Il problema mi resta, pero' come nonviolenta come radicale, resta il problema se difendersi rientra o non rientra in uno dei principi che riguardano il diritto alla vita, che come sappiamo parte dalla primigenia individualita', ovvero dal nostro corpo, dalla nostra medesima persona.Su questo, forse a discuterne sarebbe piu' adatto un catechista, per questo comprendo l'apparente confusione nella quale puo' capitare chi non si sia mai confrontato con la violenza in diretta, o non abbia mai temuto per la propria vita, chi non e' mai stato in guerra o qualche volta (scagli la prima pietra), chi non l'abbia mai desiderata.Attraversando i confini immaginari di un obiettore di coscienza, l'affermazione del "dove" non c'e' pace non c'e' giustizia, si potrebbe tradsformare, per alcuni popoli oppressi, nel "dove" non c'e' guerra non c'e' speranza di averla, la giustizia.Il confine che unisce la pace alla guerra, e con essi alla risoluzione della scelta della nonvilenza, richiede un progetto rispetto alla Terra, che solo un (benvenuto)utopista puo' avere la forza di conquistare di programmare.Non credo che tutto cio' possa passare attraverso la tolleranza, privilegio di coloro, che hanno la pancia piena, quanto di coloro che governano la guerra.La Terra e' ben disposta a rinunciare in se' e per se' alla violenza, in quanto tale pero', la terra non ci rappresenta, se non vi e' chi la lavora , la coltiva.Coltivero' con voi questa speranza.grazie Dora