La tua decisione di riportare su Agora' la lettera di Aldo Matteotti mi da' la spinta finale per questo messaggio.
Non so, sto covando un messaggio come questo da parecchi giorni. E sono ancora adesso sinceramente preoccupata di affrontare seriamente l'argomento PR. Temo molto le reazioni di chiusura, di incomprensione, che potrebbe provocare. Peggio, di indifferenza. Ed e' la mia indifferenza di risposta che temo ancora di piu'.
Inoltre so di avere chiare solo idee "in negativo" e di avere purtroppo molto da chiedere e poco da proporre.
La realta' e' che anni di vicinanza al PR a me hanno fatto passare del tutto la voglia di fare politica, e se questa oggi mi e' tornata e' stato per percorsi personalissimi ed individuali.
Quando leggo, nella lettera di Aldo, una frase come "per una serie di motivi (tra cui vi è certo quello che non sono adatto alle attività politiche) mi sono poi gradualmente allontanato dal campo", mi vengono i brividi.
Fino a poco tempo fa l'avrei sottoscritta in pieno.
Questi ultimi anni avevano portato anche me alla ferma convinzione di "non essere adatta alle attivita' politiche". Balla enorme. Io non sono, e a questo punto lo rivendico, adatta ad un certo modo di fare politica.
Non voglio fare la politica della guerra per bande, e su questo siamo tutti d'accordo, ma nemmeno voglio che il mio agire politico sia quello che, piu' o meno implicitamente, il PR mi ha proposto in questi ultimi anni.
Io non sono una gran politica, ripeto, ma seguo, bene o male, ma certamente con affetto, il PR da qualcosa come 14 anni. E oggi non mi piace. Non mi ci ritrovo per niente. Non mi ritrovo nel modo con cui funziona, non mi piace la sua totale mancanza di dibattito interno. Non mi ritrovo nei militanti puri e duri, capaci solo di professioni di fede e di lanciare il cuore aldila' dell'ostacolo. Non mi ritrovo nelle frequenti reazioni di rifiuto (e talvolta di linciaggio) nei confronti di chi accenna alla possibilita' che nel partito non tutto sia giusto e perfetto.
Non mi piace che il partito riporti sempre all'esterno le cause dei suoi problemi, delle sue crisi, delle sue carenze. Se qualcosa non funziona, e' colpa degli altri. La stampa cattiva, la gente indifferente, i nemici esterni. Certo che la stampa e' cattiva, figurati se posso negarlo proprio io, che lavoro al Centro D'Ascolto da anni. Certo che la gente se ne frega e i nemici ci sono, e aggressivi, e bene armati. Sai che novita'.
E non mi piace, non mi convince, che l'altra, abituale risposta, alle difficolta', oltre al "nemico esterno", sia la moltiplicazione dell'impegno, il "fare di piu'". Lavorare e lavorare e lavorare fino a che i pochi che sono in grado di reggere certi ritmi non si ritrovano, come oggi, stremati, esausti nel fisico, nel morale e nelle idee. E soli. Perche' non tutti possono, e vogliono, praticare la politica dell'emergenza e dello stress.
Ma mai, dico mai, si puo' pensare che anche i metodi del PR abbiano dei difetti? Che i suoi obiettivi siano scentrati? Che tra il PR e i cittadini, il Paese, la gente, si sia aperto, ed allargato, in questi anni, un divario, una distanza, una freddezza, che a me a volte sembrano incolmabili?
Non dico che questo sia vero in assoluto, ma è possibile che non sorga mai il dubbio, che non venga mai aperto il dibattito su questi argomenti?
A me a volte sembra che questo dubbio compaia, e sia subito cancellato da una sorta di atto di fede acritico e cieco. Sepolto dietro un immagine di partito perfetto e sempre nel giusto, sempre piu' avanti degli altri, piu' intelligente degli altri, piu' buono degli altri. Ad ogni male, ad ogni problema, la risposta (anche qui su Agora') sembra essere: iscriviti al PR e vedrai che passa. Manco fosse il digestivo Antonetto della politica, la panacea dei mali del mondo.
Il PR puo' indubbiamente rivendicare il merito di alcune intuizioni fondamentali e di molte battaglie fondamentali, passate e tuttora in corso. Ma attraversa oggi una crisi di una profondita' tale che, guarda, ne sono quasi contenta.
Perche' e' una crisi che costringe tutti, me per prima, a fare i conti con la realta'.
O la supera o chiude. Bene, se NON la supera, preferisco che chiuda. Che chiuda, piuttosto che continuare ad agire come una specie di variabile impazzita, sempre meno in grado di stare in contatto con la gente, di essere interprete delle sue necessita' e detonatore delle sue voglie e delle sue capacita'.
A me non basta che mi si chiedano soldi e qualche ora del mio tempo. Io pretendo che si chieda la mia intelligenza, per quel che vale. La mia energia, per quanta ne ho. Le mie idee, per confrontarle con quelle degli altri. E questo lo pretendo.
Nel corso degli anni quanti, come me, si sono allontanati dalla politica attiva del partito? Caterina Caravaggi, a cui facevo questo discorso, giustamente mi chiedeva se io e tutti questi "altri" potevamo permetterci di perdere il PR. Giusto. No, non potevamo. Ma poteva il partito permettersi di perdere noi?
Poteva, puo', il partito, permettersi di chiedere fede cieca ed adesione incondizionata, rinunciando del tutto alla pausa, necessaria, inevitabile, fertile, accidenti, del dibattito, della discussione, dell'incontro, della verifica di posizioni diverse?
No, il partito e' sempre allo stremo delle forze, sempre mosso da urgenze imprescindibili, sempre nell'emergenza.
Io ne ho piene le palle dell'emergenza. Io nell'emergenza non penso, non rifletto, non discuto. Nell'emergenza non sono piu' me stessa. Qui dall'estremo della fumosita' del dibattito a tutti i costi si e' passati alla fumosita' altrettanto pericolosa dell'azione a tutti i costi. Cuore in mano e cervello in pappa. Tanto a pensare, a elaborare, a intuire, e' destinato qualcun altro.
Be', io politica cosi' non la so fare. Anzi, non la voglio proprio fare. Pero' voglio, esigo, pretendo di fare politica, e di farla per quella che sono, pregi, difetti, ricchezze e meschinita'.
Non ho proposte pratiche, Emma. Non ho idee di "azione nonviolenta" da proporre per scardinare con un colpo di genio di quelli "tipicamente radicali" la crisi del partito. Sono solo piena di esigenze e di voglie, e, per motivi incomprensibili persino a me stessa, perfino di energia.
L'unica cosa che potrei proporre e' il ripensarci, tutti insieme, ex delusi e militanti duri e puri, dirigenti del partito e attacca-francobolli, per vedere se e' possibile, ripercorrendo insieme questi anni, capire quali sono stati gli errori, i motivi interni ed esterni che hanno condotto alla crisi di oggi. E per capire, poi, e soprattutto, se ci sono delle voglie comuni tanto forti da diventare nel concreto di una battaglia un modo migliore di fare politica insieme.
Forse Agora' e' uno strumento che la Dea Fortuna (e/o la nostra intelligenza) ci mette insperatamente a disposizione proprio per fare questo. Ma e' riservato a pochi. Ancora troppo pochi. Vedremo.
Claudia