di Giorgio Bocca("La Repubblica" 13 agosto 1980)
SOMMARIO: Una raccolta di scritti sull'antifascimo libertario dei radicali: riconoscere il fascismo vuol dire capire quello che è stato e soprattutto quello che può essere. Troppo spesso dietro l'antifascismo di facciata si copre la complicità con chi ha rappresentato la vera continuità con il fascismo, la riproposizione di leggi e di metodi propri di quel regime.
("NOI E I FASCISTI", L'antifascismo libertario dei radicali
a cura di Valter Vecellio, prefazione di Giuseppe Rippa - Edizioni di Quaderni Radicali/1, novembre 1980)
I giudici di Bologna non amano che si parli di strage di Stato. Neppure i giudici Cudillo e Occorsio, che iniziarono le indagini su piazza Fontana, gradivano che si parlasse di strage di Stato, ma strage di Stato fu. Al punto che individuati gli esecutori e i loro mandanti intermedi, ci si è ben guardati dal risalire ai mandanti primi. E il Parlamento, nella sua intoccabile autonomia, l'opposizione, nella sua inesausta sete di verità e di giustizia, si sono ben guardati di aprire un dibattito pubblico sul fatto che ufficiali dello Stato, prefetti, questori, magistrati, ministri dello Stato avessero in vari gradi, ma coscientemente, partecipato a una strage di cittadini italiani.
Con questi morti nell'armadio, è meglio non prendere i toni tranchant e sdegnosi dei giudici bolognesi per cui è valida una sola ipotesi: "la strage contro lo Stato". Il mondo in cui viviamo, se lo rammentiamo, è ricco di delitti, ma pure di sorprese. Anche il giornalista Valerio Ochetto, simpatica persona, non crede alla strage di Stato e ci mette ironicamente a paragone con "le Monde" che alla strage di Stato non ci crede. Dice proprio "Le Monde", il giornale francese che esce ogni pomeriggio per far modo a tutti i provinciali del primo, del secondo e del terzo mondo di far sapere ai concittadini che lo loro letture sono raffinate, cosmopolite e autorevoli.
E' uscito un libro su "Le Monde" che Ochetto dovrebbe magari leggere. Vi sono narrate le autrevolissime manipolazioni compiute dall'autorevole giornale al servizio del Quai des Orfévres e di altri potentati francesi. Comunque, il numero che "Le Monde" ha dedicato al nostro terrorismo era egregio, specie nell'intervento dell'unico esperto italiano, un praticante di questo giornale che da noi si occupava di cronaca sindacale, ora residente a Parigi, il quale ha sostenuto questa tesi senza dubbio sintetica: il terrorismo italiano c'è, e perché vuol far sapere che c'è.
A parte gli scherzi, si potrebbe seriamente dire, anzi ripetere, perché parliamo di strage di Stato, perché respingiamo la strage dei fascisti, dei pazzi e dei demoni. Quando si dice che la nostra civiltà industriale è metropolitana, terziaria e computerizzata, e al tempo stesso potentissima e fragile, si dice qualcosa di ovvio, su cui hanno scritto tutti i sociologi, gli economisti, i politici. Ma l'ovvio non consente di uscire dal senso delle proporzioni e dal comune buon senso.
Dire che la nostra civiltà è fragile non significa dire che qualsiasi schizoide o fanatico o depresso o esaltato può un bel mattino, se così gli salta in mente, paralizzarla, metterla al tappeto. I pazzi, i fanatici, gli esaltati possono, come individui, minacciare di gettarsi dal Colosseo o sequestrare gli impiegati di un ufficio come a Milano, in via santa Sofia, o anche dirottare un aereo; ma non possono, da soli, costituire un'organizzazione senza la quale le stragi come quella di Bologna sono impensabili e inattuabili.
E basta pronunciare la parola "organizzazione" per relegare i pazzi o fanatici o esaltati al ruolo minore degli esecutori come fu quel Bertoli che gettò una bomba tra la folla che ricordava Calabresi davanti alla questura di Milano; uno di quei curiosi pazzi, sapete, che vengono per mesi ospitati in un kibbutz israeliano, poi forniti di passaporti, alloggiati in Italia portati fin sul luogo del loro pazzo delitto e di cui poi non si sa più niente.
Al dunque: per fare una strage come quella di Bologna, bisognava avere alle spalle chi ha fatto uscire un esplosivo così potente dai più guardati arsenali militari, chi ha procurato i timer e gli altri strumenti sofisticati, chi ha studiato il luogo in cui l'esplosione avrebbe avuto il massimo effetto, chi ha predisposto le basi, in Italia, e all'estero, in cui tutti costoro hanno potuto trovare rifugio.
A questo punto si potrebbe dire: Ma una simile organizzazione potrebbe essere autonoma dai servizi segreti, può essere un'organizzazione di destra che mira ad una restaurazione fascista. Essere antifascista va bene, usare l'antifascismo ai propri fini politici è concesso, ma voler credere e far credere che i fascisti, o comunque gli estremisti di destra siano dei perfetti cretini, è un altro aspetto del provincialismo e del conformismo italiano.
Supporre che un gruppo di reazionari, da solo, compia simili stragi nella speranza di far trionfare un golpismo militare che non c'è, una destra autoritaria che non c'è, un'opinione pubblica antidemocratica che non c'è, sembra davvero eccessivo. Per quanto fanatici ed esaltati devono pure aver visto e capito in questi dieci anni che l'Italia non è la Bolivia e neppure la Grecia, che la gente è stanca della partitocrazia ma non della democrazia, del finto pluralismo ma non della libertà, dei governi inetti e indecisi, ma non di governi che governano.
Allora? Allora noi diciamo che i mandanti sono di Stato, il terrorismo come surrogato della politica, come coaditure delle potenze imperiali ci sono. Chi ha una tesi più convincente la dia.
("La Repubblica" 13 agosto 1980)