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Addio, radicali. Arrivederci, liberali

4 aprile 2007

di Luigi Castaldi

Apro questa pagina di Microsoft Office Word mentre di là, su Outlook Express, ho ancora aperta e non conclusa una e-mail che attacca in questo modo: “Cara Rita, ti comunico le mie irrevocabili dimissioni dalla Direzione nazionale di Radicali italiani…”. Vorrei che questa e-mail fosse di poche righe, ma contenesse tutte intere le ragioni che mi portano via da quella che, in un modo o in un altro, è una responsabilità che non posso più onorare: quella di dirigente, ma anche quella di militante, perché per me – dirigente per caso – sono una sola cosa.  Proverò a stendere qui queste ragioni, riassumendole di là per sottrazione, perché la brevitas è un genere letterario estremamente pericoloso quando non è il sottrarre lasciando traccia, ma il lasciar traccia d’un insottraibile. Nella mia e-mail a Rita Bernardini non vorrei correre questo pericolo: vorrei che il mio lasciare i Radicali italiani alla loro strada lasciasse traccia delle mie ragioni, sottraendo me da esse. Sì, lo so, forse è un po’ complicato, e forse la complicazione nasce proprio dall’aver voluto prendere ad esempio di questa sottrazione la brevitas che ho scelto. Il fatto è che delle ragioni che mi muovono a questo passo potrei riempire un grosso volume, ma so già che sarebbe preso per mattone scagliato a infrangere la bacheca che raccoglie una nobile tradizione, antica di mezzo secolo, nella quale anche le miserie sono andate a maturare come glorie, e non voglio. Voglio piuttosto che questo addio sia spoglio della mia faccia e del mio nome, e lasci solo traccia delle mie ragioni. Penso che possa andar bene la cronistoria a ritroso.

 

Stanotte ho riascoltato per tre volte, tutta intera, la consueta conversazione domenicale tra Marco Pannella e Massimo Bordin, e almeno dieci volte – all’inizio e alla fine dell’intero file audio – i brani relativi alla questione cui darei per titolo La religiosità di Marco Pannella. Volevo trovare le ragioni per considerare le affermazioni di Marco Pannella non incompatibili col mio restare in Radicali italiani, ma ad ogni riascolto quelle frasi mi davano uno strappo, e quando ho finalmente chiuso la finestra di Real Player ero già lontano dalla mia esperienza di questi ultimi anni in quella che ho d’un tratto visto come setta cristiana. Anticlericale, certo, ma cristiana. Non è stata una rivelazione, ovviamente. Più volte, su quest’anima cristiana di Marco Pannella e dei suoi radicali, ho polemizzato anche pesantemente (a partire dal giudizio sul Concilio Vaticano II e sull’opportunità di alleanze con esponenti della “base” cattolica o del protestantesimo); ma avevo sempre considerato questa “sin-patia” un tic, e avevo considerato certe (nemmeno tanto implicite) consonanze formali e sostanziali) come partecipazione di una dimensione estetica, di una metafora presa in prestito dalla costellazione simbolica cristiana (soprattutto dalla liturgia eucaristica), necessitata dalla personale esperienza culturale (di Marco Pannella e di altri radicali) come prodotto di un elaborato etico-estetico. Gli anni della segreteria di Daniele Capezzone – gli anni nei quali mi sono avvicinato a Radicali italiani – avevano in parte attenuato (o almeno reso meno visibile all’occhio di guardava dall’esterno) questa natura mistica del corpo radicale, che traeva proprio dallo specifico cristiano la radice psico-antropologica, quasi a far intendere che si trattasse della sua radice storica (il personalismo di Mounier, il modernismo di Murri, la religione laica di Capitini, ecc.), necessitata e non necessitante. Non era così: non a entrarci dentro e a constatare che quella radicale era (voleva e non sapeva essere altro che) un’eresia sporulata dal cattolicesimo, riccamente (perfino fertilmente) contaminatasi di protestantesimo, azionismo, liberalismo, socialismo, (può sembrare strano, ma pure di) esistenzialismo, e di qualche corrente della new age – ma intimamente cristiana, cioè fatta di annuncio, incarnazione, sacrificio, resurrezione, gloria dell’avvento, apocalisse finale. “Laicamente”: la “fine della storia”, il regno dei cieli come federazione mondiale delle democrazie. Non erano folklorici cascami estetici degli anni ’60 e ’70, quelli che ispiravano, in Angiolo Bandinelli e in Francesco Pullia (solo per fare qualche nome tra i più enfatici ostensori di questa bizzarra ostia laica), i (per me) urticanti richiami alla religiosità di un “Dio altro”: non erano – sono sempre più andato convincendomi, forse troppo lentamente – residuali forme della metafora anticlericale, e non erano neppure strumenti tattici miranti ad allargare lo scisma sommerso dell’arrocco vaticano in Italia. Né era un infortunio paralogistico, in Marco Pannella, quel “credente in altro” nel quale erano costantemente archiviate (e perciò liquidate) le posizioni ateistiche ed agnostiche. No, quella (per me) insopportabile retorica di Bandinelli, di Pullia e dei sempre troppo enfatici loro glossatori era il Verbo stesso – l’originale, personalissima lettura del Verbo cristiano – letto (ma dovrei dire, per onestà, vissuto) da Marco Pannella e dato come eucaristia in pasto a chi meglio sapesse digerirlo, assorbirlo, per farsene vivificare in testimonianza (privata e pubblica, perché “il personale è politico”). Testimone (e dunque martire) di se stesso, Marco Pannella, e della sua personale lettura del Verbo cristiano: eresia affascinante, ma dall’alveo cristiano, dal “non potersene non dire” uscente e rientrante, perché ogni eresia mira ad essere nuova ortodossia, se vincente. Ma forse qui sto correndo troppo, sono già quasi al finale, non sto tenendo fede alla mia cronistoria a ritroso. Riprendo da quei passi della conversazione domenicale cui accennavo prima. Qui Marco Pannella dice:

 

«Sergio D’Elia [è stato] accusato da [Alessandro] Litta [Modignani] di essere fazioso e settario. […] Lo spunto critico era sul “vissuto”. […] Nella critica al “vissuto” e alla “compassione” veniva a mancare proprio l’animus che ha contraddistinto che ha contraddistinto gli ultimi quarant’anni radicali…».

 

Che aveva detto Litta Modignani? Aveva detto:

 

«Io credo che, quando qualche volta il nostro partito viene accusato di essere poco laico, questo non dipenda affatto dal fatto di avere un leader carismatico come Marco Pannella, ma dipenda piuttosto dal fatto che poi i radicali, a volte, lasciano serpeggiare al loro interno discorsi integralisti e settari come quelli che ha fatto questa mattina Sergio [D’Elia]. La “compassione come teoria dell’organizzazione” è elemento estraneo alla cultura laica: nessuna organizzazione laica fonda la sua teoria politica su sentimenti, tipo la compassione – chi ne ha più, chi di meno, chi è egoista, chi è altruista, o altro – la “compassione come teoria dell’organizzazione”  è una evidente manifestazione di integralismo, perché nella teoria laica dell’organizzazione le condizioni sono quelle di pagare la tessera, partecipare ai congressi, votare i documenti, approvare le discussioni, le mozioni, e basta: questa è la teoria laica dell’organizzazione, tutto il resto è ideologismo, settarismo e integralismo. Qualcuno può dire che Rita [Bernardini] e Elisabetta [Zamparutti] hanno fatto delle bellissime relazioni, qualcun altro può invece criticarle, ma non è vero – assolutamente non è vero – “perché quelle relazioni contengono la dimensione del vero, perché quel vero è vissuto”. Non è così, non è così. Si può dire che noi viviamo in una condizione di debolezza politica e inevitabilmente il segretario ed il tesoriere della nostra organizzazione riflettono nelle loro relazioni questa difficoltà e debolezza politica: non si vilipende nessuno, nessuno ha da sentirsi offeso. Oppure, si può dire che, a fronte di questa condizione di crisi, hanno saputo invece dare delle risposte costruttive, operative e così via, ma non è il fatto che loro abbiano vissuto quelle cose in un certo modo che le rende più o meno vere, perché il vissuto – come elemento fondativo della verità – è cosa propria delle organizzazioni religiose e non può essere elemento fondativo delle organizzazioni laiche. Perché il laico è perfettamente consapevole del fatto che il vissuto comporta un elemento di percezione soggettiva che può essere vero o falso e quindi può essere una percezione o una dispercezione, e quindi che necessariamente la percezione deve misurarsi con il principio di realtà, quella realtà che questa mattina Sergio D’Elia ha a tal punto disprezzato [fino da arrivare ad affermare che] 1.127 iscritti, come crescita, sono da considerare un “elemento di grande successo e molto positivo” solo per chi ha una mentalità gruppettara e settaria come quella di Sergio D’Elia, perché non è questo – non può rappresentare questo – un elemento di valutazione di una forza politica laica che deve fare laicamente i conti con la propria consistenza organizzativa e con la propria consistenza politica. La realtà […] è un interlocutore costante, ineludibile per qualunque laico, e con quella realtà deve fare i conti, e non arrivare a fare – come ho sentito dire stamattina, e mi auguro veramente di tutto cuore che questa mentalità non si diffonda tra di noi – a fare, a dire in rapida sequenza: realtà, cioè realismo, cioè Realpolitik, cioè le alleanze come parte della Realpolitik e della politica politicante. Questa è una perdita secca di laicità dalla quale io voglio mettere in guardia tutti noi».

 

Parole che io scolpirei nel granito. Marco Pannella, invece, le contesta sul piano formale e sostanziale. A ritroso: qui, conversando con Massimo Bordin, dice che

 

«la “compassione” è condividere la passione, è condividere il dolore […] ed è un termine che è stato di fatto abbandonato all’uso di alcune confessioni religiose come quella cattolica»;

 

ma, più estesamente, nel corso del suo intervento al Comitato nazionale, aveva già detto:

 

«Tu [Litta Modignani] dici [a Sergio D’Elia]: “[Questo] non è liberale, non è laico”. […] Tu gli hai rimproverato il termine “compassione”: hai detto “questo non è laico”. Ma qual è l’etimologia? “Con-passione”. […] Cosa siamo noi se non animati da una grande cosa che non è sdolcinata, è drammatica, e può non essere tragica perché c’è? […]  Stiamo, in questo momento, secernendo dalla difficoltà del nostro corpo – della nostra storia, del nostro partito, della nostra area – il nuovo senza costituenti […]; oggi noi stiamo proprio superando quel limite attribuito all’individualismo, contro il quale ci siamo sempre ribellati, ma la mia storia è anche quella della grossa sintonia col personalismo. […] Noi siamo oggi chi qui ha riproposto “il nostro tempo”, “il contributo quotidiano”, “è possibile a tutti”, “rinunciando ad un caffè”… Con quale linguaggio? Un linguaggio non crociano. Il linguaggio di Mina [Welby]. E lo ha posto e riferito all’esistenza, all’esistenza e alla dimensione delle “con-passioni”».

 

E qui, con l’ennesimo riferimento alla “religione laica”, ho avuto – mi scuso – una leggera vertigine, un po’ di nausea dolce dolce, e mi son detto: ma in quale confraternità di cuori buoni mi sono ritrovato? Io, mi son detto, sono un liberale. Starò facendo, mi son chiesto, lo stesso “errore” di Litta Modignani? Sarò poco liberale perché sto pontificando su cosa sia “essere liberale”, contestando a Marco Pannella – in altra misura, ma consimile – quello che Litta Modignani contesta a Sergio D’Elia? E’ possibile, ma solo se è possibile un liberalismo “cristiano”. Io non ci ho mai creduto: è un ossimoro. Il liberalismo repelle la rivelazione, la catarsi e la trasfigurazione, e men che meno la trascendenza che si degna d’incarnarsi per tradursi in verità, verità assoluta, carità dell’amore, teoria dell’amore necessario. E qui Marco Pannella è tutto amore, amore rivelato, è carne di una trascendenza. Già non ero pannelliano, qui mi sono sentito anti-pannelliano. Posso rimanere in Radicali italiani, che, nella assai poco calzante metafora pannelliana di “galassia”, dovrebb’essere uno dei soggetti che “rotea” attorno al Partito Radicale Transnazionale? Ho ripensato all’ultimo dei pezzi da me scritti – proprio su questo argomento – per Notizie Radicali (più di 150 in meno di due anni, ma da qualche mese poco o niente, proprio per questa deriva – dovrei dire piuttosto revival – cristianoide). Ne La materia oscura (Notizie Radicali, 30.3.2007) scrivevo:

 

«Considero assai felice l’immagine della galassia che da qualche tempo è d’uso tra i radicali per significare la loro complessa realtà organizzativa, e volentieri sarei portato a farla mia come utile semplificazione di qualcosa che in realtà è refrattaria ad ogni semplificazione, non foss’altro per il suo continuo mutare. Ma accetto questa immagine solo se per galassia si voglia intendere davvero galassia. Purtroppo non è così, e penso che gran parte delle difficoltà che l’area radicale lamenta dipendano da un frainteso che in buona misura lo stesso Marco Pannella alimenta. Per esempio, nel corso di una puntata di Temporale (Sky/Canale Italia, 28.3.2007), Marco Pannella dice: “Cos’è una galassia? C’è un sole [il Partito Radicale Transnazionale] e, attorno, delle altre entità [i soggetti dell’area radicale: Radicali italiani, Associazione Coscioni, Nessuno tocchi Caino, ecc.] che roteano attorno”. Gli si dovrebbe far presente che questo schema è quello di un sistema solare, non di una galassia».

 

Ma con questa definizione di galassia data da Marco Pannella è inutile pensare a Radicali italiani altrimenti che ad un pianeta. Ed io, intorno a chi si è “sempre ribellato all’individualismo” e si è sempre trovato “in grossa sintonia col personalismo”, non giro. Per me il nucleo stesso del liberalismo è nella dicotomia essenziale – direi fenomenologica, dunque politica, ma anche psicologica ed antropologica – tra “individuo” e “persona”. Mi sono tornate in mente due cose che ho scritto non molto tempo fa. La prima, per Notizie Radicali (31.8.2006):


«Sono liberale, [e] penso che a quello che ha da farsi bastino ragioni di utilità per il maggior numero di persone, non di astratta giustizia che abbia ipostasi nelle contingenze umane. Non voglio essere oscuro, mi spiego con due esempi, uno piccolo e uno grande – li traggo entrambi dal comparto che rubricherei sotto il capitolo “giustizia”, così […] risulteranno più didascalici. Esempio piccolo: non sono in favore dell’amnistia perché mi si stringe il cuoricino a sapere che i detenuti in carcere soffrano e questo titilla la mia compassione che è una delle iridescenze della mia spiritualità (è una faccenda privata che poi, in realtà, realmente mi si stringa il cuoricino, ecc.); sono in favore dell’amnistia perché tutti – detenuti e no – hanno “utilità” a che le condizioni carcerarie non ledano un diritto (che, bada, è del detenuto, ma anche mio, come cittadino che concorre a definire e poi a rispettare il contratto sociale sul quale solennemente tutti si giura, col dirci cittadini). Esempio grande: non sono contrario alla pena di morte perché il valore supremo della vita e bla-bla-bla; sono contrario alla pena di morte, perché non c’è (e non c’è mai stato) un solo paese al mondo dove la condanna capitale abbia portato ad un decremento dei crimini con essa sanzionata. La pena di morte è sommamente inutile, e basta questa sua somma inutilità ad impormi un sommo impegno nel fare in modo che venga abolita in tutti i paesi del mondo. Devastante è la mia personale afflizione all’annuncio che un essere umano, in tutto simile a me, sia stato fritto sulla sedia elettrica – ma, appunto, è una cosa personale. In generale, si dovrebbero lasciare fuori dalla politica le ragioni personali e quelle “spirituali” – checché ne pensino gli hegeliani [e i cristiani] d’ogni salsa – sono personali. Sennò come pretendere che personali convinzioni e sensibilità “spirituali” di questo e di quello rimangano lontane dall’agorà, dove, quando autorizzate a scendervi come voci dell’assoluto che parla per tutti, pretendono di averla vinta al di là dei numeri?».

 

La seconda, in un post dal titolo Non sono pannelliano, non sono capezzoniano (Malvino, 5.3.2007), è sulla differenza sostanziale tra persona e individuo. Differenza che non sfugge a Marco Pannella, perché con scelta opposta alla mia ci fonda tutto il suo pensiero, ed è su questo punto che la sua e la mia posizione diventano irriducibili, impedendomi – da militante di Radicali italiani – di continuare a “roteargli” intorno (ah, se almeno l’area radicale fosse davvero una galassia, e non un sistema solare…). Scrivevo:

 

«Non sono un pannelliano […] per una ragione che potrei stringere nella penetrante definizione che Adriano Sofri dà di Marco Pannella in un articolo che ha di recente fatto qualche rumore (Partita radicaleIl Foglio, 28.2.2007): Pannella – scrive Sofri – è intensamente cristiano”. Ecco il punto […]: io non posso proprio appiccicarmi addosso un aggettivo derivato dal cognome di un pensatore o di un leader politico che abbiano un carattere intensamente cristiano”. Un carattere cristiano, anche quando eretico rispetto all’ortodossia romana, ha per me un aspetto assolutamente incompatibile con le mie convinzioni – chiamiamole così – filosofiche: un carattere cristiano ha tra le sue profonde motivazioni il bene di tutti perseguito attraverso una verità che vale per tutti. Conta poco che questa verità valida per tutti dia o non dia a ciascuno il diritto all’errore (chiamandolo comunque peccato, ma con diversa predisposizione al perdono): per me, semplicemente, questa verità non esiste, cioè, non è una verità, è “amore”, cioè, è proiezione sugli altri del “bene per me”. Io sono molto diffidente riguardo a ciò che è detto “amore”, e non faccio grande differenza tra eros, agape e quant’altro: ciò che è “bene per me” è sacro nella misura in cui può esserlo ciò che un mio simile definisce “bene per sé”. C’è spazio per ciascun “bene” – c’è spazio per me e per il mio simile in ogni piega di esistenza convissuta – se entrambi accettiamo di rinunciare a proiettare sull’altro ciò che ciascuno di noi due definirebbe il “bene per tutti”, la definizione di verità valida per tutti. L’eresia cristiana di Pannella non arriva a tanto, rimane nell’azione dell’“amore” e si serve dello strumento che è più congeniale all’azione dell’“amore”: la “persuasione”. Sentite anche voi, suppongo, che nella parola “persuasione” si muove l’azione della “seduzione”, di quel “condurre a sé” che è il ritorno della proiezione. Mi dispiace, ma questa “seduzione” non mi chiama. Io sono ateo e il monoteismo di una verità valida per tutti non mi “persuade” e non mi “seduce”. Il “bene per me” e quello che il mio simile chiama allo stesso modo, intendendo semmai tutt’altro, possono fare l’atto di rinuncia alla proiezione solo nell’utilitarismo, nell’affermazione della necessaria (perché appunto sommamente utile) rinuncia alla proiezione. Figurarsi, dunque, se posso essere pannelliano. Voglio molte delle cose che vuole Pannella, ma lui le vuole perché sono “giuste”, e alla “giustizia” dà il nome di “diritto”. Io no, io le voglio perché sono “utili”, perché sono la soluzione meno dispendiosa per quanti abbiano giurato sulla rinuncia alla proiezione (condizione irrinunciabile a ciò che io considero il più “giusto” – perché più “utile” – rispetto del mio simile): e voglio che questo giuramento prenda il nome di “diritto”. Probabilmente, daremmo entrambi la vita per il “diritto”, io e Pannella, ma capirete che il liberale sono io, lui è il cristiano, anzi, l’“intensamente cristiano”. E cristiano e liberale, per molti versi, sono incompatibili. Qui, infatti, le occasioni di polemica vera tra me e Pannella, che si è significativamente addensata sul giudizio estremamente diverso che diamo del Concilio Vaticano II, con quanto ne consegue. Pannella scaglia i suoi strali alle gerarchie ecclesiastiche: non capisce – da cristiano eretico non può capire – che le gerarchie ecclesiastiche sono davvero il capo – la testa, non solo metaforicamente – del Cristo vivente. La distinzione che Pannella fa tra Chiesa e gerarchie ecclesiastiche può esser “utile” – e peraltro è nei fatti che, insieme, fanno la secolarizzazione – ma non può essere fondativa di un neocristianesimo che non sappia far vera differenza tra persona e individuo. Pannella non crede nell’individuo […], crede nella persona, nella rete complessa delle proiezioni reciproche: rifiuta le strutture tradizionali di questa rete, vuole che infinite altre possano generarsi e, per ciò stesso, trovino “diritto”, ma considera essenziale la rete. Io no, io la ritengo sovrastrutturale, e non mi trattengo dal dire che è psicopatogenetica, che è la causa prima delle forme storiche di quello che è stato chiamato “disagio della civiltà”. “A volte – scrive Sofri – si ha l’impressione che il partito radicale di Pannella oscilli fra la vocazione alla minoranza di uno e la persuasione della maggioranza di tutti: che è una megalomania prossima al delirio, ma non è male”. Ecco, io penso che la debolezza dei radicali sia tutta qui, nella paradossale forza di questa persuadente seduzione. […] Io non sono pannelliano […]: sono un liberale, incompatibile con tutto quanto “intensamente cristiano”».

 

Ecco, qui posso davvero chiudere la e-mail a Rita nel modo che volevo:

 

“Cara Rita, ti comunico le mie irrevocabili dimissioni dalla Direzione nazionale di Radicali italiani. Le ragioni sono – diciamo così – filosofiche, prima che politiche. Rimango militante, quasi certamente rinnoverò la mia tessera per anni e anni (e un modo di augurarmi e di augurarvi che il soggetto politico abbia lunga vita). Ma non riesco a condividere la filosofia di Marco Pannella e giacché, per essere ‘organicamente radicale’ bisogna giocoforza essere pannelliano, non posso più dirmi radicale, figurarsi rimanere quel ‘dirigente per caso’ che sono sempre stato. Resto liberale: per tutti voi sarà un po’ di meno che radicale, per me – dopo la risposta data da Pannella a Litta Modignani – è un po’ di più. Ti abbraccio,

 

Luigi Castaldi

 

P.S. Nel caso questa letterina ti sembri oscura, ti rimando a questo link. E’ una lunga riflessione che, se non sarà cestinata da Valter Vecellio come cosa oscena, potrai leggere oggi stesso su Notizie Radicali. Lascio a te la cura del decidere se e in che modo rendere pubblica questa mia decisione. Io sarei propenso a due righe di comunicato sulla homepage di Radicali.it, non di più, mi raccomando”.

 

Ecco, ora mi sento finalmente a posto con me stesso.



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