Mi fa piacere che qualcuno, anziché rimanere in un atteggiamento di indifferenza o di sufficienza o di sarcasmo, esprima apertamente e civilmente le proprie obiezioni all'esperanto. Cercherò di rispondere, sebbene mon sia facile farlo in uno spazio ristretto, data l'ampiezza dell'argomento e la diffusa mancanza di cognizioni in proposito.
Il primo punto - su cui bisogna assolutamente fare chiarezza - è che l'esperanto è effettivamente MOLTO PI FACILE DA IMPARARE DI QUALSIASI LINGUA ETNICA (o "naturale" che dir si voglia) e che questo non comporta assolutamente che sia meno espressivo. Questo è il principale motivo a suo favore, se vogliamo pensare a una lingua europea e internazionale non per ristrette "élites", ma per vasti strati popolari.
Sulla possibilità di apprendere rapidamente l'esperanto, posso citare la mia esperienza personale. Avevo 16 anni quando mi capitò fra le mani una grammatichetta ciclostilata di esperanto (eravamo negli anni subito dopo la guerra); cominciai a leggerla, comprai una piccola antologia di letture. Dopo tre mesi mi imbattei per caso in un esperantista e cominciai a parlare con lui in esperanto. Successivamente tenni corrispondenza con ragazze e giovani di altri Paesi: Polonia, Belgio, Spagna, Germania, in quella lingua. Poi in congressi e altri incontri internazionali usai la lingua senza problemi, sentendola come mia, SENZA TROVARMI MAI IN CONDIZIONI DI IMBARAZZO O INFERIORIT VERSO ALTRI. E questo è un altro punto fondamentale: una lingua internazionale che mette tutti su un piano di parità. Il parlare più o meno bene l'esperanto non dipende (o dipende molto limitatamente) dalla propria origine etnica: dipende dal proprio livello di cultura, esattamente come avviene anche per la propria lingua materna.
A scuola studiai invece il tedesco per cinque anni e la prima volta che andai in Germania mi accorsi che mi mancava la conoscenza della lingua di tutti i giorni. Successivamente imparai meglio quella lingua, ma tuttora mi coglie spesso il dubbio se un sostantivo sia maschile, femnminile o neutro: "der" "die" o "das"?
E qui viene IL MOTIVO DELLA MAGGIORE FACILIT DELL'ESPERANTO. Il fatto che in tedesco vi siano tre generi grammaticali o che in inglese vi sia una dozzina o più di suoni vocalici, senza alcuna relazione col modo di scriverli, non rende tali lingue più espressive: sono semplicemente i risultati di un'evoluzione storica, di cui l'esperanto fa tranquillamente a meno. Ogni lettera ha un suo suono e solo quello, vi è un solo articolo determinativo, non vi è genere grammaticale nei nomi, ma solo nei pronomi personali (ed è un genere "reale": in esperanto il sole e la luna sono ambedue "neutri", e non rispettivamente maschio e femmina come in italiano o viceversa come in tedesco!).
L'ESPERANTO MENO ESPRESSIVO DI UNA LINGUA NATURALE? Può darsi, sotto certi aspetti, se lo confrontiamo con l'italiano parlato da un italiano o con l'inglese parlato da un inglese. Confrontiamolo invece, com'è più giusto, con l'inglese parlato da un italiano, da un tedesco, da un francese o da un russo! Il cosiddetto "international english" quello sì è un linguaggio rozzo!
D'altra parte, un'abbondante produzione letteraria, originale e tradotta, ha mostrato le capacità espressive della lingua internazionale.
L'ESPERANTO UNA LINGUA A CARATTERISTICHE PREVALENTEMENTE LATINE? Non esattamente. E' una lingua semanticamente europea, prevalentemente latino-germanica, con pochi elementi slavi. La sua struttura lo distingue poi dalle lingue europee "flessive" perché i prefissi e i suffissi hanno un significato regolare e costante, tanto che possono essere usati anche come parole proprie. Un po' come se in italiano dicessimo (e qualche volte si dice): "questa minestra non è poi tanto accia" oppure "sono stufo di tutti questi ismi".
In esperanto questo è del tutto generalizzato, per cui "acha" vuol dire "cattivo", "salujo" è "saliera" e "ujo" è "recipiente", "lernejo" è scuola (cioè luogo dove si impara, ecco una radice germanica: "lern-") è "ejo" è "locale" in genere.
E poi da ogni radice si può fare il sostantivo, l'aggettivo, l'avverbio, il verbo: basta che il significato sia chiaro. Vi faccio un esempio dell'espressività dell'esperanto. Un bambino, figlio di una coppia anglo-italiana di esperantisti, cresciuto trilingue, disse (quando aveva 3 o 4 anni): "Lunas. Mi ne volas ke lunu. Mi volas ke sunu". Alla lettera: "luneggia (= c'è la luna), non voglio che luneggi, voglio che soleggi (che ci sia il sole"); cioè dai sostantivi "luno" e "suno" ha tratto direttamente dei verbi. Nessuno glie lo aveva insegnato: ha seguito semplicemente, istintivamente, lo spirito della lingua. Se un bambino italiano, seguendo la logica e le regole dell'analogia, dice "io ando" oppure "i uomi", viene subito bloccato da un "non si dice così!".
Viaggiando in treno giorni fa guardavo le targhette che avvertono in quattro lingue "Non gettare alcun oggetto dal finestrino", frase che raggiungeva il massimo della lunghezza in italiano e in tedesco; ho pensato che in esperanto si direbbe "Neniun objekton jhetu el la fenestro" ma anche, più concisamente, "Nenion elfenestrigu" in sole due parole, chiarissime. Una caratteristica dell'esperanto è appunto quella di poter usare sia costruzioni analitiche della frase (come in italiano), sia costruzioni sintetiche.
Un bell'esempio ci è dato dallo psicologo e poliglotta svizzero Claude Piron. Un proverbio cinese esprime in sole quattro parole il concetto "il padre si comporti da padre e il figlio da figlio" (cioè: ognuno stia al posto suo); in esperanto si può rendere la frase analiticamente "patro kondutu kiel patro kaj filo kiel filo", come in italiano, ma anche in sole quattro parole, come in cinese "patro patru, filu fil'" oppure ancora, in una forma intermedia, "patro agu patre, filo file". Ma per capire e apprezzare tutto ciò, bisogna imparare l'esperanto, non fermarsi ai "sentito dire".
QUAL' LA CULTURA DI CUI L'ESPERANTO PORTATORE? qual'è la sua "Weltanschauung"? La cultura dell'esperanto è quella dell'internazionalismo, sulla base delle idee europee di democrazia e di tolleranza. La cultura di chi vuole parlare con gli altri, su un piano di parità, di chi è curioso di conoscere gli altri, senza rinunciare alla proprie caratteristiche, alla propria lingua.
L'esperanto è figlio non già del colonialismo, ma semmai, storicamente, dei generosi ideali umanitari di fine ottocento. Oggi l'esperanto può affermarsi come portatore dell'idea della Federazione Europea.
Senza la Federazione Europea (primo indispensabile passo verso un futuro, molto futuro, governo del mondo) l'Europa e il mondo sono destinati a essere travolti dai nazionalismi.
Ma una Federazione Europea avrà bisogno di una lingua comune: non potrà funzionare con dodici o venti lingue su piano di parità formale, né si potrà chiedere a tutti i cittadini d'Europa di parlare l'inglese. (E perché poi l'inglese e non, per esempio, il tedesco, che in Europa è più parlato? o lo spagnolo, che è molto più facile e regolare?)
L'ESPERANTO FACILITA LO STUDIO DELLE ALTRE LINGUE. Qualsiasi lingua straniera studiata per prima facilita lo studio successivo di un'altra lingua straniera, questo è vero.
Però l'esperanto è l'odeale a questo fine per i seguenti motivi:
a) costituisce una lingua "paradigmatica", dove le strutture grammaticali e sintattiche sono sfrondate di tutte le irregolarità superflue e quindi messe in luce;
b) abitua a capire che una stessa parola della propria lingua può essere tradotta in un'altra lingua in molti modi, a seconda dei significati (per esempio una volta mi capitò di dover spiegare a un esperantista francese che la parola italiana "piano" non vuol dire solo "piano" (cioè "pianoforte"), come lui credeva, ma anche: "etagho" (piano di un edificio), "plano" (progetto), "ebeno" (pianura), "malrapide" (lentamente), "mallaûte" (a bassa voce) e altre cose ancora; questo perché le radici esperanto hanno significati meglio definiti;
c) insegna radici di altre lingue: così l'italiano impara le parole tedesche (o anglo-germaniche) "lerni" (imparare), "flugi" volare; "shviti" (sudare), "hundo" (cane), "halti" fermarsi, o inglesi come "birdo" (uccello) francesi come "fermi" (chiudere), "krajono" (matita), "kajero" (quaderno) o anche slave come "pravi" (aver ragione) ecc;
d) ma soprattutto dà all'alunno fiducia in sè stesso, nella propria capacità di imparare una lingua straniera, perché il giovane vede che riesce a progredire rapidamente e che riesce a usare veramente la lingua studiata.
Lo studio per un anno o due (anche al non eccelso "livello scolastico" delle scuole italiane) dell'esperanto darebbe ai giovani una capacità di usare la lingua che non viene assolutamnente raggiunta ora nemmeno dopo cinque, se o sette anni di studio scolastico dell'inglese o di altre lingue naturali.
In effetti l'inglese viene imparato a buon livello solo da chi ha la possibilità di recarsi all'estero a studiarlo, e questo è un ulteriore fattore di discriminazione, non più solamente etnica, ma sociale: i figli dei ricchi si vedoino aperte strade che agli altri sono escluse.
Un'ultima cosa a proposito dell'inglese. L'INGLESE svolge un ruolo internazionale per motivi storici, economici e politici: per la potenza dei Paesi portatori di tale lingua, ma in sé UNA DELLE LINGUE MENO ADATTE A FUNGERE DA LINGUA INTERNAZIONALE: la stessa apparente semplicità della sua grammatica è un fattore di ambiguità. In esperanto di ciascuna parola si sa subito se è un sostantivo, un aggettivo, un avverbio o un verbo, perché ogni funzione grammaticale è chiaramente indicata. In inglese una stessa parola può svolgere vari ruoli grammaticali e inoltre può avere un gran numero di significati diversi. Non parliamo poi della fonetica: l'inglese ha 12 suoni per le vocali semplici più 8 per i dittonghi.
L'unico argomento valido a difesa dell'inglese è l'antico QUIA SUM LEO.
LA NASCITA DEGLI STATI UNITI D'EUROPA, che dovrebbero risolvere il loro problema di comunicazione interna, potrebbe dare all'esperanto quel "braccio", quella forza politica, che ora gli manca e lo metterebbe in competizione con l'inglese a livello mondiale.
ton jhetu el la fenestro" ma anche, più concisamente, "Nenion elfenestrigu" in sole due parole, chiarissi