaria che garantisse la stabilità moneta­ria nel più lungo periodo. Per l'avvio effet­tivo di questo processo bisognerà aspetta­re l'inizio degli anni 80, con il "divorzio" tra Banca d'Italia e Tesoro promosso da Andreatta e da Ciampi; Baffi, riella fase storica che attraversò come Governato­re, aprì una vera "battaglia della persua­sione", che doveva investire l'opinione pubblica e le forze politiche.

 

Era sua convinzione che la politica mo­netaria, per avere successo, dovesse appog­giarsi sul consenso da parte di tutta la socie­tà intorno agli obiettivi da conseguire, tra questi la stabilità dei prezzi. L'Italia era an­cora lontana da questa situazione: nel de­terminare le decisioni di finanza pubblica e la dinamica salariale, prevaleva secondo Baffi un'alleanza tra diverse forze politi­che e sociali che alimentava l'inflazione.

 

Nella visione del Governatore, una ri­forma della costituzione monetaria richie­deva in primo luogo che il principio della tutela della stabilità della moneta diven­tasse il cardine della gestione della politi­ca monetaria. Baffi considerava però un insormontabile ostacolo la mancanza, nel quadro giuridico italiano, di una disposi­zione di legge che, come in Germania, affi­dasse espressamente alla Banca centrale il compito di difendere la moneta.

 

Sistematica fu la ricerca di appigli a so­stegno dell'attribuzione alla Banca di un'autonoma responsabilità nel fissare e perseguire obiettivi di base monetaria: nel corso di riunioni interne si ipotizzò a più riprese di sollecitare l'assunzione di impegni a tal proposito da parte del Go­verno o di utilizzare indicazioni in tal senso da parte delle istituzioni interna­zionali, come la Cee o l'Fmi.

 

Come ha ricordato un suo autorevole col­laboratore, egli si rivolse ai legali della Ban­ca perché «frugassero in ogni meandro legi­slativo alla ricerca del precetto desidera­to». L'assenza di un quadro istituzionale ben definito costringeva a non semplici esercizi logici per affermare le ragioni della difesa monetaria: per Baffi il principio no taxation without representation, violato dall'inflazione in quanto pone in essere una redistribuzione arbitraria, era quello a cui appellarsi per investire l'istituto di emissio­ne del compito di difendere la moneta.

 

In questa "battaglia della persuasione", Baffi discuteva frequentemente sulla stam­pa le scelte di politica monetaria. Riteneva che annunciare obiettivi monetari fosse un elemento di trasparenza che avrebbe modi­ficato stabilmente il modus operandi delle banche centrali. Come avrebbe detto in se­guito, «le azioni delle banche centrali sono uscite dal silenzio, forse per non più ritor­narvi: se quel silenzio è stato in passato per­cepito come garanzia di indipendenza, og­gi l'indipendenza si realizza nel rendere conto esplicito della propria azione».(...)

 

L'eredità del Governatore

Se, nel corso del mandato di Baffi, i risultati della lotta contro l'inflazione furono solo parziali, i successi che furono poi consegui­ti nel corso degli anni 80 e 90 si devono an­che al seme da lui gettato con il suo impe­gno per una nuova costituzione monetaria.

 

Durante il suo mandato fu posta la que­stione della separazione di responsabilità fra Governo e Banca centrale; il processo messo successivamente in moto ha visto la cessazione, e poi il divieto, dei finanzia­menti monetari al Tesoro, l'attribuzione alla Banca del potere di manovra del tas­so di sconto, il riconoscimento formale della sua indipendenza e, infine, l'assegna­zione ad essa, nell'ambito del Sistema eu­ropeo di banche centrali, dell'obiettivo di stabilità dei prezzi.

Il compimento dell'autonomia ha tutta­via richiesto un altro quindicennio, rile­vanti riforme legislative e, da ultimo, un Trattato internazionale. Nel corso degli anni 80 e nei primi anni 90, con un'azione di riforma iniziata e stimolata anche dalla Banca d'Italia, sono stati creati mercati monetari e dei titoli pubblici ampi ed effi­cienti; l'efficacia degli strumenti indiretti di controllo monetario è aumentata.

 

La figura di Paolo Baffi Governatore può essere icasticamente rappresentata come quella di un traghettatore di idee, con tutta la fatica che questa espressione comporta. Il suo patrimonio culturale era liberale, conteneva più fermenti di moder­nità di quanti ve ne fossero nella cultura politica ed economica del momento. Ma le durezze di quel tempo ne imprigionarono l'azione. Stiamo parlando di anni di pro­fonda divisione sociale, anni di terrori­smo, non dimentichiamolo.

 

La percezione del dramma sociale era in Baffi dolorosamente acuta; ben lo sanno co­loro che gli furono vicini in quegli anni e poterono raccogliere quelle tracce che il suo temperamento gli consentì di far filtra­re. Gli avvenimenti successivi, nel nostro Paese e in Europa, e i conseguenti sviluppi della teoria economica, hanno confermato che l'efficacia della manovra monetaria dipende soprattutto dall'esistenza di un ade­guato assetto istituzionale e dalla capacità di incidere sulle aspettative e sui comportamenti del pubblico; che, a sua volta, un ade­guato assetto istituzionale non è indipen­dente dal consenso politico e sociale.

 

Esso comprende l'insieme di regole, scritte e non scritte, che guidano il compor­tamento della Banca centrale, il riconosci­mento formale dei suoi obiettivi e della sua indipendenza e un appropriato disegno degli strumenti, che garantisca effica­cia senza interferire con il funzionamento di un'economia di mercato.

 

A noi Baffi, l'antitesi del politico, ha la­sciato la convinzione che la politica econo­mica trae la sua forza dal rigore dei compor­tamenti, dall'essere condivisa dalla società nella quale esprime i suoi effetti.

 



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